I Be’nan sono tutti morti, ormai. Tak’lu è stata l’ultima ad andarsene. Ora giace tra le mie braccia, pesante come il senso di colpa che mi affligge, mentre queste vuote strade aliene echeggiano del rumore dei miei passi.. E presto ce ne andremo anche da questo pianeta. Sono l’ultimo umano rimasto in questa città bizzarra e meravigliosa. Fan è sempre con me, ma lei è già morta.

Le Guglie torreggiano sopra di me: due strutture curve, bianche come ossa, che si ergono per centinaia di metri dalle estremità opposte della città verso il cielo del mattino, arcuate verso l’interno come due enormi dita che cercano di toccarsi. Costruite da generazioni di Be’nan e ora separate soltanto dalla lunghezza di un corpo, le due Guglie convergono l’una verso l’altra. Ma non si toccano, non si congiungono. Non ancora.

Presto le raggiungerò, per tentare di mantenere una promessa. Se fallirò, e se Ta’klu aveva ragione, allora ciò che è accaduto qui accadrà anche a un altro mondo. E un’altro ancora.

Ma prima devo preparare il corpo di Ta’klu secondo la tradizione del suo popolo. Rideva, quando la chiamavo Ta’klu, un nome nato per una bocca non umana. Molto poco quaggiù è stato fatto a misura d’uomo. Noi umani non siamo in grado di capire. Al mio fianco, Fan annuisce.

La prima volta che vidi il pianeta Be’na fu poco prima dell’attacco: dall’orbita, sul ponte di osservazione della MCES Incudine, nave della Merged Corporate Entity con un equipaggio di soldati della RIP Force, a cui anch’io appartenevo. Insieme al colonnello Keys fissavo la superficie verde del pianeta, solcata da riccioli bianchi, attraverso lo schermo visore che nascondeva la paratia sottostante. Fan sedeva ai miei piedi, invisibile per Keys. Invisibile, perchè Fan era un fantasma. O almeno pensavo che lo fosse. Una creatura che io solo potevo vedere. Il mio fantasma personale. Il fantasma delle mie colpe. L’alternativa era che fossi pazzo e che lei esistesse soltanto nella mia mente. Era una possibilità che non avevo ancora del tutto escluso.

La luce dello schermo faceva risaltare i lineamenti duri e severi del profilo di Keys.

– Capitano, lo sapeva che una volta questi IP erano in grado di viaggiare tra le stelle? Ci hanno rinunciato circa cinquecento anni terrestri fa – disse.

IP, abbreviazione di Popolazione Indigena. Era il termine gergale per indicare gli alieni usato dai Ripper, i soldati della RIP Force, la forza di Rilocazione Popolazioni Indigene. La RIP interveniva tutte le volte che essi interferivano con i piani di sviluppo della Entity, in questo caso un’operazione di sfruttamento minerario. Le squadre di prospezione avevano indicato Be’na come un pianeta ricco di un particolare isotopo del berkelio, raro elemento transuranico e componente fondamentale per la schermatura dei motori interstellari Ullman-Gilmour. Ma ero da troppo tempo nella RIP Force per non sapere che la traduzione migliore dell’acronimo RIP era quella classica. Il concetto di “rilocazione” era aperto all’interpretazione. Anche il popolo di Fan era stato rilocato. Lei aveva iniziato ad apparirmi poco più tardi.

Avevo già sentito parlare della tecnologia Be’nan.

– Ne conosciamo la ragione, signore?

Scrollò le spalle.

– Non so. Sono regrediti a uno stile di vita molto semplice. Ma dal livello di terraformazione e di capacità di controllo sul clima che dimostrano, devono ancora avere a disposizione un qualche tipo di tecnologia. – Scrollò ancora le spalle. – Non importa. Tanto non hanno nessuna capacità militare.

Nessun modo per difendersi da noi: era questo che intendeva e lo sapevo bene.

Proprio come il popolo di Fan.

Ero stato io a ribattezzarla Fan. Non sapevo il suo vero nome. Il suo popolo viveva su Fandor IV. Sono tutti morti, ormai. Fan era di razza umanoide, ma il pelo rossoccio e il musetto appuntito come le orecchie le davano un aspetto ferino. Era giovane, quattro o cinque anni al massimo, era alta circa novanta centimetri e mi ricordava un orsacchiotto che avevo da bambino.

L’immagine sullo schermo cambiò, mostrando un Be’nan adulto di cui non si capiva il sesso. Sottile, come un ramo secco. Viso ossuto, pieno di spigoli. Senza capelli. Occhi grandi, neri su fondo argenteo. Narici tonde su labbra sottili. Lunga veste purpurea, disadorna, pieghe dritte, riflessi di seta.

Keys grugnì.

– Non sono gran che a vedersi. Almeno sono alti. Costruzioni ampie, soffitti alti.

Abbastanza alti da poterli riutilizzare. E vuoti, così che dopo aver fatto il nostro dovere, noi della RIP non avremmo dovuto sprecare tempo e denaro a costruire un accampamento.

La Entity si aspettava alti margini di guadagno da un mondo di progetto.

– La flotta è pronta a sbarcare? – domandò Keys.

Fan allargò bene le orecchie. Evitai di incrociare il suo sguardo.

– Sì, signore. Dovete ancora stabilire il dosaggio dello Scream, signore.

– Livello due per i piloti, cinque per le squadre da sbarco – rispose.

Livello cinque: un’intera dose da combattimento. Provai pietà per i Be’nan che avrebbero cercato di resistere. Salutai e mi diressi verso la Sala Comunicazioni per rilasciare le dosi, sperando che Fan mi seguisse. Mi andò male. Le porte dell’ascensore si aprirono sibilando e lei rimase lì a guardarmi, con gli occhi grandi e bruni pieni di lacrime. Ricordava bene ciò che la RIP aveva fatto al suo popolo. Ciò che lo Scream faceva fare ai soldati. Ciò che faceva fare a me.

Pensate alle emozioni umane come a una funzione sinusoidale. Gole di dolore, picchi di piacere. Maggiore è il piacere, più è alto il picco; maggiore il dolore, più profonda è la gola. Lo Scream prendeva le gole e le ribaltava sull’asse orizzontale, trasformandole in altrettanti picchi. Gli Screamer reagivano a un dato evento unicamente sulla base dell’intensità dell’emozione suscitata. Il dolore generava piacere, la tristezza portava gioia, l’orrore regalava l’estasi.

Con lo Scream nelle vene, uccidere era come un orgasmo emotivo. C’era qualche sgradevole effetto collaterale, come per esempio la scarsa preoccupazione riguardo a chi uccidevi, e per questo lo Scream ci veniva somministrato soltanto dopo la programmazione di disciplina militare durante l’addestramento. La RIP teneva puliti gli ufficiali, ma tutti i Ripper di grado inferiore a quello di maggiore erano assuefatti. Le crisi d’astinenza erano lunghe e dolorose... e fatali. La RIP era la nostra unica fonte, e ciò ci rendeva leali e obbedienti.