Il Luogo della Comprensione.

La Casa dove la quiete muore in oscurità totale

Dove loro bevono immondizia e mangiano pietra

Dove loro portano penne come uccelli

Dove nessuna luce mai invade la loro oscurità eterna

Brutto risveglio.

Nausea. Schifo.

Poco male, oggi tutto questo finisce.

E' l'ultima nausea.

L'ultimo schifo.

L'ultimo brutto risveglio.

Oggi finisce.

Oggi lo ammazzo.

Oggi, quando entra con la brodaglia.

Sì, è deciso, oggi lo uccido.

Quando lo sentirò armeggiare con i catenacci, mi appiattisco contro la parete affrescata e aspetto.

E lo uccido.

Oggi.

A morsi.

Avrei dovuto farlo ieri, o ieri l'altro, o prima, ma sono ancora in tempo.

Quando mette dentro il brutto muso, gli salto addosso e lo uccido.

A morsi.

A unghiate.

Posso farlo, posso ancora farlo.

Ma oggi.

Devo farlo oggi. Domani potrei non avere sufficiente lucidità, domani sarò un po' più torpido, come oggi lo sono di ieri.

Oppure potrei aspettare.

Attendere che mi allunghi la ciotola con la broda.

Concedergli il tempo di rivolgermi le sue abituali, martellanti domande sulle visioni.

E assalirlo quando si volta per uscire.

Sì, è il modo giusto di attaccare.

E' un piano migliore.

Così non se lo aspetta.

Sì, quando avrà abbassato la guardia.

E l'uccido.

Oggi.

A morsi.

A unghiate.

A calci.

Con l'impugnatura aguzza del pennello sottile.

Sì, oggi l'ammazzo, frustrando per sempre l'insaziabile curiosità che lo spinge a interrogarmi sulle visioni, sugli sprazzi di sogno che, sempre più frequentemente, mi raggiungono con proditori tormenti...

I Cieli ruggirono di tuono

Poi venne oscurità e calma come morte

I fuochi arsero illuminando il terreno ubriaco

Morte precipitò dai cieli

Quando il calore scemò e i fuochi sopirono

Le pianure erano divenute cenere

I passi.

Ascolto il tonfo sordo sugli scalini di legno. Gli scalini che si arrampicano sulla parete esterna della torre, la mia prigione. L'avviluppano a spirale, come un massiccio braccio d'edera. Non custodisco memoria d'averla vista dall'esterno la torre, ma so, per una sorta d'inspiegabile intuizione, che è stata costruita a base circolare e che è così che si arriva in alto... Ascolto il tonfo sordo dei sandali. Prima lontano, ovattato, e poi sempre più netto. Mano a mano che il carceriere sale per raggiungere la porta in cima alla torre. L'unica porta della torre. In cima alla torre. Quella che dà accesso alla mia cella. Là dove finisce la scalinata di legno, il braccio d'edera.

Odio l'edera. La odio da sempre. Le sue foglie sono troppo simili alla zampa palmata della rana. Lucide. Lucide e viscide.

Resto ad ascoltare i tonfi sugli scalini di legno. Li conto. E i tonfi diventano colpi secchi. Continuo a contare e i colpi finiscono. Il mio carceriere è dietro la porta.

Oggi lo ammazzo.

A morsi.

A unghiate.

A calci.

Gli cavo gli occhietti malefici con l'impugnatura aguzza del pennello sottile. Quando si volta per uscire, così non se lo aspetta. E poi mi precipito giù lungo la spirale della scalinata. Posso farcela. Devo scendere, non salire. Le forze mi basteranno. E una volta ai piedi della torre, corro a perdifiato verso... corro via a perdifiato... Ma in quale direzione? Che cosa c'è fuori? Città o solo deserti assolati? Sento che dovrei saperlo, so che dovrei conoscere molte cose e molti luoghi...