Il piccolo piper giallo volteggiò ripetutamente sopra Bahia de São Marcos, col pilota attento a non avvicinarsi troppo alle nuvole che, da nord, minacciavano tempesta.

Il fuoco, che già da due giorni divampava attraverso la vegetazione dell'isola e lasciava dietro di sé sentieri carbonizzati, si allontanava crepitando verso il mare, per poi ritornare di nuovo nel risucchio del calore e riprendere il suo cammino insensato. Poi il nubifragio tanto atteso ricacciò le fiamme nella cenere grigio ferro degli alberi caduti, costringendo le braci a nascondersi nel cuore umido dei tronchi, e a morire.

Il pilota attese paziente, girando al largo, sopra le onde indisciplinate dell'Atlantico. Non appena la tempesta diresse la sua furia altrove, tornò nell'anima della devastazione, sorvolando l'isola fumante e incenerita.

Si abbassò di quota e liberò lo sciame di coleotteri.

La fioritura di ali lucenti e corazze si allargò come in un'esplosione di schegge di vetro, e alla fine fu uno degli ultimi nati a trovarli. I due cadaveri giacevano come ombre nere a ridosso di uno strapiombo roccioso. Il fuoco li aveva liberati dal groviglio di liane fiorite e felci, attaccando loro addosso i vestiti, cancellandone i lineamenti e sciogliendone gli occhi, affinché non potessero vedere l'inferno. A pochi metri l'uno dall'altro, giacevano in una posa disumana, contorti come le loro ossa che sembravano esplose; la fune rossa che li teneva legati stava disfacendosi nella brace.

Il coleottero planò con delicatezza sul torace divelto di uno dei morti e da lì, mentre il vento che se ne veniva su dal mare cominciava a spazzare via il fumo, inviò il segnale.

Il pilota, dopo aver dato una rapida occhiata al livello del carburante, segnò la posizione e, accompagnando la manovra con un sorriso soddisfatto, virò in direzione di Cabo do Bom Jesus.

* * *

Visto da lontano "il termitaio", la casupola di Pablo Casals, dava l'impressione di essere stato abbandonato da qualche decennio. Non che avvicinandosi il quadro migliorasse poi tanto.

Ian Jess salì con cautela i tre scalini che davano sulla veranda d'ingresso. I passi erano frenati, posati quasi al rallentatore, un po' perché non si era mai abituato a schiacciare tutti quegli insetti, un po' per la paura che le assi potessero cedere da un momento all'altro.

- E' permesso? - chiese varcando la soglia.

All'interno non c'era più brulicare, ma restava il fruscio. Anzi, si faceva più ottuso, cupo, amplificato dallo stanzone semi vuoto come da una cassa di risonanza. Fruscio continuo, notte e giorno, miliardi di zampette a inseguirsi senza posa dentro le pareti. Le termiti avevano scavato tutto tranne l'ultimo mezzo centimetro di legno che separava la baracca dal suo disastroso crollo.

- Ehi, Rosso. Cercavi me o eri venuto a rubarmi qualcosa?

Jess sobbalzò di almeno un palmo. Buttò un'occhiata al panzone alcolico di Casals, chiedendosi ancora una volta come diavolo facesse a muoversi silenzioso come una pantera.

- Rubare cosa? - rispose il "rosso" guardandosi intorno.

Il colore glielo davano le guance istoriate di lentiggini e la barba di qualche settimana, non tanto i capelli che ormai erano solo un ricordo. Casals sorrise mentre tirava via il tappo da un fiasco pieno di distillato color dell'urina.

Il solo odore stordì lo scozzese.

- Questo per esempio - disse Casals. - Una bomba da cinquanta gradi. - Vedendo che l'altro non aveva intenzione di fargli compagnia, baciò di nuovo la bocca della bottiglia, con un sorso da un quarto di litro. - Allora, qual buon vento?