La cosa che colpisce di più di M.Night Shyamalan è la sua risata. Velocissima e vagamente isterica è perfetta per un uomo dal senso dell'umorismo fortemente sviluppato come quello di questo trentaquattrenne regista nato in India, diventato in breve tempo un autore di culto per film come Il sesto senso, Unbreakable, Signs e l'ultimo straordinario The Village che può - probabilmente - essere considerato come il suo capolavoro. Shyamalan, di persona, ha un carisma notevole: affabile, diretto, mai scontato o volutamente cerebrale, è un autore in gamba, capace di grande introspezione e - al tempo stesso - di un'ironia divertita e gentile. Diverso dall'ossessivo reclusivo di cui - in genere - si parla, è mosso da una grande passione per il cinema e - soprattutto - è pronto alle prossime sfide della sua carriera nata, spiega, dall'ispirazione del lavoro svolto da Steven Spielberg e George Lucas a cavallo tra la fine degli anni Settanta e i primi mesi del decennio successivo.

Delos ha trascorso un'intera giornata con lui.

The Village è un film di fantascienza pura. In America, però, insistono nel definirlo come un "horror"...

Non credo che horror sia una definizione adatta a nessuno dei miei film. E' un'etichetta che mi hanno appiccato in America e che - come risultato - ha avuto, per esempio, quello di mia sorella che non vede i miei lavori dicendo: "Non mi piacciono i film che fanno paura." Spero che con The Village allargherò questa definizione e sicuramente The Village è un film pensato per rendere più ampio lo spettro di questo tipo di delimitazioni Confido che dopo questo film il pubblico abbia capito che il mio cinema merita una caratterizzazione più ampia.

Che tipo di film è per lei?

Per me è una storia d'amore gotica.

The Village non ha avuto un risultato straordinario al box office americano. Come se lo spiega?

Ci ho pensato molto: anche se è andato bene se un mio film non entra nella top ten dei dieci film più visti di tutti i tempi, qualcuno non riesce a farsene una ragione. E' successo con Unbreakable e accade di nuovo oggi. E dire che The Village e Unbreakable sono, tra quelli che ho fatto, i miei film preferiti. Forse sono rimasti delusi dal fatto che in questo caso il soprannaturale non era reale. In America si aspettano da me sempre lo stesso tipo di film. In questo caso, invece, sono convinto che in Europa siate più aperti a vedere film appartenenti a generi differenti.

Parliamo di fantascienza...

Che tipo di film fa Steven Spielberg? Credo che, ironicamente, mi abbia mostrato come il cinema possa essere al tempo stesso arte e divertimento. Lui stesso, poi, ha scelto di fare o l'uno o l'altro. All'inizio, però, della sua carriera è riuscito a fare film che contenessero entrambi gli elementi. E.T., per esempio era un dramma intimista, ma - al tempo stesso - anche un grande film di fantascienza. Il mio sogno è quello di portare avanti una carriera fatta di questo tipo di incontri e contaminazioni.

Lei viene spesso paragonato ad Alfred Hitchcock...

E' vero, ma credo si tratti più che altro di una grande attestazione di stima. Hitchcock era un maestro che ha girato una cinquantina di film di cui tredici o quattordici possono essere considerati dei veri e propri classici. Normalmente un grande regista ha quattro o cinque film che possono essere considerati dei classici. Nel suo caso la quota è davvero straordinaria... Io sono stato influenzato da molti registi, ma il mio cinema resta legato alla suspence. Dovrei riflettere in maniera non più naturale per cambiare il mio atteggiamento registico. Non credo di copiare Hitchcock, anche se evidentemente lo ammiro molto. Del resto il mio amore per il cinema è nato in maniera completamente diversa. Sono nato nel 1970: da quando avevo sette fino ai dodici anni Spielberg e Lucas hanno girato film come Guerre Stellari, I predatori dell'Arca Perduta e E.T. Questo tipo di cinema ha trasformato la mia vita facendomi scegliere la carriera di regista. Stilisticamente, però, le mie influenze sono quelle di Kubrick e Hitchcock. I temi appartengono ai primi due, il tipo di narrazione che scelgo agli altri due.