Sei libero di pensare? Sei davvero in grado di compiere scelte in maniera autonoma? Benché tu possa non essere d'accordo con me, lascia che ti dica che molto probabilmente la risposta a entrambe le domande è "no". Gli ultimi cinquant'anni, ma in particolare gli ultimi venti, hanno visto una crescita esponenziale dei metodi di diffusione dell'informazione. Senza entrare nel merito specifico della loro qualità, i media si sono espansi per quantità e velocità, diventando sempre più invasivi e pervasivi. Televisione, editoria, telefonia cellulare, Internet, tutto ciò che fa cultura e comunicazione contribuisce a creare e a diffondere (consapevolmente o meno) "memi" che si insinuano nella mente delle persone e si replicano, contagiando altre menti come vere e proprie epidemie di idee. Ma non basta. Essi evolvono e condizionano i tuoi pensieri e le tue azioni senza che tu te ne accorga. Sei scettico? Vedremo se lo sarai anche alla fine di questo articolo. Andiamo avanti. Che cosa sono dunque questi "memi"? Il primo a parlare del concetto di "meme" fu Richard Dawkins nel suo celebre Il gene egoista (1976, Mondadori). "Meme" è l'abbreviazione di "mimeme" dalla radice greca che significa imitazione e per il celebre biologo costituisce l'analogo culturale di quello che per la biologia è il gene. Esiste infatti una potente analogia tra la trasmissione e l'evoluzione dei memi e la trasmissione e l'evoluzione dei geni. Il DNA, ovvero il gene, è la molecola replicante che, partendo da una sorta di brodo primordiale, ha prevalso negli organismi biologici, mentre il meme è "l'unità base della trasmissione culturale o imitazione". Per Dawkins un meme può essere "un motivetto, una frase a effetto, i vestiti alla moda, forme di vasellame o di arcate".

Nel corso degli anni a venire, durante i quali il concetto di "meme" è stato studiato e si è sviluppato, sono poi sorte altre definizioni, come quella psicologica di Henry Plotkin secondo cui "un meme è l'unità dell'eredità culturale analogo al gene, [...] la rappresentazione interna della conoscenza", o quella di Richard Brodie in base alla quale "il meme è un'unità di informazione in una mente, la cui esistenza influenza eventi tali che più copie di esse vengono create in altre menti". Ecco alcuni esempi piuttosto comuni. Una canzone che resta in vetta alla hit parade per molte settimane contiene buoni memi, una religione che fa molti proseliti ha alla base buoni memi, un politico che riesce a farsi eleggere ha diffuso buoni memi.

Ma attenzione: con "buoni memi", non si intendono tanto memi che abbiano caratteristiche buone o positive, quanto piuttosto di memi che possiedono un'elevata capacità di replicarsi, proprio come i geni. Insomma, come il gene si trasmette di generazione in generazione secondo le regole biochimiche proprie della basi azotate e condiziona l'aspetto e il funzionamento del corpo in cui abita, il meme si trasmette di cervello in cervello secondo regole che vedremo più avanti, e condiziona il comportamento della mente in cui riesce a mettere radici. Da questo punto di vista il gene è l'elemento basilare che costituisce l'hardware, ovvero il nostro corpo, mentre il meme è il mattone fondamentale che costituisce il software, ovvero la nostra mente. Il punto centrale è che, come secondo Dawkins avviene per il gene, l'unico scopo del meme è di sopravvivere e replicarsi il più possibile, proprio come un virus. E questo il più delle volte avviene in maniera non consapevole, andando così a mettere in dubbio la libertà di pensiero del soggetto.