Senza entrare in dettaglio sulla storia della grande fioritura della distopia negli anni Cinquanta (per riviste come Galaxy - e per le edizioni italiane delle opere e degli autori qui citati-posso solo rimandare, come sempre, agli indici del Catalogo di fantascienza, fantasy & horror curato da Ernesto Vegetti: www.fantascienza.com/catalogo/), limitiamoci a dire che, in gran parte di quelle che Kingsley Amis chiama, nel suo celebre libro del 1960, Nuove mappe dell'inferno, il modello un po' nostalgico di Bradbury viene confermato e affinato (gli esempi migliori, soprattutto nel racconto, aggiungeranno l'elemento satirico, derivato dai Viaggi di Gulliver di Swift). Davanti alla società massificata e irreggimentata, la via d'uscita è sempre un ritorno al passato, un recupero del precedente stato di cose o una fuga nel nome dell'individualismo classico-come in alcuni dei primi romanzi di Robert A. Heinlein negli anni Quaranta. La società dei consumi può essere basata sulla persuasione occulta della pubblicità come in I mercanti dello spazio (The Space Merchants, 1952) di Pohl & Kornbluth, le compagnie di assicurazione in Rischio di vita (Preferred Risk, 1955) di Pohl & Del Rey, i supermercati in Il lastrico dell'inferno (Hell's Pavement, 1955) di Damon Knight, il mito dell'imprenditore-superuomo da imitare anche nell'apparenza somatica in Destinazione stelle (The Stars My Destination, 1953) di Alfred Bester, e così via. Così, nei Mercanti dello spazio, si cerca un'alternativa fuori dal mondo, più che un'opposizione al suo interno: davanti alla società stagnante e oppressiva si fugge verso la Nuova Frontiera del pianeta Venere. Anche a questa tradizione continueranno a far riferimento film degli anni Settanta come THX 1138 di George Lucas e Zardoz di John Boorman, o degli anni Novanta come Dark City di Proyas e The Matrix dei Wachowski. Le opere più cupe, invece, faranno entrare in ballo lo spettro della Bomba e dell'olocausto nucleare.

Un punto di passaggio sono gli anni Sessanta, quando Harry Harrison e John Brunner imporranno il tema della sovrappopolazione. Il cambiamento, dunque, è da un'oppressione che si rivolge principalmente al controllo della mente del cittadino a un'invasione ancora più intima, quella del corpo, che aveva avuto precursori in La rivolta dei pedoni di David H. Keller (1928) e in Limbo di Bernard Wolfe (1952): una artificializzazione dell'esistenza che va molto più a fondo della "semplice" manipolazione dell'opinione pubblica.

Ancora di più un punto di svolta è Philip K. Dick. Dagli anni Cinquanta in poi, sempre la lotta contro la distopia è una lotta dall'interno, senza l'opzione rassicurante della fuga nel luogo incontaminato. La mente è sempre manipolata (dalle droghe, dal conformismo, dal consenso, dall'ideologia), e lo spazio è, in fondo, uguale al nostro mondo. E in una delle sue ultime distopie, il postumo Radio libera Albemuth (Radio Free Albemuth) la possibilità di liberazione sta ancora in una cultura di resistenza: ma stavolta sarà una cultura imbevuta di modernità e tecnologia, la musica ascoltata dai ragazzini della sua California disseminata di gulag.