Erano quelli i momenti in cui avrebbe voluto mollare tutto. Quella tensione, quel rischio non erano per lui. I momenti in cui il suo corpo, con il suo primigenio istinto di sopravvivenza, prevaleva sul cervello, sulle idee, le convinzioni. Reclamando nella sua lingua, brividi e spasmi, la fuga, l'abbandono di quella strada insidiosa. Poi, come una febbre momentanea, spasmi e brividi si acquietavano addormentati dalle endorfine, le sinapsi disperdevano il messaggio d'allarme nei loro infiniti meandri e permettevano di riunificare il corpo e la mente che la paura aveva separato. Per un altro giro, un'altra prova, un altro rischio. Fino a quando? Aveva davvero la mente il potere di portare alla morte il proprio corpo? Come le macchine, come il loro possibile impazzimento auspicato dal professore. Se così era, le macchine, la Tecnica erano ricalcate sull'uomo, figlie della superbia della mente. Quella che sempre aveva prodotto catastrofi, quella che stava azzerando il pianeta nel predominio dell'artificialità umana sulla natura. Le sue leggi, la sua etica. Quella che dagli albori della civiltà, forte della parola, aveva confuso, svilito, annullato il linguaggio antico e muto del corpo. Ma se nella mente c'era la Tecnica e nel corpo la Natura, chi bisognava seguire? Il pensiero vacillava, confuso nel bandolo della matassa. Poi la memoria e il rancore per gli scempi tagliavano il nodo riprendendo d'imperio il controllo. I dubbi accantonati, la determinazione riconquistata. Doveva andare avanti.

Si era fatto buio, e non aveva potuto notare alto sopra il palazzo il piccolo SR12. Lo Spy&Research elettronico fermo minaccioso nell'aria come il pendolo sul pozzo. Come ogni volta aveva compiuto giri viziosi nella città. Cercando di confondersi nei luoghi più affollati. Nell'unità igienica di un War Game Meeting si era tolto scarpe e vestiti e li aveva passati sotto il disinfestatore, pensando che il Monopolio, nella paranoia igienista che inculcava da decenni, forniva anche gli strumenti per far perdere le proprie tracce. Aveva preso una navetta, poi un'altra. E aveva camminato cercando di sfruttare l'angolo morto dei rilevatori elettronici che in ogni dove controllavano i movimenti nella città.

Entrò nel portone guardandosi alle spalle. L'ascensore ad aria compressa lo portò al decimo piano in un soffio ovattato. Inserì nella porta la tessera magnetica e compose il codice di sicurezza. Benvolio aveva modificato la normale serratura a codice e si aprì uno sportellino sotto il tastierino. Scrutando nel corridoio Mercuzio avvicinò l'occhio per il riconoscimento dell'iride. La porta si aprì. Mercuzio entrò, se la chiuse alle spalle e ci si appoggiò contro.

Benvolio si affacciò dall'andito del soggiorno. Lo guardò sorpreso e interrogativo.

- Mercuzio! Tutto bene?

- Sì Benvolio, tutto bene. - rispose Mercuzio sollevandosi dalla porta con uno scatto di falsa leggerezza.

- Il professore? - Domandò ansioso Benvolio.

- Sta bene... Forse un po' più pessimista del solito. Ma lui ha sempre la testa da un'altra parte. Beato lui. Novità?

Benvolio gli rimandò uno sguardo affranto.

- Ho avuto conferma dal mio amico medico. Non voleva parlare, aveva paura. Nell'ospedale non si fidava. Ci siamo incontrati nel centro dati dell'Università. Lui davanti a un terminale io a quello vicino. Come se non ci conoscessimo. Parlava facendo finta di leggere i dati a video prima di trasferirli sul Personal Bank...

- E allora? - lo incalzò Mercuzio.