Dai piselli ai cromosomi

Gregor Mendel (1822-1884).
Gregor Mendel (1822-1884).
Era il 1860 quando Mendel giunse alla conclusione che esisteva un insieme di fattori in grado di controllare i diversi caratteri delle piante. Per ciascuno di questi fattori, ogni pianta doveva averne una coppia, uno ricevuto dalla pianta madre e uno ricevuto dalla pianta padre. In questo modo ciascuna pianta genitrice trasferiva alla pianta figlia solo metà del suo insieme di fattori, mentre l'altra metà veniva fornita dall'altro genitore.

Di ciascun fattore, poi, potevano esistere diverse varianti. Ad esempio per il colore dei semi doveva esistere il fattore per il colore giallo e quello per il colore verde, stessa cosa per i semi lisci e ruvidi, eccetera, eccetera. Ma Mendel si rese conto anche che ogni volta che incrociava una varietà di piselli dai semi gialli con una dai semi verdi, veniva fuori sempre una varietà con i semi gialli, mentre per ottenere una varietà con i semi verdi doveva incrociare due varietà con i semi verdi. Questo lo portò a concludere che alcuni fattori, pur non scomparendo dal patrimonio dell'insieme di fattori dell'individuo, dominavano sugli altri.

A seconda degli incroci successivi, il monaco scoprì che un certo carattere poteva ripresentarsi in una generazione successiva. In particolare Mendel osservò che, partendo da una coppia di genitori aventi ciascuno una coppia di fattori diversi di cui uno domina normalmente sull'altro, la probabilità di ottenere una discendenza che mostrasse l'evidenza della caratteristica non dominante era solo di un quarto. L'unico caso favorevole alla crescita di una pianta che mostrava una caratteristica non dominante era che entrambi i fattori che determinavano quella caratteristica dovevano essere non dominanti. Nelle altre tre possibilità (caratteristica dominante dal padre e non dominante dalla madre, caratteristica dominante dalla madre e non dominante dal padre, caratteristiche dominanti da entrambi), esisteva sempre la presenza di almeno un fattore dominante che oscurava l'altra caratteristica.

Mendel si rese conto inoltre che le caratteristiche venivano trasmesse separatamente, il colore dei semi, la loro ruvidità e la lunghezza del fusto, prova ne era il fatto che potevano essere mescolate separatamente. Nonostante le notevoli conclusioni cui giunse, gli studi di Mendel non vennero presi in considerazione per quasi quarant'anni. Mendel inviò le sue osservazioni a un botanico svizzero di grande fama, Karl Wilhelm Von Nageli che liquidò gli studi del monaco come pretenziosi, un giudizio incoraggiato dal fatto che Mendel era niente di più di uno sconosciuto dilettante.

Alla fine Mendel riuscì a pubblicare i suoi studi solo su un giornale austriaco, ma passarono inosservati fino al 1900, quando Hugo De Vries, Karl Erich Correns ed Erich von Tschermak giunsero indipendentemente l'uno dall'altro alle stesse conclusioni di Mendel. Così, dopo aver controllato precedenti pubblicazioni sull'argomento, tutti e tre trovarono il vecchio lavoro di Mendel e tutti e tre attribuirono il merito della scoperta al monaco ormai morto da vent'anni.

Nel frattempo, l'esplorazione della cellula continuava. Nel 1882, il già citato Flemming aveva pubblicato i risultati delle sue ricerche, osservando che durante la divisione cellulare, all'interno del nucleo la cromatina si addensava formando dei filamenti che venivano trascinati metà da una parte e metà dall'altra, per finire così divisi dentro le due cellule che risultavano dal processo di divisione cellulare. Flemming chiamò questo processo "mitosi" (dal greco "filo"), giacché sembrava che questi filamenti di cromatina avessero un ruolo cruciale nella fase di divisione cellulare.

Sei anni più tardi il tedesco von Waldeyer introdusse per questi filamenti il nome con cui li conosciamo ancora oggi: "cromosomi" (dal greco "corpi colorati"). Naturalmente, ai primi del '900, dopo il ritorno alla ribalta degli studi di Mendel, la maggior parte dei biologi fu convinta che doveva esserci una relazione tra l'insieme di fattori che venivano passati da una generazione all'altra e i cromosomi. Sembrava una cosa piuttosto logica. Il primo a fare questa considerazione sembra essere stato nel 1904 l'americano Stanborough Sutton il quale, sapendo anche che nelle cellule riproduttive i cromosomi sono la metà che nelle cellule del resto del corpo, osservò che i cromosomi venivano passati a coppie da una generazione all'altra, metà dal padre e metà dalla madre. Tuttavia c'era un problema. Le coppie di cromosomi erano molto minori rispetto alla quantità dei caratteri che potevano venire trasferiti alle generazioni successive, quindi i cromosomi non potevano essere i riferimenti diretti dei fattori ereditari. Ci doveva essere qualcosa, legato ai cromosomi, che consentiva un maggior numero di possibilità rispetto al trasferimento del corredo dei fattori ereditari.