Tutti i miei Diavoli (pagg. 31, senza indicaz. di data e di prezzo)

Zanzibar. Cronache ed emozioni su una rilettura dell'Odissea (pagg. 28, id.)

Lezioni di Follia (pagg. 35, id.)

Chi di noi, lettore o scrittore, non ha mai provato a mettere su carta qualcosa "per il puro piacere della scrittura"? Ben pochi, credo, possono dire di non averlo fatto. Magari poi abbiamo abbandonato i nostri scartafacci in un cassetto, o sono andati perduti. Perché scrivere per il semplice gusto di farlo significa (di solito) creare qualcosa di "impubblicabile" nel senso di "estraneo" - quasi per definizione - alle collaudate regole di mercato quanto a tematiche, scrittura, lunghezza dei testi e così via. Difficilmente insomma queste composizioni potrebbero avere una diffusione.

Allora perché scriverle? Evidentemente per lo stesso motivo per cui talora si tiene un diario: sfogare un nostro impulso del momento legato a ricordi, eventi, esperienze, timori, sensazioni. Che ci importa se non verremo letti? Il diario è anzitutto un libro "segreto" che se ne frega della struttura, del punto di vista, dei dialoghi, della caratterizzazione dei personaggi, della suspence, della eccessiva verbosità e quant'altro. E se anche un eventuale "qualcun altro" un domani lo leggesse, probabilmente ne perderebbe gran parte del senso, giacché nella circostanza non ci siamo sentiti in dovere di spiegare antefatti, motivazioni e così via.

Ovviamente ho estremizzato: ci sono diari che in qualche modo rispettano alcune delle convenzionali "regole" di leggibilità, tipo quelle che regolano il genere "racconto"; ma che restano sempre in qualche modo diversi. Ci sono anche libri che sono diversi: per esempio quelli che l'autore stesso si compila, allorché vince un concorso letterario che prevede, come premio, alcune copie di un libro inedito. E' un caso, questo, in cui il volume non può dirsi prodotto in proprio, ma nel quale l'autore può una volta tanto sbizzarrirsi infischiandosene delle bizze di curatori, editori, distributori e mercato.

Antonio Briganti è uno scrittore di fantascienza del quale ho presentato su Delos n. 89 (aprile 2004), nella rubrica Quando le radici, il racconto Una macchina o che cosa?, pubblicato in prima edizione nel 1967. Ora ho fra le mani tre suoi brevi libri, quasi dei fascicoli. Briganti (come dichiarava egli stesso nel brano autobiografico diretto ai lettori di Delos, in calce alla introduzione al racconto) non si occupa più di science fiction; è però tra coloro che hanno conservato il "vizio" della scrittura.

Secondo me ha fatto benissimo, anche se questi suoi tre piccoli libri vedono la luce a loro volta, come dicevo sopra, quasi come sfogo personale: a metà dunque fra diario intimo e racconto tradizionale, e pertanto senza illusione (forse senza neanche volontà) di ottenere un'ampia diffusione: è infatti l'autore medesimo che se li crea e cura, e a volte li offre in lettura: ovviamente a una cerchia scelta e ristretta di amici.

Dico che ha fatto benissimo a non perdere l'abitudine perché, secondo me, in queste brevi opere ho anzitutto trovato - per quanto mi riguarda - un Briganti più evoluto linguisticamente (be'... dal racconto citato sono trascorsi quasi 40 anni...), capace di calamitare il lettore nonostante (come detto) un impianto quasi da diario intimo, e in grado di narrare eventi "strani", autentici o fantasticati, in modo coinvolgente, mescolandoli indissolubilmente con personali - e mai banali - riflessioni.