Quando le radici: Antonio Briganti

L'autore che presento stavolta, Antonio Briganti, pubblicò appena sei racconti di fantascienza, tutti fra il 1963 e il 1966: cinque su Oltre il Cielo e uno su Galassia...

Antonio Briganti: leggi la presentazione di Vittorio Catani

Non ho l'abitudine di leggere a letto. Il sonno entra a far parte della mia giornata né più né meno come uno degli altri elementi, ineliminabili, che la compongono. Il breakfast al mattino, il turno all'Istituto, l'intervallo di mezzogiorno con relativa, rapida colazione e poi, di nuovo, il turno pomeridiano fino alle cinque. La colazione è colazione, il lavoro è lavoro, il termine del lavoro è il termine del lavoro. Non esiste né amalgama fra loro e neppure spiraglio su una possibile diversione.

Gli elementi che compongono la mia giornata sono isolati ed esclusivi. E il sonno è uno di essi. O, almeno, dovrebbe esserlo. Sonno e nient'altro. Non leggo a letto, è vero. Però non mi è neppure possibile addormentarmi di botto appena mi ci metto. Inevitabilmente devono trascorrere alcuni minuti, prima.

E da lungo tempo mi è quasi naturale e istintivo servirmene per una specie di rendiconto un po' su tutto quanto ho attraversato durante il giorno, quello che probabilmente mi aspetta e anche, seppur di rado, su nulla di realmente definito.

Allora subentra quasi una babele di voci in me, in sordina, che mi è impossibile seguire una per una e solo mi riesce di coglierne l'impressione generale, una impressione di moltitudine, di pluralità che non so da dove possa venire.

Tutto è probabilmente andato avanti in questo modo da molto tempo. Dico probabilmente perché mi sembra che nonostante scatti di stipendio, compiti nuovi che entravano nella mia responsabilità, altri vecchi che ne uscivano, eccetera, nulla sia sostanzialmente cambiato: la colazione è colazione, il lavoro è lavoro, il sonno è sonno. Ma credo che da pochi giorni le cose stiano cominciando a mutare.

Impercettibilmente ma sostanzialmente. E' stato tre giorni fa, anzi, per essere esatto dovrei dire tre sere fa, perché fino al momento in cui sono entrato nel letto, ho spento la luce, ho trascorso i primi secondi, tutto era stato più che regolare. Poi no. Poi mi sono accorto che qualcosa era cambiato nella sostanza, nel tessuto dei miei pensieri. Non nel loro significato, vorrei chiarire, ma proprio nell'essenza, la loro "materia componente".

Avevano smesso di essere solo astratte capacità di riportare immagini, o di lavoro concettuale, i miei pensieri; confusamente, li sentivo ancora concreti, quasi blocchi plasmabili che sfuggivano a ogni immagine o esperienza pregressa, ma che pure avvertivo presenti in modo solido dentro... O fuori di me.

Era un po' come se, senza averla mai vista, al buio, mi fossi trovato improvvisamente nelle mani un blocco di creta e mi fossi accorto della possibilità di plasmare. Una constatazione e una possibilità di cui mai si è fatta esperienza.

Non stetti a chiedermi, sul momento, se avessi potuto mai stabilire un ponte, un rapporto diretto fra quella nuova sfera di possibilità e la situazione razionale attorno a me. E neppure mi chiesi, se anche vi fossi riuscito, in che forma questo rapporto si sarebbe potuto sviluppare, che cosa avrebbe comportato, quali ne sarebbero state le conseguenze. Era una cosa troppo insolita, fuori dagli schemi usuali, e fu naturale che me ne abbandonassi senza chiedermi né che cosa e poi e se.

Dovetti rimanere assorto in quella nuova prospettiva molto più di quanto credessi, perché la mattina faticai non poco a svegliarmi.

Mi alzai intontito, mi cacciai sotto la doccia e ne uscii un po' meglio.

Terminai il resto delle mie abluzioni mattutine, andai a prendere il latte e il giornale sulla soglia di casa, misi il latte a scaldare e, al solito, scorsi i titoli più in evidenza, ma ero ancora abbastanza stordito per capire interamente ciò che leggevo. Feci colazione, finii di vestirmi, uscii, tirai fuori la macchina dalla rimessa e mi diressi verso l'Istituto.