Era il ventitré luglio l'ultima volta che ho visto una spiaggia. Dani buttava pugni di sabbia in aria e la sabbia era spinta dall'aria sui bagnanti stesi al sole.

- Dani! - disse suo padre. La piccola prese un altro pugno di sabbia e lo lanciò in aria. Era concentrata, molto concentrata su ciò che stava facendo.

- Adesso basta! - disse suo padre e le aprì la mano senza tanti complimenti. Io tifavo per Dani, anche se avevo la pancia impolverata di sabbia diventata un tutt'uno con la crema solare.

Sulla spiaggia di Jesolo era caldo davvero. Solo vicino al mare c'era un po' d'aria e eravamo tutti là. Io e mia moglie Caterina, Willy il mio capo con sua moglie Carla e la piccola Dani, la loro bambina di tre anni. Eravamo là con altre migliaia di persone, una foresta di gambe e glutei, pance e cosce, teste e ancora gambe e piedi.

Quelli sdraiati che prendevano il sole non mi davano pensiero; erano gli altri, quelli che andavano avanti e indietro sulla spiaggia a preoccuparmi. Gruppi compatti di marciatori-guerrieri con petti villosi e pance gonfie, oppure ragazzi muscolosi e completamente senza peli, poi donne-ragazze e donne in pensione e bambini con la schiena arcuata e il culo in fuori, tutti che andavano avanti e indietro. Speravo avessero una meta.

- DANI! - disse suo padre rialzandosi per l'ennesima volta dall'asciugamano rosso e andando verso la piccola che sembrava avere il compito di insabbiare tutti.

Trovavo che Willy avesse molta pazienza con sua figlia, molta di più di quanta ne usasse in ufficio con le ragazze in contratto di formazione e con me.

Willy però non sapeva una cosa, un piccolo segreto che gli avrei svelato solo a settembre: mi sarei licenziato. Caterina era d'accordo, quel lavoro all'agenzia pubblicitaria non mi faceva più bene. Era deciso per settembre.

Probabilmente non saremo stati più al mare con il mio datore di lavoro e sua moglie come si faceva da dodici anni. Proprio no.

- DANI NO! - gridò Willy alla figlia che stava sradicando l'ombrellone di una coppia vicina. Stavolta mi alzai e la presi per mano. Ero tutto indolenzito a forza di stare sdraiato e mi alzai con sollievo.

- Andiamo a fare ciak-ciak - le dissi nella sua lingua. Voleva dire che lei correva sulla battigia e io cercavo di non perderla nella foresta di gambe in movimento.

Carla e Caterina mi guardarono allontanarmi e io le salutai. Dopo mi toccò affrettare il passo per raggiungere Dani lanciata verso le onde.

Non le ho più riviste, e nemmeno i loro corpi. L'ultimo ricordo che ho di Willy è di spalle inginocchiato sull'asciugamano rosso che cerca di stenderlo meglio. Nemmeno il suo corpo ho più rivisto.

Non sono un esperto di mare. Ci sarò stato venti volte in tutta la mia vita, una volta l'anno dall'età della ragione. Non so nemmeno se mi piace o no. Non è per via delle spiagge affollate, per il caldo, o per un certo snobismo che ti spinge a sminuire le cose ordinarie che fanno tutti. E' proprio il mare. Vedere tutta quell'acqua che si muove, avanti e indietro, tutto quel movimento. Una specie di meraviglia della natura.

Quando guardai l'orologio per l'ultima volta erano le 16.45. Dani stava accovacciata sulla spiaggia e con i pugni stritolava sabbia bagnata. S'era fermata un momento e io potevo guardare la gente e pensare a quando avrei detto a Willy che me n'andavo. La notte prima avevo dormito poco e male. C'era una zanzara maledetta in camera che passava e ripassava vicino alle mie orecchie. Poi c'era questo pensiero ossessivo, che continuava a tormentarmi, e la zanzara e l'agenzia pubblicitaria e Willy e il nuovo lavoro.