- Perché quanti anni ha, quella lì, secondo te? - Simone sbattè la cenere, soffiò.

- Sì e no venticinque. Tu ne hai sessanta.

- Di cosa parli?

- Mmm! - Giovanna masticò in fretta una nachos del nuovo cestino e indicò Simone. - Oddio, è vero, fra poco tocca a te!

Simone alzò le spalle. - Sembra sempre che ne ho ventinove, comunque.

- Ho capito, ma all'anagrafe sono sessanta - gli fece presente Emanuela.

- Amorrr, all'anagrafe c'è anche scritto che sono morto nel settantatre, se è per quello.

- Motivo in più per non importunare le vive. - Ema sorrise e gli diede un bacino sulla guancia.

Simone scosse la testa. Guardò gli altri, alzando la bottiglietta. - Allora? - propose.

- Dai, che poi abbiamo anche lo spumante - concordò Emanuela.

Tintinnii di vetri che si toccano. In un automatico gesto rituale, tutti batterono la base delle bottigliette sul tavolo. Bevvero.

Poco dopo attaccarono con lo spumante, un bicchiere dopo l'altro. Prima di andare via, Marco ordinò alla cameriera di portare quattro grappe alla mela verde. La barista lasciò appoggiata sul tavolo mezza bottiglia e chiese dove fosse il luogo, che casomai vedeva se riusciva a esserci.

Marco inventò un nome. La ragazza chiese anche se fosse una cosa stile anni Settanta.

Simone si toccò il lungo colletto della camicia. - Ah sì, è obbligatorio - disse, ed Emanuela nascose un sorrisino.

Quando se ne fu andata, Emanuela si riempì l'ultimo bicchierino e bevve d'un fiato. - Fiuu - sospirò. Sbattè gli occhi lucidi e scosse la testa.

- Eh, la ciòca - fu d'accordo Giovanna, in veneto.

- Picchia, sì. Fortuna che sono già morta.

Si alzarono, dirigendosi fuori. Salutarono la ragazza dietro al bancone. Emanuela barcollò un po', e Simone la sorresse.

- Tènchiu, bello.

- Dammi le chiavi, che guido io.

- Hai paura che andiamo a sbattere?

- Sì amorrr, non mi va di vedere ancora la mia foto sui necrologi.

- Eri venuto bene - disse Emanuela. Poi ci pensò su, e il suo sorrisino si tramutò in una smorfia. Si toccò le tempie. - Mmm. Oddio, scusami.

Simone le mostrò la mano aperta: tutto a posto.

Salirono tutti e quattro sulla macchina di Emanuela. Seduta sul sedile davanti, lei accese l'autoradio mentre Simone faceva retromarcia. Poi si girò verso Marco e Giovanna. - Ci siete? Siete silenziosi.

- Siamo un po' emozionati. - Giovanna sorrise.

Marco si limitò ad annuire.

Emanuela arricciò il naso intenerita.

- Se ci fanno il palloncino è finita - disse Simone mentre arrivavano a un semaforo lampeggiante.

- Sarebbe proprio grossa - rise Emanuela. - Be', magari vedono la Giova col vestito da sposa e chiudono un occhio, dai.

- Dov'è il cimitero, di qua? - chiese ora Simone.

Emanuela smise di sorridere e spalancò gli occhi, indicando la strada. - Destradestradestra!

- Ooops. - Simone mise la freccia e imboccò una stradicciola.

La macchina dietro di loro suonò il clacson.

- Be'? - chiese Simone guardando dal retrovisore.

Emanuela accese una sigaretta. - Le persone vive sono nervosette, lo sai.

- Alle persone vive si può dare una mano a non essere più. Nervosette. Se rompono troppo le balle.

La strada salì, serpeggiando, fin sopra una collinetta. Poco dopo, in basso, la distesa scura del lago notturno. Davanti a loro, oltre una macchia di pini, si intravidero delle luci. La stradicciola si fece ghiaiosa e la macchina arrivò davanti a un prato illuminato da decine di candele.

C'erano sedici persone in tutto. Tutti giovani di ventinove anni, per quello che riguardava l'aspetto. Uno, che era morto solo da qualche mese, portava una bandana sul capo per nascondere la lacerazione dovuta all'incidente con la motocicletta che l'aveva ucciso. Nel pomeriggio si era procurato una vecchia pianola, che ora teneva sulle ginocchia. Altri avevano portato dei bonghi.