- Al solito. Vivono di ricordi.

- Che tu provvedi ad alimentare. - Smette con uno scatto di trafficare nell'appartamento, così simile a un laboratorio. Mi sono sempre chiesto quale sia il peso che si porta dietro. - I ricordi, i pensieri... Si perdono, come le parti del corpo. Lo sai vero che quando li avranno finiti dovrai smettere? - aggiunge con un filo di voce.

Posso solo stringermi nelle spalle.

L'ombra di un sorriso. - Sei una brava persona. Va', e salutami Madame.

La ragazza torna, a volte, di notte, trasformando i sogni in incubi. La milizia cercava carne per il fronte o per le catene belliche; prendevano i sopravvissuti improduttivi che riuscivano a trovare e gli infilavano un sensore sottocutaneo, sperando che si unissero ad altri per poterli catturare in branco.

Vagavo da giorni quando la sentii urlare. Una scala di legno era crollata intrappolandole le gambe e lei mi fissava continuando a gridare, con l'espressione del viso rigida, immobile, come se la bocca che si apriva fosse indipendente da tutto il resto. Allungai un braccio per aiutarla e fu allora che vidi la piccola piastra del sensore emergere innocua dal dorso della sua mano tesa. Il mio terrore diventò una buca cieca nella quale sprofondai in un batter d'occhio, e lei capì. "Non mi lasciare qui..." sussurrò, lasciando spegnere l'urlo d'un colpo. Poi cominciò a strapparsi la pelle della mano a morsi "...Ecco vedi, lo tolgo... lo tolgo... Ti prego."

Corsi fuori inciampando, serrando le labbra contro i conati di vomito, ignorando le urla che erano ricominciate.

Quando mi sveglio saltando via dal letto, la sua bocca imbrattata di sangue che si apre e chiude come quella di un pesce, resta per molto tempo una visione impressa a fuoco sulla retina. E' allora che prendo la carta e mi metto a scrivere lettere senza indirizzo, cercando il perdono tra le righe e sperando che gli altri capiscano.

La verità è che tutti siamo innamorati di Madame.

Su, all'ultimo piano, si respira un'aria diversa. E' vero, c'è il solito abbandono di macerie, di soffitti squassati e muri a dividere spazi inutili che non portano da nessuna parte. Ma con classe.

Lascio sempre per ultima la lettera da consegnarle perché voglio concludere il giro con una storia, ignorando una volta tanto quello che c'è fuori, la sindrome da fame, la pioggia acida dei pensieri e gli inevitabili silenzi.

Madame è sempre nella sua vasca a sfregarsi la pelle, i seni enormi e venati di blu che affiorano alla superficie. Due capezzoli enormi e scuri ha Madame, lo sa e li lascia guardare, per alleviare l'occhio. Ci tiene alla sua pelle pulita, vive nella vasca sbrecciata che le presi da una cantina, colma della poca acqua che trovo in giro e continuamente riciclata. Usa la muffa dei muri e altre cose per fare la schiuma: sempre meglio che niente, dice.

Mi esibisco in un misero colpo di tosse entrando nella stanza. Madame alza il capo interrompendo l'attento esame di un ginocchio. - Piccolo mio. - Il sorriso come un faro. - Da tre settimane non mi porti acqua nuova, la mia pelle ne sta soffrendo.

- Mi perdoni Madame, ma è così difficile trovarne - balbetto intimidito. Lei alza un sopracciglio interrogativo: è molto esperta nel fare commenti senza parlare. - E' arrivata una lettera - aggiungo di scatto porgendole la busta, cercando di dissimulare lo sguardo fisso sui suoi seni.

Madame recupera col dorso della mano una ciocca di capelli che rischia di bagnarsi. - Sarà quell'idiota di mio marito, come al solito - constata facendo spallucce. - Dirà che mi ama, che mi pensa e che prima o poi tornerà per portarmi via. Questo palazzo non ha più niente da offrirmi, lui lo sa, e tuttavia mi lascia marcire qui.