Siccome sono una persona ragionevolmente curiosa, vorrei sapere qual è stata quell'esperienza traumatica della tua vita che ti ha fatto decidere di tentare con il genere fantastico.

Ah, domanda insinuante, questa! Ti ringrazio, Alberto, per avermela posta... Ma ecco com'è andata. Mi capitò una volta, durante il quarto anno di liceo, di cambiare insegnante d'italiano. Il vecchio fu sostituito da un prete salesiano antipatico e saccente, uno di quelli a cui ti piacerebbe staccare tutti i bottoni (tanti!) della tonaca per poi infilarglieli nella... supponenza. L'ecclesiastico amava, fra l'altro, gli atteggiamenti teatrali: ogni volta che riportava in classe i temi corretti, era solito sbattere il corposo fascicolo sulla cattedra ed esclamare con falsa disperazione: - Eh, nemmeno questa volta ho scoperto scrittori, in questa classe! - Sempre la stessa frase. Immancabilmente. Lo odiavo, l'ecclesiastico, lo odiavo dal profondo dell'anima. E, nel frattempo, divoravo quantità industriali di Urania (che un amico mi forniva a pacchetti, sottraendoli alla collezione del papà medico). E così, un bel giorno, quando al tonacato venne la bella idea di proporre, come compito in classe, un tema la cui traccia recitava grosso modo Inventate una storia fantastica, mi fornì, sopra un vassoio d'argento, l'occasione per rifilargli un gustoso horror-fantasy (l'avventura di un certo Francesco Franceschini che vinceva una grossa somma al Rischiatutto con l'aiuto di forze oscure; le stesse che poi lo avrebbero portato alla perdizione) e per strappargli un bel sette meno meno. Ma anche in quell'occasione, e nonostante il sette meno meno, il donboschiano venne in classe, sbatté il fascicolo sulla cattedra e disse: - Eh, nemmeno questa volta ho scoperto scrittori, in questa classe!

- Fattifottere! - pensai. - La vedremo, corvaccio maledetto!

E così, ostinatamente e per maligna rivalsa, continuai a scrivere storie fantastiche (nel senso di "genere"). Ed ogni volta che una cosa mia veniva pubblicata (non di frequente, a dire il vero) ripensavo al tonacato e sollevavo l'indice nell'uso gesto osceno. Lo faccio ancora adesso.

Ecco, è così che è andata, caro Alberto (ma vedi anche risposta alla domanda n° 1).

Il fatto più bello e quello più brutto che ti è capitato da quando sei entrato nel circo letterario.

Ah, domanda seria, questa! Ti ringrazio, Alberto, per avermela posta...

La più brutta? E' presto detto.

Città di Pescara. Hotel Singleton (ma forse si scrive con un'acca da qualche parte). Premiazione della Prima Edizione del Premio Tolkien. Tanti, tanti anni fa. Invitato, verbalmente, a partecipare, in quanto incluso fra i dieci finalisti, me ne stavo seduto timidamente in una poltroncina d'ultima fila. In attesa. La cerimonia di premiazione, prevista per la mattina, fu rinviata al pomeriggio. "Poco male" mi dissi "è l'occasione per trattenermi a pranzo e scambiare due chiacchiere con scrittori più titolati". Nel pomeriggio mi riappropriai della poltroncina d'ultima fila e mi rimisi in attesa. Finalmente la cerimonia iniziò. Chiamarono il decimo classificato, poi il nono, poi l'ottavo... "Cavolo!" pensai "vai a vedere che, fra questi mostri sacri, mi sono classificato anche bene!". Chiamarono il settimo, il sesto, il quinto.... E io con il piede destro puntano alla gamba della poltroncina, pronto a scattare... Chiamarono il quarto, e poi i tre vincitori... Il mio piede rimase tragicamente incollato alla gamba della poltroncina. Il soffitto dalla sala prese a vorticare, trasformandosi in una sorta di cornucopia sghignazzante che sputava targhe di merito e sberleffi.

Poi seppi che, fra i membri della giuria, c'era stata gran baruffa (per questo la premiazione era stata rimandata) e che un giurato (non faccio il nome, tanto ormai chi se ne frega!) aveva avuto un ripensamento e ritirato, non si sa perché, il suo voto favorevole, facendomi escludere dalla rosa dei finalisti. Brutta esperienza. Bruttissima. Tutto sommato, però, quel racconto, che all'epoca avevo intitolato L'inconfondibile puzza di Od, si prese, col tempo, le sue belle rivincite: uscì in edicola, per la Comic Art, sulle pagine de L'Eternauta, con il nuovo titolo Il mio nome è Od, e poi nella mia antologia personale Sette ossi di rana.

La più bella? E' presto detto.

Il racconto Esagrammi, pubblicato da Mondadori nel Millemondi primavera dell'Urania (Strani giorni - 1998). Avevo dedicato quella storia a mio figlio Renzo, morto dopo quattro giorni dalla nascita. L'antologia uscì in edicola lo stesso giorno in cui mia moglie Antonella dava alla luce il mio secondo figlio, Alessandro, che adesso ha poco più di quattro anni (all'epoca dell'intervista, adesso quasi sei). Caro Alberto, tu credi alla casualità? Alle coincidenze? Io no. E non potrò mai ringraziare abbastanza Franco Forte per aver incluso Esagrammi in quella raccolta.