I.

Arek scivolò lungo la scanalatura del gigantesco telescopio. Il grande occhio magnetico puntato contro l'infinito captava senza posa le perturbazioni stellari di lontanissime nebulose.

Nel buio freddo dell'Osservatorio, Arek rabbrividì. Fin dalla nascita, egli sapeva come avrebbe dovuto essere l'Universo. Poi era cominciato il "flagello".

La voce della Gran Madre gli risuonò irritata nel cervello. Da troppo tempo Arek si isolava per pensare, prima di fare il regolare rapporto. E adesso la Gran Madre voleva che lui le si accostasse.

Arek non era mai stato vicino alla Gran Madre, eppure ne conosceva perfettamente l'enorme mole oblunga, giù nella grande caverna. Tutti i Trug nascevano sapendo le cose che dovevano sapere. E il concetto primo era la forma e l'infallibilità della Gran Madre.

Arek scivolò lungo il condotto circolare che dall'Osservatorio portava nella Città. Continuava a sentir risuonare nella mente l'appello imperioso. Il suo corpo ovale aderì perfettamente alla superficie liscia e magnetizzata di un condotto, e si lasciò portare, cercando di radunare i pensieri.

Che ci fosse luce o buio, era per Arek completamente indifferente, per il semplice fatto che lui poteva appena vagamente ricordare il concetto di queste parole. Anche i suoni erano solo vaghi ricordi atavici... Forse, chissà, molti millenni addietro i Trug erano forniti di organi atti a distinguere e a ricevere tali sensazioni. Forse nella Gran Madre riposava il ricordo di quei lontani tempi.

Il condotto era pressoché deserto. Pochi, i pensieri di altri Trug apparivano e si affievolivano subito nella mente di Arek. Per coloro che si trovavano a passargli accanto, il chiaro appello che suonava nel cervello del Trug era ordine perentorio di precedenza.

Così Arek doveva soltanto lasciarsi andare. Tra poco avrebbe sentito contro la sua la pelle della Gran Madre!

Il contatto avvenne, dolce ma deciso. La mente di Arek venne annullata, come se una spugna bagnata gli avesse cancellato ogni ricordo, ogni volere. Poi affluirono i concetti della Gran Madre.

II.

Il ramo biforcuto era spazioso e cedevole. O-Baa si sistemò meglio. Tra le grandi foglie della cima, ondeggiante nel vento della notte, brillavano i punti luminosi del cielo.

La grande foresta era piena delle voci dei terribili animali in caccia. Il rauco grido di

Grro, il leone, si alzò poco lontano dall'albero. O-Baa rabbrividì. Guardò in giù. La poderosa mole di O-Paa, il capofamiglia, accosciato sulla grande piattaforma dei primi rami, lo rassicurò un poco. Accovacciate accanto al fortissimo O-Paa stavano le sue femmine: la vecchia O-Maa, la bella O-Lii, e la piccola O-Ree.

O-Baa si fece scorrere le mani sulle braccia e sul torace. I. suoi muscoli erano ben poca cosa in confronto a quelli di O-Paa. E la piccola O-Ree apparteneva a lui.

O-Baa conosceva la Legge. Il maschio più forte della famiglia aveva per sé tutte le femmine. Per prendergliele bisognava ucciderlo. Ma da tanti anni O-Paa era il più forte. Da sempre, per quel che lui riusciva a ricordare.

Il lungo barrito di Muu, l'elefante, fece di nuovo fremere O-Baa. Avrebbe voluto scendere sotto, accoccolarsi come una volta tra le braccia della vecchia O-Maa, ma ormai non poteva più farlo: O-Paa l'avrebbe ucciso.