Quando le radici: Ernesto Gastaldi

"Julian Berry": un nome che non risulterà sconosciuto a chi ha seguito fin dagli inizi l'evolversi di una fantascienza italiana, e comunque a chi tuttora se ne interessi in modo non superficiale...

Ernesto Gastaldi: leggi la presentazione di Vittorio Catani

Roma dorme. La calura del meriggio brucia i ruderi milionari, calcinati dal sole. E' l'ora in cui l'aria sembra stagnare immobile sui ricordi della civiltà passata. Forse è il fiato dei cesari, quello dei milioni di cives. Forse è l'aria pregna del sudore delle legioni, quella che pesa nostalgica sulle colonne smozzicate dei Fori.

E' un cimitero di ricordi. Come un formicaio distrutto, con i corridoi e le celle scoperchiate, in quest'ora muta Roma mostra le aride ferite che barbari scomparsi le hanno inflitto lungo tutte le ere. E come in un formicaio seccato dal sole si aggirano fra gli inutili resti instancabili e stupidi coleotteri. La luce penetrante dell'astro scalda pavimenti costruiti per essere sfiorati dal passi segreti delle vestali, pietre calcate dal piede vittorioso del gladiatore, consunte dal sandalo dei sacerdoti. Sfacciatamente illumina muri di celle eternamente buie, arti marmorei di dei caduti in disgrazia.

Come coleotteri, grattano fra i ruderi sudati anglosassoni. Gambe arrossate dal sole, fazzoletti sui riccioli biondi, scomposti. E piedi. Enormi piedi di barbari inciviliti che riportano a Roma un po' della sua civiltà ruminata per dieci secoli tra le nebbie del nord.

Per i romani di oggi è l'ora sacra quella della pennichella. Possono ben dormire, non avere fretta, in questa città dove il tempo si ferma sulle piazze e nelle strade. Dove si respira eternità.

MANCANO VENTI MINUTI ALLA FINE

Io sono Romolo, l'autista di Sua Eccellenza il Ministro degli Affari Esteri. Sono solo al mondo e vecchio. Non mi attirano più né il vino né le donne. Il mio animo è placido e inoffensivo come una pozza d'acqua ferma. Mi sembra di essere sempre stato così: solo, placido e inoffensivo.

Roma è la mia sola amica. Le voglio bene anche quando, come adesso, il Ministro mi manda in giro all'ora della pennichella. Roma sbadiglia con me: sola, placida e inoffensiva.

Non m'interessano le cose degli uomini, non mi piacciono le loro lotte, non capisco i loro vizi.

Il Ministro vuole che gli porti la moglie e la figlia davanti alla porta del ministero. Ci vuole tutta l'autorità del mio berretto con la greca per indurle a vestirsi e venire con me.

La moglie del Ministro è nervosa per l'assurda chiamata del marito. La figlia brontola perché aveva un appuntamento col suo ragazzo. Io non so niente e non posso rispondere alle loro domande. Io sono Romolo, l'autista del Ministro degli Affari Esteri, Primo Ministro degli Affari Propri.

MANCANO QUINDICI MINUTI ALLA FINE

L'ampio piazzale, accecato dal sole, sembra una grande tovaglia candida. Sopra, una grossa mosca nera: la Mercedes del Ministro. Nella Mercedes un uomo e due donne sudate.

Romolo suda in pace con se stesso e il mondo, le due donne sudano lottando con specchietti e eyeliner contro il liquefarsi dei loro volti falsi.

Un'altra mosca nera corre rapida sulla tovaglia candida, affiancandosi alla Mercedes. Frena con un lamentoso stridio e lascia nell'aria puzza di gomma bruciata. Dalla nuova auto scendono tre signori anziani dall'aria stravolta. Gridano a Romolo di accompagnarli nell'ufficio dei Ministro. La moglie e la figlia del Ministro lanciano le loro domande stridule e scortesi, ma i tre non rispondono. Afferrano Romolo e se ne vanno verso il grande palazzo. Nei loro occhi c'è un riflesso allucinato.

Io, Romolo, mi lascio spingere e faccio strada ai tre nel labirinto del Ministero. Ciascuno di loro ha un tesserino azzurro e nessuno ci ferma. Qualche usciere sonnolento ci lancia un'occhiata apatica e poi torna al suo oblio.