La piaga non era una infezione da virus, o batteri, ma l'aggressione di un microscopico verme parassita, così piccolo e leggero da potersi facilmente lasciarsi sostenere dai venti e dalle correnti. Si posava sulla cute, e se ne nutriva, trasformandola in breve in una pellicola sottile e sensibile, tanto trasparente da rendere visibili i tessuti sottostanti. Le sensazioni tattili diventavano qualcosa di immenso. Trovandosi in un singolo ospite, restava in fase di semi - quiescenza, limitandosi a mangiare e a mangiare. E a moltiplicarsi. In alcuni casi, larve di verme strisciavano verso il cervello...

Freddo... A casa di Ima c'era un gran freddo. Non era un difetto dell'impianto di condizionamento: era il terrore. Ima percepiva un'anomalia, ed un senso di dramma incombente.

Il freddo è il peggior nemico di uno SpiKe - impiantato. Fa contrarre i muscoli erettori dei peli, e di conseguenza emergere la fitta rete di tentacoli che scorrono a pochi decimi di millimetro dalla superficie della cute e che costituiscono l'estrema difesa dalla piaga. Il dolore è spesso insopportabile.

Non un rumore: solo il cupo respiro da capodoglio del filtro - aeratore. Ima raggiunse la stanza della figlia. Dovette bussare a quella porta che non era mai stata chiusa.

- Ima!- Da dentro, la voce del dottor Morell la colpì come uno schiaffo.

- Iran. Iran è lì con te, non è vero? Come sta? Sta bene, vero? - Non riusciva a nascondere la propria paura.

- Iran è qui. Sta bene, credimi... Ma, ti prego, non entrare.

- Ho bisogno di entrare! E'la mia bambina! Devo vederla!

- Mi dispiace - sibilò Morell - non posso accontentarti. Non provare ad aprire: sarebbe inutile.

- Morell... - piagnucolò Ima, accasciandosi a terra.

- Sai, Ima, la piccola piangeva così tanto! E così forte! Ora... senti: non piange più!

Solo singhiozzi: i singhiozzi di Ima.

- Io - continuò Morell, calmo - Io credo di cominciare già a sentire qualcosa. A sentire attraverso lei. Attraverso la sua pelle. E'così bello, Ima. Devi credermi. Non avremo più bisogno di niente, noi. Né di mangiare, né di defecare; d'ora in avanti ci nutriremo delle nostre stesse cellule, suggendone fino all'ultima stilla di energia vitale. Ci spegneremo lentamente, consumandoci...

Cos'hai, cara? Non hai più nulla da dire? Ti sei finalmente resa conto. Abbiamo dato ai nostri figli solo dolore e decadenza, costringendoli a convivere con l'orrore che striscia sottopelle, quando avremmo potuto offrire loro l'autentico Paradiso.

La mano di Ima scivolò lentamente sotto la giubba di plastica, accarezzando i duri segmenti articolati del proprio SpiKe, che emergevano dalla pelle. Ondeggiavano col suo respiro. Ne afferrò uno, tirandolo leggermente, fino a farsi male, come per assicurarsi della solidità del bullone che lo stringeva al processo spinale della vertebra. Poi le dita si ritrassero, inorridite.

- Vieni pure, se sei pronta ad unirti a noi. Sappi che non potrei mai farti del male: l'amore di tua figlia comincia già a scorrere in me, lungo il sangue che si sta mescolando, ed è perciò come se tu fossi la mia stessa madre. Vedi: non riesco più a distinguere i miei sentimenti originali da quelli della piccola; e posso dirti che lei è pura gioia, ora. Ho unito la mia tempia alla sua, carne e osso si dissolvono, e le cortecce dei cervelli possono entrare in contatto diretto: presto penseremo come uno!

- Io ti detesto! - biascicò Ima, con un filo di voce rotta dai singulti incontrollabili, mentre scivolava fuori da quella casa, arretrando.