Ma quel braccio proteso, distintamente ancora umano; e quella voce, vomitata da un inconcepibile orifizio, che ripeteva...

- Mamma! - la riprese Iran, dall'altro capo della tavola da pranzo. - Mamma, stai di nuovo sognando. Non senti che suonano alla porta?

Iran aveva imparato da tempo a non tentare un contatto fisico con la madre, per quanto ne sentisse il bisogno, e così aveva iniziato a rimproverarla amorevolmente ad ogni occasione. Il suo modo di dirle: 'ti voglio bene '.

Ima si alzò (ma quando, quando si era seduta?), ed andò ad aprire.

La carica ticchettava con regolarità da metronomo. Poi, improvvisamente, esplose, lasciando una ampia breccia nel muro ed una nube di polvere bianca. Ai bordi della apertura, il materiale plastico era fuso e rattrappito. Il giovane rideva forte, con le mani premute sulle orecchie. Se la godeva un mondo.

- Non c'era davvero altro modo? - chiese Ima, seccata.

- Si sono barricati dentro; devono aver ammucchiato mobili dietro ogni accesso. Avremmo dovuto servirci della sonda al plasma, ma da quando l'hanno presa in consegna, quelli del gruppo H sembra la considerino una loro privata proprietà.

- Sarà, sergente. Ma questi sistemi continuano a non piacermi. Non si scordi che così c'è sempre la possibilità di propagare la piaga.

- La piaga è già ovunque, signora. Non vedo proprio come potremmo peggiorare la situazione.

Fecero una rapida ricognizione, assieme ad altri due agenti della Sicurezza; due riservisti, probabilmente. Nessuno. C'era un tavolino da campeggio, macchiato di sangue. La torcia elettrica vi si fermò fin troppo a lungo. Alcuni attrezzi da giardinaggio, grottescamente ritorti per farne strumenti chirurgici. Tito si chinò a raccogliere qualcosa da terra. Una catena di piastre triangolari, acuminate, di ceramica rossa. SpiKe.

- Un gabinetto clandestino. Un'altro. - fece Ima, rassegnata.

- Sono come topi; conoscono ogni maledetto buco di questi edifici, e sanno servirsene. Guarda questo affare: non è un modello troppo recente. L'età del mio e del tuo, approssimativamente. Il suo proprietario non doveva essere troppo giovane. - Accarezzò la rete di filamenti capillari che scendevano candidi e lattiginosi dai fianchi dello SpiKe; un tendaggio impalpabile - Freme debolmente. Conserva ancora un residuo di vita, ed è ancora gonfia d'acqua: non deve essere stato rimosso da più di venti minuti.

- Lo SpiKe di Iran - sospirò Ima - la sta uccidendo. Lo so. La sento piangere ogni notte... ogni notte... e non c'è nulla che io possa fare. Il veleno di quei tentacoli è troppo forte, per una bambolina di otto anni. Se solo potessi stringerla...

Il sangue sul tavolino; non ne aveva mai visto di così scuro...

- Per i bambini è sempre dura. Noi non lo sappiamo. Non possiamo saperlo: siamo stati SpiKe-impiantati... quando? A vent'anni? Quando è iniziata l'Emergenza?

Ma Ima non lo ascoltava.

- Una volta mi sono chiesta ( la mia Iran era appena nata, e non ancora SpiKe-dotata ), che vita avremmo avuto, se mi fossi liberata del mio e ci fossimo fuse. Era un pensiero così languido. Non avremmo nemmeno dovuto cercare un portatore: la piaga si può contrarre dalla semplice esposizione dell'epidermide all'aria, all'acqua... Non avremmo dovuto far altro che attenderla, insieme.

Ma tutto questo, naturalmente, fu prima della Prima Crisi; ora non potrei neppure concepire una cosa del genere. Ora lei è al sicuro, a casa, col dottor Morell.

- Spero - aggiunse - spero le faccia un'epidurale. Dorme sempre così bene, sotto anestesia.