Di questo periodo e di queste riviste, gli autori più importanti sono Edgar Rice Burroughs e Abraham Merritt - ai quali ci ripromettiamo di dedicare lo spazio che dovuto. Ma c'è molto altro intorno, prima e contemporaneamente a loro.

Pensando a tre grandi antecedenti europei, con un po' di approssimazione (lasciando fuori, per esempio, alcuni primi esempi di space opera) potremmo suddividere gli autori dell'età formativa della SF statunitense in figli di Verne (con le ottimistiche epopee di giovani inventori ed esploratori), figli di Wells (con le preoccupazioni politiche legate al darwinismo), e figli di Haggard (quelle lost races, le razze perdute, che riempiono per più di cinquant'anni le pagine di riviste e collane).

Se fra i tre citati Verne e Wells sono ovviamente gli autori più importanti, fra i loro immediati discendenti forse sono quelli di Haggard i più influenti. Sono le loro storie a fondere tanti temi e motivi precedenti, comprendendo in sé elementi che poi si separeranno. La SF vera e propria rimescolerà le carte in modo diverso (appunto richiamando a sé le altre tradizioni): ma saranno le Civiltà Perdute a porre al centro quel piacere "popolare" della narrazione che altri utizzeranno in maniera più compiuta. Coi figli di Haggard nasce il sense of wonder.

Civiltà perdute nei libri

Nelle "razze perdute", fra il 1870 e gli anni Trenta, si innestano numerosi motivi e sottogeneri: le classiche leggende sulle terre dell'esplorazione coloniale, il mondo preistorico, l'utopia più o meno pastorale, le archeologie e le antropologie fantastiche. Iniziatore di tutto, lo straordinario successo dell'inglese H. Rider Haggard, in King Solomon's Mines (1885), e poi in Allan Quatermain (1887), con venature fantastiche in She (1887, in italiano come Lei e La donna eterna), a cui seguono una quarantina di romanzi nei successivi decenni.

I motivi ricorrenti sono in quantità abbastanza ristretta. L'esploratore (lo studioso, l'avventuriero) esplora, studia, descrive, interferisce ed è coinvolto. La comunità separata e stagnante (in luoghi inesplorati del Terzo Mondo, in valli o canyon inaccessibili, sul fondo di vulcani, in cavità sotterranee raggiungibili da passaggi situati in uno dei Poli), discendente di qualche civiltà dell'antichità; un sistema economico privo di scambio monetario ma che preveda l'accumulazione di oro e pietre preziose e un'apparenza di lusso; una prevalenza di rituali magici ma con qualche momento di modernità tecnologica. Un mondo precapitalistico che è causa di rimpianto, nostalgia, desiderio-incarnato solitamente da una figura femminile eterea, pallida, dal colore della pelle rigorosamente latteo: il prototipo è Ayesha, la principessa voluttuosa e immortale in She di Haggard-che, ricordiamolo, diventa la vera protagonista del romanzo-condannata a morte dal suo stesso protagonismo. Un Eden del lusso, legato alla libera disponibilità di quei beni ma senza accumulazione di capitale, una enclave a cui all'esploratore non è dato diritto di accesso: forse, un sogno di benessere di lettori affascinati ma lontani dalla ricchezza. Nella ricorrente lotta fra un principio del male e uno del bene, la fuga conclusiva del visitatore coincide quasi sempre con la distruzione della "razza perduta". Quasi sempre con una spruzzata di razzismo, più o meno sotterraneo.