Quando le radici: Paolo Aresi

Paolo Aresi è nato a Bergamo nel 1958, da madre pompeiana e padre bergamasco; è giornalista professionista (lavora presso l'Eco di Bergamo; nel 1985 fu segnalato a Senigallia come "cronista dell'anno")...

Paolo Aresi: leggi la presentazione di Vittorio Catani

Il reverendo Altux se ne stava davanti al camino acceso dondolandosi pigramente. La notte marziana era fredda all'equatore anche durante la primavera avanzata, quando le due lune, Deimos e Phobos, tingevano di argento le colline di sabbia.

Altux si aggiustò la coperta sopra le gambe, centellinò un dito di vodka e pensò con malinconia al giorno in cui ne avrebbe versata l'ultima goccia. Accostò il vetro alle labbra e socchiuse gli occhi.

Una voce da fuori lo chiamò. Altux tolse stancamente la coperta e scese la scala di legno.

- Reverendo, per favore, deve venire subito! Mia sorella sta male.

- Vengo. Un attimo.

Andò alla cappellina e raccolse il messale, i segnacoli e l'olio santo. Poi indossò il cappotto isolante contro il gelo della notte marziana, e uscì dove la ragazza imbacuccata nel montgomery lo stava aspettando; percorsero in silenzio per un lungo tratto il viottolo di sabbia pressata.

- Oggi sembrava migliorata - disse la ragazza senza guardarlo in viso. - Poi verso sera ha cominciato a star male, e adesso... Adesso sembra che stia agonizzando. Si lamenta, dice cose senza senso... Mi scusi se sono venuta a chiamarla a quest'ora.

Il reverendo cercò di sorridere. - No - disse - niente scuse, non è proprio il caso. Pensò che avrebbe dovuto aggiungere qualcosa, che avrebbe dovuto incoraggiare la giovane Ylena. Ma non ci riusciva, non riusciva a essere ipocrita. Vide la casa con le finestre fiocamente illuminate, e affrettò il passo.

Salirono i gradini dell'ingresso. Nell'abitazione c'era silenzio glaciale come la notte marziana, e nella sala tutto era immobile e assente come se poltrone, soprammobili e persino il colore delle pareti fossero neutri, stranieri. Altux pensò che troppe volte, nelle ultime settimane, aveva provato quella sensazione.

Ylena guidò il reverendo verso la stanza della sorella. La porta era aperta: Altux vide la piccola Svetlana immobile nel letto e, a fianco, la madre inginocchiata, e un altro fratellino. Si avvicinò ed estrasse l'olio santo...

- II dottore è andato via da poco - mormorò la donna.

Altux iniziò a pregare ungendo la fronte della piccola, e la sentiva ancora calda sotto i polpastrelli. Poi tracciò un segno di croce sul corpo e richiuse il messale. Cercò di dire qualcosa. Conosceva quella famiglia da sempre, come tutte le famiglie del villaggio, perché erano venuti su Marte insieme, insieme l'avevano colonizzato e bonificato.

Ripensò ai sermoni pieni di ottimismo pronunciati da lui nella cappella in quelle domeniche; e poi dinanzi agli occhi del reverendo ripassarono le immagini dell'addio, del giorno in cui quasi tutti i mariti abbandonarono Marte per tornare sulla Terra, richiamati dalla guerra.

Ricordò le lacrime e i fazzoletti che sventolavano inutilmente ai piedi del grande missile azzurro e d'argento, sigillato come una bara monumentale.

Il reverendo si schiarì la voce e attaccò sommessamente una nuova preghiera. I bambini giunsero le mani, insieme alla madre, e pregarono anch'essi.

La donna non resistette. Cominciò a singhiozzare e si accasciò sul letto, prendendo fra le mani il volto della piccola Svetlana.

Il reverendo non trovò parole.

Il dovere, pensò, era quello di confortare. Rivide in un attimo quegli anni di sofferenze e i volti dei suoi fedeli, degli amici, segnati dal dolore in fondo agli occhi. Cercò di dare un tono convincente alle parole. - Il suo significato ci sfugge - disse - eppure questa sofferenza deve avere un senso.