Novembre, tempo di vino novello e Premi Urania. Eccoci quindi nel mese di ottobre a fare le pulci, via cronoscopio, al romanzo vincitore dell'ultimo Premio Urania: Terre Accanto, di Alberto Costantini. Quello che salta subito all'occhio sin dalle prime pagine è che finalmente l'avventura è tornata! Se dovessimo definire in una sola parola questo romanzo, non potremmo che usare il vocabolo romanzesco. Finalmente ci sono personaggi che corrono, scappano in pallone, evadono di prigione, si danno allo spionaggio in quantità industriale, e assistiamo a scorrerie, guerre, combattimenti ciclopici, come da parecchio tempo non se ne vedevano. Costantini però cerca - e ci riesce - di tenere a freno la propria immaginazione sposando il fantastico con il realismo. I personaggi sono credibili, non eroi spaccamontagne ma gente come noi, e ciò che accade loro, per quanto possa essere fantastico o fantascientifico non viene affrontato in termini sovrumani ma come lo affronteremmo, probabilmente, noi. Nessuno di loro si mette in moto per affrontare i pericoli e gli ostacoli a testa bassa, sicuro di uscirne senza graffi, anzi, tutti quanti hanno un po' l'aria di quelli presi in mezzo, che vorrebbero essere tanto da un'altra parte, a casa, al caldo e con le pantofole ai piedi. Però si muovono, lottano, soffrono, esattamente come farebbe una persona normale e Costantini, quando serve, non ha paura di arrivare nelle descrizioni dei suoi eroi sino al cliché, costruendo una galleria di personaggi piacevoli che il lettore non potrà non trovare simpatici.

Il romanzo attua il principio della contaminazione al massimo grado. Sembra quasi che l'autore non abbia alcun genere che consideri sacro: si saltella dal fantastico all'avventuroso tout court, dallo spionaggio classico alla fantascienza o all'accurata ricostruzione storica, genere che Costantini ha spesso frequentato. Il tema del viaggio, tema cardine della letteratura avventurosa, è quello che domina incontrastato sui quattro racconti, e questo dovrebbe dire tutto.

Costantini usa i generi con grande disinvoltura, mischiandoli senza ritegno con estrema facilità, passando da una narrazione frenetica alla Sprague De Camp a una più meditata vicina per stile e tematiche a James Blish. Lo stesso accade con il linguaggio, che l'autore sfrutta con sapienti e quasi immediati cambi di registro, come un organista, andando dal partecipato e persino commosso, all'umoristico, a seconda degli accadimenti e di come i personaggi si trovano ad affrontarli. Il lettore non se ne accorge, a meno di non prendere la matita per studiare la pagina, perché viene trascinato alla massima velocità e improvvisamente rallentato, con dei subitanei cambi di ritmo, a seconda di ciò che è richiesto dall'azione.

A prima vista il romanzo potrebbe sembrare non unitario, visto che è composto da quattro episodi che, a patto di perdere molto, potrebbero anche essere letti singolarmente. Ribadiamo, a patto di perdere molto perché in realtà, anche se sono slegati tra loro, i vari episodi si completano l'uno con l'altro. Sono i riflessi di quattro mondi paralleli differenti - Costantini li definisce mondi gemelli -, di possibili diversi oggi, ma con il loro presentarci culture diverse, alternative, tutti insieme ci guidano nella costruzione di un super-universo che le comprende tutte. Leggere solo un racconto darebbe un'idea unicamente parziale. Lì a dominare sono i mussulmani, di là l'impero romano ha adottato come religione ufficiale l'ebraismo e si è trasferito ad Antiochia, là Repubblica Serenissima domina su gran parte dell'Europra, lì assistiamo al viaggio di un missionario alla ricerca di popoli da evangelizzare e da salvare dalle mire degli schiavisti, ma la realtà proprio non è quella che sembra.