Dai dati di ascolto dei primi episodi della terza stagione di Enterprise sembra che le sorti della serie non siano così segnate come qualche Cassandra (o persona bene informata) lasciasse presagire fino a qualche mese fa. Certo, la decisione finale la sapremo in primavera del 2004, periodo in cui, solitamente, vengono firmati i contratti per le produzioni seriali televisive della stagione successiva. Dobbiamo, quindi, chiederci quali siano stati i motivi di questo cambio di rotta, sempre ammesso che ce ne sia stato uno, ovvero sempre ammesso che questa tendenza positiva si mantenga.

Tralasciano la Serie Classica, che fa storia a sé, la prima serie moderna, The Next Generation, aveva un impianto simile alla Serie Classica, ovvero, salvo eccezioni, alla fine do ogni episodio veniva premuto il tasto "Reset" e nell'episodio successivo si ricominciava dall'inizio, come se nulla fosse successo. Le ovvie eccezioni sono rappresentate per la maggior parte dal il cambio di protagonisti, dovute più ad elementi esterni alla narrazione (leggi: esigenze o richieste degli attori) che ad un arco narrativo in evoluzione; altre piccole eccezioni a questa regola sono rimaste comunque relegate in secondo piano, tra queste possiamo citare l'abitudine di parte degli ufficiali di giocare a poker, l'amore di data per le storie holmesiane, la limitazione di velocità warp e altri piccoli particolari. Se, da un lato, questo formato permette di catturare spettatori lungo la via, facendoli entrare in medias res immediatamente, senza che sia necessaria la sconoscenza di tutte le storie raccontate fino a quel momento, dall'altro lato è una forte penalizzazione per le storie che vengono raccontate. Quante volte in The Next Generation avremmo voluto che una storia venisse sviluppata meglio oppure quante volte avremmo voluto che un episodio fosse un "due parti"?

Deep Space Nine era iniziata più o meno in questo modo, con qualche riferimento costante in più, come la situazione tra Bajoriani e Cardassiani, ma stava rischiano di diventare l'ennesima serie di episodi staccati tra loro, con un tasto "Reset" un pochino meno potente della serie precedente. Dalla quarta stagione, anche per la necessità di fidelizzare la clientela in quanto show in syndication, Deep Space Nine diventa una storia in evoluzione continua, con archi narrativi dichiarati di sei episodi (all'inizio della sesta stagione), fino ad arrivare coraggiosamente al finale della serie formato da dieci episodi; gli archi narrativi non si fermano qui, in quanto in Deep Space Nine vediamo un'unica storia, la guerra contro il Dominio, che si dipana per quattro stagioni, un autentico record per Star Trek.

Necessità commerciali a parte, Voyager sembra aver imparato la lezione di Deep Space Nine, imponendo by design la necessità di un arco narrativo a cavallo di tutta la serie: il tema del ritorno a casa. Le sorti altalenanti della serie dimostrano che questo non basta per tenere gli spettatori incollati allo schermo, ma ci vogliono storie intrigati e, possibilmente nemici credibili (i Kazon non rientrano in questa categoria), anche se i nemici per Voyager sono un vero problema: se sono troppo potenti, fanno saltare per aria la nave e, con essa, la serie, se sono troppo poco potenti, non sono dei veri nemici, quindi non costituiscono un problema. Nonostante questa difficoltà, Voyager ha offerto molti antagonisti interessanti, come gli Hirogeni e la Specie 8472, sfruttata forse un po' troppo poco, vuoi per i costi di produzione, vuoi per l'eccessivo amore per gli onnipresenti Borg da parte della produzione.