Arrivammo a Mexico City giusto in tempo per i Roghi di fine Dicembre, la lunga processione di fiamme arancioni che avrebbero illuminato lo Zocalo. Ad accoglierci i graffiti murali che dai caseggiati postindustriali cingevano in un morbido abbraccio l'intera zona centrale.

Avevamo in tasca pochi dollari racimolati dopo transazioni nei bassifondi con gentiluomini del Cartello di Tijuana, venuti da quelle parti per sbrigare degli affari veloci con la polizia federale, e né io né Django sapevamo dove trovare un alloggio sicuro e soprattutto economico che potesse ospitare i nostri corpi affamati e l'impianto di sonorizzazione cittadina costruito tre mesi prima da Bertrand.

Ci trascinammo le casse nere e lucenti per un chilometro in linea retta, tra due ali di ignara folla; il marciapiede era un segmento grigiastro sporco d'olio e di cartacce, fogli di giornale, un intero campionario di schifezze moderne lasciate a marcire da un poco efficiente servizio di nettezza urbana. Le insegne neon dei negozi tradivano una luminescenza ambrata di terza classe, e d'altra parte le vetrine ingombre di stupidi sombreros e ritratti serigrafati di Pancho Villa stavano lì a testimoniare il povero gusto dei turisti e le loro esigenze altrettanto povere.

Dopo esserci lasciati alle spalle l'ingorgo umano del centro, ed esserci perduti in un poco rassicurante dedalo di vicoli, ci rendemmo conto che avremmo potuto continuare a camminare per ore, giorni forse, senza incontrare la benchE' minima traccia di una pensione dove far riposare il culo. Gli edifici erano case scrostate, di un giallo canarino fastidioso, pile di panni lasciati a stendere, crepe e topi, sacchi della spazzatura, e graffiti. Di ogni colore e dimensione.

Adagiato contro un muretto di mattoni rossi, una curiosa stonatura in quella planimetria rigidamente omogenea, vedemmo un vecchio dall'aspetto occidentale, europeo forse. Indossava il più ridicolo completo che mi fosse mai capitato di vedere; pantaloni sblusati dai ricami hawaiani, una giacca viola, una bandana nera a coprirgli i capelli argentei impomatati.

Tutto in quell'uomo era così dannatamente fuori luogo.

- Carne fresca nella città del vizio - disse.

Aveva una voce calda e ben impostata. Poteva essere un attore di teatro per quel che ne sapevo.

- Problemi? - replicò freddamente Django, per rimanere fedele al suo ruolo di spaccone.

- Nessuno. Veramente - il vecchio arricciò la bocca in un ghigno sardonico - ciò che credo E' che se continuerete a camminare a casaccio senza idea di dove andare a parare vi ritroverete alleggeriti dei soldi e forse con un coltello nella schiena - sorrise, un sorriso questa volte cortese e gentile - Siete venuti per i roghi?

Annuii. La storiella del coltello mi aveva innervosito parecchio.

- Non volevo spaventarvi - precisò - solo mettervi in guardia dai pericoli di questa città.

- Lei abita qui? - chiese Django.

- Più o meno. Sono un emigrato statunitense.

- Un emigrato? - non riuscivo a credere alle mie orecchie - lei E' venuto a cercare un lavoro qui a Mexico City...oppure E' un latitante?

- No, no, per l'amor del cielo. Nessuna delle due - scrollò le spalle - sono uno scrittore. Venuto in Messico per provare l'ebbrezza della cultura locale. Sapete, il mio agente ne aveva abbastanza delle mie storie strampalate ed underground così mi ha lasciato solo, ed io ne ho approfittato per venire qui e per raccogliere suggestioni ed emozioni.

- E' venuto a cercare l'ispirazione - dissi.