<i>Der Golem</i>
Der Golem
Di Frankenstein abbiamo una trasposizione cinematografica già nel 1910 (Frankenstein, Searle Dawley, USA), seguita nel 1915 dal primo lungometraggio, dall'esplicativo titolo di Vita senz'anima (Life Without Soul, Joseph W. Smiley, USA). In Germania nello stesso periodo approda sul grande schermo il golem, prima nel 1914 (Der Golem, regia di Heinrich Galeen) e poi di nuovo nel '20 (Der Golem: Wie Er in die Welt Kam, regia di Paul Wegener/Carl Boese), sempre con Paul Wegener nel ruolo della creatura d'argilla. La seconda di queste versioni, in particolare, oltre ad essere un piccolo capolavoro della cinematografia - non solo espressionista - dell'epoca, è il primo film a rappresentare il mostro come un essere capace di compassione. Il golem di Wegener, originariamente creato dal rabbino Loew per difendere gli ebrei di Praga dalle persecuzioni, viene rimesso in funzione dal servo Famulus allo scopo di rapire la figlia del rabbino, Miriam, ma si ribella al nuovo padrone pur di non commettere il crimine, e fugge in preda alla follia. Sarà una bambina a renderlo di nuovo inerte e quindi inoffensivo, prima intenerendolo con l'offerta di una mela, quindi togliendogli la stella di Davide dal petto. Fu questa originale rivisitazione del mito, incentrata sui tratti di umanità oltre che sulla forza distruttiva della creatura, ad ispirare James Whale per il suo famoso Frankenstein del 1931 con Boris Karloff nel ruolo del mostro, la cui lettura - secondo la quale il mostro è ancora carnefice ma per la prima volta anche vittima - prevale tuttora su quella della stessa Shelley.

Dell'altro capostipite del filone delle creature artificiali pensanti, RUR di Carel Capek, esiste una sola versione cinematografica (Gibel sensaty, Aleksander Andreievsky, Russia 1935), ma il tema sviluppato nel dramma appare anche in quello che è generalmente ritenuto il primo grande film di fantascienza, Metropolis (id., Fritz Lang, Germania 1926). Solo che qui, al contrario che in RUR, gli automi sono persone in carne ed ossa, operai resi macchine dai ritmi e dalle tecniche di un lavoro disumanizzante. Ironicamente, è il vero automa del film, la replicante Maria, a condurre gli operai/schiavi ad una folle e disastrosa ribellione, prima della risoluzione finale in cui il ravvedimento del padrone permette loro di affrancarsi e di riconquistare la propria dignità. Nonostante l'improbabile e consolatoria conclusione, Metropolis viene ricordato soprattutto per la capacità di mostrare, come mai prima di allora al cinema, la condizione del proletariato industriale trasformato e degradato dal proprio lavoro.

"Nessun individuo", recita il quarto articolo della Dichiarazione, "potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù". Di più, l'articolo 23 garantisce a ciascuno "il diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro". I robot umanoidi di Capek e gli uomini meccanizzati di Lang soffrono nella loro dignità della negazione più estrema di questi diritti. Eppure vi è un'ambivalenza nel trattamento che la fantascienza riserva a questi personaggi. La loro ribellione è vista come un evento ineluttabile, probabilmente giusto, ma anche terrificante e distruttivo. Forse per questo, per la gran parte dei robot e dei cyborg nel cinema di fantascienza fino almeno alla metà degli anni Novanta, dal primo Frankenstein ai replicanti di Blade Runner, il momento della ribellione - e della presa di coscienza più o meno esplicita della propria umanità - è il preludio alla morte violenta o alla "disattivazione". La paura del robot è la paura della massa si fondono in queste storie: sono popolo e tecnologia, le due grandi forze emergenti nel secolo del suffragio universale e dell'elettronica, ad affascinare e al tempo stesso sgomentare gli autori di fantascienza.