Valerio Evangelisti
Valerio Evangelisti
Difficile riassumere in breve le sfaccettature di quest'autore, al quale dobbiamo romanzi che ritengo poderosi. Mi preme anche qui evidenziare una "tensione etica" sottesa a tutta la sua narrativa; un'eticità però tutt'altro che urlata: le sue opere sono spesso crudeli, descrittive di istinti bestiali, atti criminosi, psicologie aberranti. Ma come sempre accade nelle antiutopie (e tali potrebbero considerarsi le narrazioni di Evangelisti), l'universo che vi è ritratto è un evidente riflesso del nostro; in esso leggiamo e viviamo semplicemente le brutture - talora anche gli elementari bisogni - di chi non ha più nulla da perdere se non le proprie catene. La forza dell'autore è anche nella pagina limpida e funzionale, nelle dottissime elaborazioni, nell'avventura, i simbolismi da incubo, la maledizione che incatena passato-presente-futuro e sembra aver dissolto ogni idea di riscatto. Quanto ad alcune sue immagini forti, penso per esempio all'immenso serpentone di bambini nudi e inferociti che attraversano l'Africa di Picatrix, la scala per l'inferno (1998, "Urania" 1330; 2002, "Classici di Urania" 307); ai corpi umani incollati, mutilati, prigionieri nella fossa di Sepultura (1998, Millemondi 14; 2000, "Urania" 1378); ai Poliploidi di O Gorica, tu sei maledetta (1995, IASFM n. 15; 2002, "Urania" ottobre):

(...) Quello che doveva fingere di ignorare, era che la RACHE faceva dei prigionieri più robusti altrettanti Poliploidi, dopo averli immersi nelle grandi vasche di Karlovac in cui ribolliva un enzima dal nome impossibile. Guerrieri stupidissimi ma quasi invulnerabili, i cui organi si moltiplicavano di continuo per effetto del mutagene. I Poliploidi morivano da soli quando il numero dei loro cuori, polmoni e reni diventava eccessivo in rapporto alla stazza corporea. Oppure quando venivano letteralmente squarciati o carbonizzati dalle esplosioni. Ma un unico proiettile non poteva danneggiarli seriamente.

Questa vera "carne da cannone" viene utilizzata in un conflitto insensato che si svolge in Balcania, impero federale rabberciato dopo la polverizzazione dell'ex Iugoslavia. La guerra vede su fronti contrapposti (ma si scoprirà che i vertici sono conniventi) l'Eurobank e la RACHE. Questa sigla sta per Rassenchemie, "chimica della razza".

Se Grol stava con la RACHE, era perché credeva in un mondo di uomini forti, in cui l'aristocrazia era costituita da gente superiore alla pietà. Quella visione grandiosa, di una ferocia piena di fascino, lo aiutava a sopportare le angherie degli ufficiali, e a dimenticare quelle - davvero atroci - subite quando era un ragazzetto, a Vukovar.

(...) [Grol] afferrò l'ometto per i capelli e fece cenno al cronista di avvicinarsi con la telecamera. Ai suoi piedi, un paio di donne piangevano sommessamente. Meglio. La scena sarebbe riuscita più drammatica. - E' un ebreo? - chiese il cameraman mentre azionava lo zoom.

- No, di ebrei non ce ne sono più - rispose Grol distrattamente. - Però è un mondialista.

Facile intuire cosa sia, nel racconto, un mondialista: uno di quei rompiscatole che si adoperano, a qualunque livello, perché vengano affermati diritti essenziali e democrazia, conquiste ritenute sempre più un fastidioso intralcio, una perdita di tempo e soprattutto di denaro.

Perché esiste una fantascienza che ci parla anche di questo.