Per non sentirsi dire per l'ennesima volta, come già capitato spesso per film o libri entrati nell'immaginario comune, che sono notevoli anche se di fantascienza, per non sminuire il nostro genere preferito, io dico che i lavori di Enrica sono alta letteratura anche e soprattutto perché sono di fantascienza.

E' una scelta letteraria e stilistica che raggiunge molti scopi: da una parte, permette all'autrice di "estraniarsi" in qualche misura, attraverso l'uso di uno scenario e personaggi alieni, dalle vicende narrate, anche troppo crudamente reali; dall'altra, proprio questo sfondo, questa ambientazione asettica e imparziale della vicenda, lontana da ambienti e situazioni nei quali possiamo percepire coinvolgimento diretto, l'uso di personaggi a volte non umani o umanoidi, ancora di più fanno risaltare l'elemento tragico, l'universalità dei concetti, delle anime e dei destini che si vuole esprimere.

Ho conosciuto Enrica per la prima volta attraverso un racconto, Seconda giustificazione: la macchina, sulle pagine di una antologia di autori vari, Universo privato della Keltia, alla quale anch'io partecipavo. Mi colpì subito l'assoluta originalità, la forte personalità dello stile. Ne parlai con Franco Forte, che aveva la stessa impressione, e che dedicò a quel racconto una meritata recensione molto positiva.

Anch'io, come Franco, posso ringraziare la mia tanto beneamata Internet, per essere riuscita a conoscere Enrica prima via e-mail, e quindi di persona. Mi scrisse per un mio piccolo intervento in un'inchiesta di Delos, dandomi del lei, le risposi dandole del tu, contenta di avere finalmente l'occasione di complimentarmi per la sua scrittura.

Una scrittura che sa parlare per lei, e in molti modi diversi. Ogni volta che prendo in mano Nessuna giustificazione, le emozioni, i pensieri, gli interrogativi profondi tornano puntuali alla mente, la ricchezza intrinseca di quel libro, del patrimonio umano che vi è stato riversato, emerge senza alcun dubbio.

Infatti, la definizione migliore, per me (che per altro colpevolmente odio i generi e le definizioni), è di fantascienza "umana". Non umanistica, contrapposta magari a "scientifica", non sociologica, psicologica. Solo e soltanto umana. E scusate se è poco.

Pure, l'elemento fantascientifico, anche se rimane sullo sfondo, è tutt'altro che pretesto. L'ambientazione è costruita così bene, con una cura per i dettagli, anche attraverso semplici accenni, anche lasciandoli indovinare, intuire, così minimale ed efficace, da farci ricostruire senza alcuno sforzo le immagini nella mente, aliene e quotidiane al tempo stesso. E infatti la scrittura di Enrica è per immagini, per scene, lei stessa lo dice, testimonia il suo amore e attitudine per le arti, anche quelle visive.

Al contrario, i personaggi sono spesso descritti solo per qualche particolare, magari "diverso", o non descritti affatto. La raffigurazione è affidata al loro agire, al loro vero essere. Anche se i protagonisti si lasciano intuire belli, puri, persino quando il loro corpo è violato e martoriato, quasi a sottolineare l'estrema, profonda ingiustizia di questa violazione.

Il "kalos kai agathos" che ci è stato inculcato dagli studi classici, per Enrica è molto importante, assume la forma non di apparenza, di semplice bellezza esteriore, ma di bellezza dell'integrità della persona, nella più vasta accezione del temine.