Chi l'avrebbe mai detto che nel 2000 si sarebbe tornati alla querelle "Tolkien è di destra o di sinistra"? E che, nell'imbarazzo ad appropriarsi troppo dogmaticamente di un autore che probabilmente non era nessuna delle due cose (ma piuttosto un professore di Oxford, cresciuto nella tradizione delle democrazie borghesi), si sarebbe passati allora a occuparsi di Peter Jackson: da che parte sta?

Va detto che sull'uscita dei primi due film di Il Signore degli Anelli, la destra (italiana naturalmente, visto che nei paesi anglosassoni la querelle in questione non è mai esistita) è stata più cauta della sinistra: se qualche rivendicazione di "paternità" e di "scoperta" c'è stata, è stata comunque marginale e non trionfale come ci si sarebbe potuti aspettare. Forse perché non a tutti piace vedere quei nanerottoli con i piedi pelosi e quegli altri ancora più bassi che vivono nelle miniere e quelli con le orecchie a punta che si mescolano impunemente con uomini coperti di stracci.

È stata invece la sinistra (a cui deve essere rimasto appiccicato un retropensiero, una memoria adolescente di quei "Campi Hobbit" organizzati negli anni '70 dal missino Fronte della Gioventù) a scivolare sulla riapertura del dibattito. Giovedì 16 gennaio è uscita sul Manifesto la recensione di Le due Torri, una stroncatura senza appello che, in soldoni, dà a Jackson del guerrafondaio e del razzista. Il che ha scatenato una levata di scudi da parte dei lettori tolkeniani e non in difesa del film (ospitata dal quotidiano sul numero di domenica 19), dove tutti rivendicavano libro e film alla propria sensibilità, anche politica. Il che dimostra ancora una volta il potere straordinario del "fantastico" (inteso come genere spesso trasversale) ad aprire e stimolare la testa della gente; e ne dimostra, in fondo, anche la sostanziale "libertà".

Quando lessi la prima volta Il Signore degli Anelli non riuscivo a capacitarmi di come potesse essere assimilato a un'ideologia di destra, e di come la cultura di sinistra potesse essere tanto ingenua e ottusa da abdicare volontariamente a tutti i territori della narrativa, l'arte, il cinema fantastici (ci sono voluti i francesi - che in campo critico sono più intelligenti di noi - e ci sono voluti Kubrick ed E.T. perché crollasse anche da noi quel sospetto con cui la nostra critica di sinistra ha sempre frettolosamente relegato l'horror, la fantascienza e la favola nel territorio infido dell'evasione).

Come ho scritto spesso in questa rubrica ("La finestra sul cortile", su FilmTV, NdR), credo che ogni opera sia in qualche maniera "politica"; ma credo anche che una lettura aprioristicamente politica sia controproducente, che rischi di resuscitare vecchi cliché, di riesumare quei paraocchi che ci fanno tanto effetto quando sono indossati da un pulpito (e da uno schieramento politico) diverso. Mi sembra cioè che la lettura di Le due Torri come film che invita alla guerra santa contro ogni "altrodasé" sia pretestuosa ai limiti dell'ingenuità.

A parte il fatto che Jackson ha finito di girare il film ben prima dell'11 settembre 2001 (e che non si può essere certi che Tolkien, quando descriveva i Signori del Male si riferisse a Hitler e non piuttosto a Stalin, o a tutti e due), l'impressione che si ha leggendo l'articolo è che all'autrice non piacciano per niente il regista e il suo cinema, anche tutto quello precedente, gore neozelandese compreso. Opinione più che legittima: Peter Jackson è tutto sommato un giovane autore e sulle sue reali qualità ci sarà ancora da discutere. Da qui a farne uno spettacolare fautore della guerra che sta per scoppiare la strada è lunga. E insidiosa: il pericolo maggiore è proprio quel manicheismo dal quale Il manifesto vuole mettere in guardia i suoi lettori.