Sono passati ventitré anni dal giorno in cui scrissi, con la complicità di Omar Khayyam, le ultime parole dell'ultimo numero di Robot, il quarantesimo. Sono un reduce della guerra al maiale, la guerra fangosa in trincea. Il nemico è sempre lo stesso, avamposto dopo avamposto, pianeta dopo pianeta: quelle creature biancastre e disgustose con solo due braccia e due gambe, e senza squame.

E io qua a imbracciare il moschetto disintegratore, con le scarpe di cartone polimerizzato, ventitré anni dopo come se fosse lo stesso giorno. Ho cicatrici su tutto il corpo, ma soprattutto nella mente.

Sono un reduce e per i reduci non è facile reinserirsi nella vita civile. Ci ho provato per anni, facendo il traduttore come il Comandante Curtoni; poi mi hanno richiamato nella Fanteria dello Spazio e ho ripreso il fucile. Per Urania, questa volta... Guerra lunga, guerra eterna. Un giorno, lo so, ci sarà un missile tracciante anche per me, sarò silurato - come dicono i nemici nel loro gergo esecrabile ispirato da pratiche sanitarie disgustose. Fino a quel giorno, tuttavia, il mio posto è in trincea, ad avvistare le astronavi bombardiere o anche solo a contare i ciottoli magnetici che ci buttano sulla testa per esasperarci. E tutto per un pugno di pianeti ai margini di una galassia dimenticata, dove solo il sangue e le croste sono reali.

Ma non sono un disfattista. Ventitré anni dopo combatto ancora e ne sono fiero, perciò lasciatemi riandare ai primi anni di guerra, quando non ero ancora un reduce. La guerra di Robot...

Che fosse una guerra lo sanno in pochi. Ma è un fatto, e veniva combattuta su molti fronti. Innanzitutto il Fronte dell'organizzazione. Allora come ora - ma allora anche di più, perché eravamo inseriti in una macchina produttiva di stampo tradizionale - per mettere insieme una rivista come Robot era necessario un lavoro enorme. Molta immaginazione, moltissima lena nel rintracciare e tenere i rapporti con i collaboratori, olio di gomito per sollecitare il materiale, altro tempo per leggere i pezzi, valutarli, illustrarli, impaginarli. E poi c'erano i racconti, le traduzioni, i diritti, i disegni... Un lavoro lungo, complesso e da fare con precisione, cosa che torna a tutto merito dell'ideatore-direttore di Robot, Vittorio Curtoni (alla cui personalità instancabile si deve questa rinascita della sua Creatura). Poi c'era il Fronte dei Costi. Ogni pubblicazione che si rispetti ha un budget prefissato e deve guadagnare, ragion per cui il rapporto costi/ricavi dev'essere rigoroso. Strettamente collegato a questo c'era il Fronte rapporti con l'editore, cioè con la persona che aveva finanziato Robot non per filantropia o per amore della fantascienza, ma per ricavarne un utile. L'editore va ascoltato a molti livelli: le sue opinioni hanno un peso determinante e a volte mediare fra le sue e le nostre idee non è facile. Infine, dati per scontati il Fronte dei rapporti con la redazione e il Fronte della distribuzione, si arriva alla battaglia più sanguinosa di tutte: quella con le Vendite. Robot chiuse, dopo tre anni di vita e di lotte, perché le sue vendite erano scese sotto il livello di guardia. Come mai, visto che molti l'hanno definita allora, e continuano a definirla adesso, la più completa rivista italiana di fantascienza? Ho una teoria. Ascoltatela.

Robot non era una rivista per il pubblico generale: era una rivista d'élite, o almeno per l'élite del nostro campo, il fandom. E nemmeno tutto il fandom: solo quello più consapevole, più curioso. Era realizzata con tutti i crismi della professionalità e anzi della raffinatezza, ma penso che i suoi obbiettivi - e quelli dei suoi collaboratori, me per primo - fossero quelli degli appassionati "di fuoco", il cosiddetto zoccolo duro. Ai tempi la fantascienza vendeva più di adesso: ma mentre un romanzo o un'antologia di racconti senza commenti (le antologie un po' meno, per la verità) potevano interessare quindici o ventimila lettori senza problemi, una rivista illustrata in cui metà dello spazio fosse dedicata all'informazione, ai dibattiti, alle opinioni e alle polemiche così tipiche del nostro mondo fantascientifico, interessava decisamente meno. Il pubblico generale (il pubblico che Curtoni chiamò "fariseo" e mandò esplicitamente a farsi fottere quando un paio d'anni dopo chiuse anche Aliens) non era abbastanza curioso, o forse, semplicemente, non abbastanza motivato. In altri termini, i venti o venticinquemila lettori di bocca buona disposti a comprare religiosamente un qualsiasi Urania del Tardo Fruttifero-Lucentiniano non avevano occhi né orecchie per le sottigliezze robotiche. Non appartenevano allo zoccolo duro, erano Gli Indifferenti. E dopo averla assaggiata, poco a poco abbandonarono la nostra fonte di delizie.