I romanzi della serie di Harry Potter costituiscono un caso letterario/editoriale esemplare. Con le avventure del piccolo e coraggioso mago orfano, l'autrice inglese è diventata senza dubbio l'autrice per ragazzi più famosa del mondo. Il primo volume del ciclo è stato pubblicato in 19 paesi, ha vinto i più prestigiosi riconoscimenti letterari internazionali (in Italia, tra gli altri, il Premio Cento 1998), ha dominato a lungo le classifiche dei bestseller europee e americane. Peraltro, pur rientrando dichiaratamente nell'ambito della narrativa infantile, le opere della Rowling risultano di lettura gradevole e intrigante anche a un pubblico adulto, qualità che le storie di Harry Potter hanno conservato anche nella recente trasposizione cinematografica (al momento in cui scriviamo, "Harry Potter e la camera dei segreti" domina i cinema italiani).

Qual è il segreto di tale successo? Pur giudicando eccellente la fantasia e lo stile della Rowling, condividiamo (sic!) l'opinione di numerosi critici letterari (doppio sic!!), e riteniamo che Harry Potter sia un progetto nato e rifinito a tavolino allo scopo precipuo di diventare un bestseller.

Non sappiamo se realmente sia stata condotta a priori un'apposita indagine di mercato (lo supponiamo soltanto), ma di certo Harry Potter contiene, come un perfetto meccanismo, tutti e i soli elementi necessari a piacere e soprattutto a vendere, vendere, vendere: dal protagonista ritagliato su misura per l'identificazione con il "lettore-target" (ragazzino maschio di undici anni, occhialuto, vagamente "nerd", psicoticamente convinto di essere soggetto a orrende prevaricazioni nei confronti del fratello maggiore, sottilmente complessato e covante segreti desideri di rivincita), agli elementi che più attirano la fantasia dei ragazzi (il mistero, la magia, il pericolo, i mostri), alla fantasiosa trasposizione della quotidianità dell'adolescenza inglese, ai dettagli più ammiccanti e infantili (vedi le "cioccorane", o le "caramelle tuttigusti+1"). Il tutto inoltre mirabilmente predisposto non solo per il passaggio al grande schermo, ma anche per propagandare il relativo merchandising (vedi giochi, magliette, costumi, pupazzi, ecc.), in una sinergia editoriale-finanziaria di rara efficacia e tempismo quantomeno sospetto.

Attenzione, additare l'artificiosità del successo di Harry Potter non vuole essere una critica. A nostro vedere, infatti, rendersi conto del preciso progetto alla base dei romanzi della Rowling non impedisce di gustarne la freschezza, il piacere della trama, persino un certo umorismo, o meglio una certa satira di costume, puntata contro i vizi della società anglosassone, che le storie di Harry Potter beffeggiano con notevole maestria. Dalla eccessiva formalità all'inevitabile ipocrisia, dall'assurdità di alcune tradizioni (vedi le uniformi scolastiche) all'inutile complessità dei sistemi monetari e di misura (vedi gli "zellini" e le regole del Quidditch), la Rowling spesso bacchetta i propri compatrioti, pur essendo a sua volta una scrittrice inglese purissima e visibilmente orgogliosa d'esserlo.

Al limite, dove Harry Potter ci risulta in qualche misura criticabile, è dove la Rowling parla dei "Babbani", ovvero delle persone che non dispongono di poteri magici. I maghi, spiega la Rowling, costituiscono una specie di società segreta, una casta assolutamente isolata e autoconsistente, con proprie leggi, monete e costumi, un vero e proprio "mondo dentro il Mondo", tenuto celato alla vista dei Babbani, questi ultimi trattati con una certa condiscendenza e sovrana commiserazione, a partire dal nomignolo palesemente dispregiativo. E' un approccio con reminiscenze vagamente razziste (nel mondo di Harry Potter sembra che le doti magiche siano ereditarie, e che per un mago avere antenati Babbani sia un disonore) che ci porta, inevitabilmente, a parteggiare per i poveri, vilipesi, eterni bersagli di scherzi e incantesimi, sfortunati Babbani.

Oltre a sperare di vedere, prima o poi, il fratellastro Dudley prendersi la rivincita sul saccente Harry, ciò che ci frulla in testa è la domanda: se la Rowling fosse nata in Italia, avrebbe avuto lo stesso successo?

A prescindere dall'inglesità di Harry Potter di cui si è già parlato, e che ovviamente sarebbe andata perduta, l'editoria italiana (notevolmente meno frizzante di quella inglese, anche se abbastanza attiva nel campo della narrativa per ragazzi, vedi ad esempio le iniziative de "Il battello a Vapore") sarebbe ugualmente stata in grado di manovrare correttamente il lucroso meccanismo?

Non azzardiamo una risposta, bensì tentiamo un esperimento, attraverso un'improbabile e beffarda trasposizione. Parafrasando il personaggio di Corrado Guzzanti (Vulvia di Raieducational Channel), puntiamo il dito e gridiamo "Scopritelo su sotto spirito!".

Buona lettura.