Memories of green

di Vittorio Curtoni

Memorie robotiche (6/fine)

Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

E veniamo alle rogne. Sgradevole ma inevitabile.

Sul numero 12 (marzo 1977) apparve l'articolo di Remo Guerrini SF e politica. Chi si sarebbe aspettato che potesse provocare il trambusto che ne nacque? Per essere sincero, qualche sospetto lo avevo, ma mai mi sarei spinto a ipotizzare tanto. In retrospettiva, l'immagine che più mi si è fissata nella mente è quella di Adriana Armenia, prima moglie dell'editore e all'epoca mia collega in redazione, che, dopo avere letto il dattiloscritto del pezzo, mi chiese: "Ma perché lo pubblichiamo? Dice cose talmente ovvie." Già. Adriana aveva ragione.

Remo si limitava a constatare che la fantascienza riflette anche le idee politiche di chi la scrive, sicché si può dire che esista una sf di sinistra e una di destra. Osservazione effettivamente ovvia e, sono pronto ad ammetterlo, articolata in maniera superficiale; ma per noi, per Guerrini e per me, quello doveva essere l'inizio di un discorso più approfondito.

Che non siamo mai riusciti a fare, nel cancan che seguì. Questa semplice asserzione diede fastidio a molti, nel fandom e nell'editoria specializzata. Presero a fioccare commenti che parlavano di "stupidità politiche" e mi definivano "quel comunista di Curtoni", credo nel comico tentativo di offendermi. * Quel che pensavo allora è quel che penso oggi: nel piccolo orticello della fantascienza, qui in Italia, è buona norma non sollevare questioni ad alto potenziale esplosivo come la politica; è molto meglio spacciare il prodotto, cioè il libro, per un oggetto neutro, senza connotazioni particolari, se no si corre il rischio di irritare una parte di pubblico. E di non vendere. Queta non movere, recita l'antico adagio splendidamente adatto all'occasione. ** Noi avevamo smosso le acque, detto l'indicibile. Magari rozzamente, ma lo avevamo fatto.

Le polemiche presero a infuriare virulente. La presa di posizione politica di Robot aveva scatenato malumori, come era evidente dal tono di certe lettere. Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, tirati in causa da Guerrini per la loro gestione (di destra) delle collane di Fanucci, si fecero vivi con una lunga missiva (numero 22, gennaio '78), alla quale io risposi con tono tagliente. Sul numero successivo, Remo rincarò la dose in Editoria e ideologia. Ma ormai si era arrivati al punto che qualunque cosa poteva diventare motivo d'attrito, dalla lettura di un film come apologia di tendenze reazionarie (la recensione di Danilo Arona a Rollerball) alle critiche alla gestione dello S.F.I.R. nel 1977 (in quel caso, fui io a stendere un articolo caliente), dai litigi su una convention mal riuscita (la MilanCon del 1976) agli accapigliamenti per il cambio dei titoli nella riedizione di alcuni classici della sf cinematografica. Robot si era trasformata in una specie di ring sul quale tutti se la davano di santa ragione; e io, che sarei dovuto essere l'arbitro, non lesinavo calci e pugni...

Sarò franco: temo di avere esagerato. Per quanto le mie opinioni sui temi di fondo restino inalterate; per quanto la polemica politica sia riuscita a far emergere dall'indifferenziato mare magnum dei lettori di sf prese di posizione nette, riflesse in un numero di "Contropinioni" e nell'uscita allo scoperto di gruppi come il collettivo "Un'ambigua utopia"; *** e per quanto, infine, io non abbia fatto altro che ripercorrere il glorioso sentiero dei miei predecessori, i signori e le signore che si coprivano di insulti dalle colonne delle riviste anni Sessanta; nonostante tutto questo, ho esagerato. Mi è mancato il senso della misura. Le stesse cose si sarebbero potute dire con altro stile, con savoir faire e pacatezza. E a riportare un minimo di compostezza avrei dovuto provvedere io, che ero il direttore della giostra. Ma ehi, avevo meno di trent'anni e il sangue caldo. Ero fatto così.

A riparlarne ora, un poco mi viene anche da ridere. O da sorridere. Penso che dietro quelle erculee maratone di litigate individuali e collettive ci fosse tantissima energia. In parte distruttiva, è vero, ma principalmente costruttiva. La grande dote che ci è mancata, a tutti quanti, è stata il senso dell'umorismo. Ci siamo presi troppo sul serio. Se solo ci fossimo ritrovati a farci una bella sghignazzata comune, quante pene ci saremmo risparmiati. E' che non ne eravamo capaci. Io per primo. Chi lo sa, se si producesse adesso un'antologia sul tema "Il meglio delle litigate di Robot", magari sarebbe un grosso divertimento per chi volesse leggerla. Compreso chi di quelle zuffe è stato protagonista. Con tutti i lati negativi che si possono ascrivere agli eventi del tempo, furono un'esplosione di esuberante vitalità giovanile. Purtroppo incontrollata.

A posteriori, è insorta l'opinione che a determinare il crollo della rivista siano state queste polemiche, soprattutto quella scatenata da Guerrini. Io non lo credo. Posso ammettere che una certa percentuale di lettori ci abbia abbandonati per divergenze ideologiche, ma in una misura che ritengo marginale rispetto al crollo delle vendite che si verificò. Se continuarono a giungermi abbondanti dosi di improperi dai "nemici" che si divertivano a sbeffeggiare, di mese in mese, le nostre nuove malefatte, è evidente che non avevano smesso di comperarci. E se è vero che il 1977 è stato l'apice dei cozzi stellari, è altrettanto vero che per tutto quell'anno le nostre sorti in edicola hanno retto benissimo. **** Il degrado ha avuto inizio col 1978, un po' in ritardo direi per ipotizzare quel tipo di rapporto causa/effetto. La mia personale ipotesi è che Robot abbia subito le stesse identiche sorti toccate ad altre riviste e collane librarie che hanno prosperato per un anno o due, talora meno, e poi hanno dovuto chiudere perché il pubblico si era stancato. Annoiato. Quel che preferite.

E' facile imputare la responsabilità della defunzione della rivista al suo piglio polemico e alla sua connotazione politica, tratti identificabili da chiunque. Caso unico nella storia della sf in Italia. Se qualcuno sa spiegarmi perché tante pubblicazioni venute prima di noi (e dopo) abbiano fatto fini equiparabili senza essersi mai occupate, almeno in forma esplicita, di politica, e perché invece Robot dovrebbe essersi estinta in forza del suo peculiare carattere, magari potrò rivedere le mie idee. Sinora, e sono passati più di vent'anni, nessuno mi ha dato una risposta convincente. Resto in attesa.

L'immagine di copertino dell'ultimo numero di Robot, disegnata da festino La traiettoria discendente fu veloce. Le vendite si attestarono al di sotto delle 10.000 copie e andarono in calando nella primavera del 1978. Ricordo un tragico colloquio col nostro distributore che, porgendo ad Armenia i tabulati degli ultimi mesi, gli consigliò caldamente di chiudere la rivista. Giovanni ebbe un bel coraggio. Mi disse che non voleva chiudere, ma che evidentemente la formula non funzionava; bisognava trovare un'alternativa. L'unica cosa che riuscimmo a escogitare fu la traduzione di antologie compilate all'estero, per restare fedeli all'ideale del racconto, con quel poco di apparato critico e informativo che il numero di pagine avrebbe concesso. E così fu, a partire dal numero 30 (settembre 1978), ovvero La banca della memoria, il meglio della fantascienza apparsa in America nel 1976.

Per quel che mi concerneva, quello era quanto. La Robot che avevo ideato e portato avanti per oltre due anni non esisteva più. Ero stufo marcio di fare il pendolare, e l'idea di trasferirmi a Milano con mia moglie non mi passava nemmeno per l'anticamera del cervello: abituato come sono ai ritmi provinciali, sonnolenti, di Piacenza, per me quella città era (ed è) un incubo. E non sto a parlare delle incomprensioni tra Armenia e me, non poche e sovralimentate da due personalità terribilmente reattive. Cose che grazie a dio abbiamo superato. Senza dire niente all'editore, quell'estate presi contatto con Urania nella persona di Andreina Negretti. Tradussi per lei il mio primo Ron Goulart, La grande clessidra, e andò tutto bene. E così decisi di diventare il traduttore free lance che sono ancora oggi. Smettendo di viaggiare ogni giorno in treno per raggiungere il posto di lavoro.

Robot, nella sua nuova formula e curata a livello esclusivamente redazionale dal solo Lippi, sopravvisse fino al numero 40 (luglio/agosto 1979). Indimenticabile il robot accasciato che Festino dipinse per quell'ultima copertina. Il mio editoriale di addio apparve nell'ottobre 1978. Si intitolava "Ciao" ed era molto malinconico. Come lo ero io. Come lo sono ancora adesso, scrivendo di quel periodo oserei dire mitologico della mia esistenza.

Note

* Ribadirò qui per l'ennesima e ultima volta che fu Guerrini a propormi quell'articolo. Io gli diedi l'okay, ma né l'ho scritto né l'ho ispirato. Non per dissociarmi dalle sue opinioni, che erano e restano anche mie, ma diamo a Remo quel che è di Remo. Dopo un po', sembrava che ne fossi io l'autore... Sgrunt.

** Una cosa mi è sempre parsa piuttosto significativa: nei primi anni Settanta, sia in articoli sul "Bollettino SFBC" sia in introduzioni a "Galassia", avevo chiaramente espresso le mie propensioni marxiste, però non si erano registrate reazioni da parte dei lettori. Non esistevano né le fanzines né il variegato panorama editoriale della seconda metà dei Settanta, uno dei periodi di boom della fantascienza qui da noi. In quel contesto, con ogni probabilità l'articolo di Guerrini sarebbe caduto nel dimenticatoio nel giro di un mese.

*** Mi corre l'obbligo di riferire che si verificarono anche conseguenze assai sgradevoli, tra le quali primeggia la messa al bando dell'editore Fanucci da parte di non so quante librerie per il timore di rappresaglie nel clima rovente di quegli anni. E' una cosa che ho saputo solo in tempi recenti, che non avrei mai immaginato e che mi rattrista. Io ricevetti molti insulti, qualche minaccia non troppo velata, e un po' di inneggiamenti alla guerriglia armata. Fantastico. Avevano capito tutto.

**** Tanto che il fascicolo del novembre 1977, numero 20, con la copertina e gli articoli dedicati a Guerre stellari, fu lanciato in pompa magna da uno sbandieramento in edicola di trionfali locandine.