Donnie Darko, Avalon

Se siete vampiri, Sitges mette a disposizione comode bare sulla spiaggia...
Se siete vampiri, Sitges mette a disposizione comode bare sulla spiaggia...
Nonostante si sia aggiudicato il premio per il miglior soggetto, soprassediamo invece su Donnie Darko, pasticcio fantasy-horror co-prodotto da Drew Barrymore, che interpreta anche un piccolo ruolo, in cui l'omonimo protagonista del film (Jake Gyllenhaal) è un ragazzo con seri problemi di inserimento a scuola e nel mondo degli adulti, che ha per amico un immaginario coniglio di nome Frank, alto quanto un uomo e dall'aspetto non proprio piacevole. Frank gli salva la vita, preavvisandolo della misteriosa caduta del motore di un aereo proprio nella sua stanza, ma innescando una serie di bizzarri avvenimenti, che porteranno tra l'altro alla morte della madre e della sua ragazza. Appesantito da ritmi lentissimi e da un'atmosfera tragica, la pellicola di Richard Kelly, un altro debuttante dietro alla macchina da presa, spreca un cast di ottimi attori tra cui, oltre alla stessa Barrymore: Patrick Swayze, Mary McDonnell e Katherine Ross e, rubacchiando idee da Harvey (un film del 1950 con James Stewart, che valse un Oscar alla co-protagonista, Josephine Hull), realizza una storia di cui ci sfugge il senso.

Stessa sensazione per Mulholland Drive, ultima fatica di David Lynch, concepita come serie televisiva e ridotta a 35 millimetri in seguito al rifiuto del soggetto da parte della ABC, che l'aveva commissionata. Dopo un inizio degno di un 'noir' uscito dalla penna di Raymond Chandler, con tutti gli elementi della 'detective story' anni '40 (mistero, omicidi ed erotismo, che fanno da corollario alle disavventure di una sensualissima Laura Harring, senza più memoria dopo essere sfuggita al tentativo di omicidio di alcuni gangsters), la pellicola vira verso le consuete ed oniriche atmosfere Lynchiane, ove ogni velleità dello spettatore di comprendere l'autore di Twin Peaks è destinata a fallire e non si può fare a meno di provare un senso di smarrimento e disorientamento.

Siamo decisamente su un livello diverso con Avalon, prima coproduzione tra Giappone e Polonia, realizzata interamente sul suolo polacco, con ottimi attori locali, strabilianti effetti speciali ed un sonoro che dona allo spettatore la sensazione di trovarsi al centro dell'azione (la pellicola è la prima in Giappone ad utilizzare il sofisticatissimo sistema "Dolby Digital Ex Format"). Dietro la macchina da presa di questa tecnologica storia di video games e realtà virtuale, troviamo il cinquantenne Mamoru Oshii, che già nel 1995 ottenne i favori di pubblico e critica con Ghost in the Shell, ritenuto a ragione uno dei migliori film di animazione giapponese. Avalon è un "War Game", che in un prossimo futuro, dominato da miseria e rovine, rappresenta l'unica possibilità di fuga da una triste ed opprimente realtà, soprattutto per i cospicui premi in denaro, offerti ai vincitori di questo illegale gioco di "virtual reality". Tra questi, spicca Ash (Malgorzata Foremniak), una donna dall'animo nobile, attratta sempre più da un misterioso livello, denominato "Special A", di cui si favoleggia tra gli scommettitori, ma si dubita anche della reale esistenza. L'intera pellicola, con l'eccezione del finale a colori, è girata in una suggestiva tonalità seppia, che è valsa a Grzegorz Kedzierski il riconoscimento per la miglior fotografia, con strabilianti effetti di esplosioni (praticamente a strati sovrapposti) totalmente innovativi e di difficile descrizione; un film che sottolinea quanto l'attuale processo di connessione, sociale e culturale, che sta attraversando la società odierna, stia avendo un impatto anche sulla settima arte.