Franco Ricciardiello nei panni del maresciallo Alpers. Foto tratta da Intercom
Franco Ricciardiello nei panni del maresciallo Alpers. Foto tratta da Intercom

A tuo giudizio, quanto è importante per la letteratura di genere interessarsi alla politica, alla religione, alla filosofia...?

L'esistenza di generi letterari è una semplificazione del mercato: le case editrici hanno bisogno di far capire rapidamente ai lettori cosa possono aspettarsi dai volumi che trovano in libreria. Gli argomenti specifici delle singole opere sono lasciati alla capacità dell'autore e all'interesse del lettore: direi che non è assolutamente indispensabile complicare una storia con sviluppi filosofici o esistenziali; ma, al tempo stesso, perché no? Se oltre a divertire i lettori riesco a stuzzicare la loro curiosità su altro... La complessità narrativa è un piacere estetico al quale non riesco a rinunciare: basti dire che il mio autore preferito è Thomas Pynchon, e il mio modello inarrivabile L'arcobaleno della gravità, dove tutto sommato il plot ha un'importanza decisamente inferiore rispetto alle divagazioni stilistiche, scientifiche, economiche e via dicendo.

Radio Aliena Hasselblad è un romanzo politico?

No. Anzi, sì.

Rispetto a Ai margini del caos (premio Urania 1998), Radio Aliena Hasselblad mi sembra più allucinato; in certi momenti ho avuto come l'impressione che citassi fra le righe le paranoie poetiche dickiane... mi sbaglio? E se sì, correggimi.

Beh, credevo che la cosa fosse proprio esplicita, a partire dal titolo! "Radio Aliena Hasselblad" strizza l'occhio a Radio Libera Albemuth: il raggio luminoso che trasporta informazione compressa, la storia segreta, la realtà fenomenica che si sfalda fra le mani della protagonista... Philip Dick c'era già, ed esplicitamente, in Ai margini del caos, ma stavolta ho proprio attinto a piene mani: la trama del mio romanzo è simile al film di Mother Goose che Horselover Fat vede al cinema in Valis.

La fantascienza ha trovato terreno fertile soprattutto in America: è stata la terra dei grandi spazi, anche se oggi sta diventando la terra dei grandi deserti e delle megalopoli e delle multinazionali. Gli autori di sf (e non) hanno ambientato le loro storie nei grandi spazi: tu, invece, ambienti le tue storie in un piccolo spazio vitale, quello torinese (e piemontese), poi dilati lo spazio vitale necessario alla storia in Germania, ad esempio. Qual è la differenza tra gli scrittori americani di genere e quelli italiani?

Lo spazio necessario alle mie storie non è esterno ai protagonisti: mi interessa molto di più quello circoscritto dai limiti del corpo umano. La mia scrittura è molto geografica. Ho bisogno di mappare le città che descrivo, di fornire coordinate topografiche, nomi di strade e piazze, devo citare le città e le regioni. Ho bisogno di una ambientazione quantificabile. La porzionizzazione geografica dello spazio esterno deve riflettere l'esplorazione della geografia psichica dei protagonisti: la scoperta del where e del when, l'ambientazione della storia, deve procedere inesorabilmente con il progredire della trama.

E' giusto che un autore italiano scriva science fiction ambientando le sue storie in un territorio che non conosce, se non a grandi linee, come l'America?

Un autore di sf non dovrebbe neppure porsi la questione, visto che è abituato a ambientare le proprie storie su altri mondi: certo, potremmo discutere se l'America di oggi sia più o meno aliena di Marte...