Non trovi pensieri consolatori, quando sei in quello stato d'animo. Non serve ripetersi che c'è chi sta peggio. Non serve cercare un'improbabile speranza, una via d'uscita. Allora, sì, sei ad un passo dalla resa, o dall'insanità mentale.

Oggi non è un giorno così, per fortuna. Oggi è bonaccia. Mi metto persino a fare un po' di ginnastica: qualche flessione, appoggiata al tavolo.

Un tavolo e una sedia, già. Non c'è nient'altro, come arredo della stanza.

Ho la borsetta, sempre con me. Quella me l'hanno lasciata, insieme con l'orologio. Dentro però ci sono poche cose, le sole che passino le perquisizioni, come chiavi, soldi, documenti, fazzoletti.

Niente di utile, per passare il tempo. Ma è proprio quello che vogliono.

Ah, quasi dimenticavo il telefono. Fa parte dei requisiti minimi di legge, però è inutilizzabile: perennemente guasto. Una raffinatezza in più, direi.

Il giorno è lungo, per quanti passatempi mentali ti inventi: il momento più critico è verso le tre e mezza del pomeriggio. Quasi tutte le mie crisi peggiori sono arrivate a quell'ora.

Per il momento, oggi tutto fila liscio. L'ora di pranzo mi piomba addosso che neanche me ne accorgo.

Prima mi meravigliavo che ci concedessero di pranzare tutti in gruppo, lo consideravo un diversivo, un allentamento della sorveglianza.

Quanto ero stupida, a non capire. Anche qui, sono estremamente raffinati, e nulla è lasciato al caso. Intanto, un isolamento troppo spinto potrebbe essere oggetto di critiche, attirare l'attenzione. Che so... potrebbe muoversi persino Amnesty, perché no? Almeno finché non passa la legge che vuole metterli al bando dal nostro paese, come "movimento terroristico internazionale contrario al liberismo e al progresso".

O la lobby ha pagato poco, finora, o qualcuno dei nostri insigni rappresentanti del popolo ha avuto uno scrupolo tardivo, chissà. Ma alla prossima votazione non ripeteranno di certo questo errore, e così anche Amnesty farà la fine del WWF, di Legambiente, dei pacifisti... Dei giudici incriminati e destituiti.

Ma lasciamo perdere. Ne ho già troppi, di pensieri deprimenti, anche solo a pensare per me stessa, tralasciando il resto del mondo.

Che stavo dicendo? Ah, sì, pranziamo tutti assieme, in sala mensa. E basta entrarci per capirne il motivo.

L'odore prevalente è quello della paura. Una paura piccola e meschina, come noi. Paura di un cedimento, di perdere il proprio misero ruolo gerarchico, per chi ce l'ha, paura di tradirsi, di sbagliare, di non essere all'altezza. Paura di uscir fuori di testa.

Riconosci subito chi è in isolamento perché è più pallido, tirato, incerto: tiene gli occhi bassi, come se si vergognasse di esistere. Gli altri, quelli a cui è concesso di lavorare, di stare in gruppo, di muoversi liberamente all'interno degli edifici, ti guardano sempre storto, ti evitano come un lebbroso, proprio perché ricordi loro un destino sgradevole. Sono persino astiosi, sì, per quanto possa sembrare illogico: lavorare aiuterà a distrarsi, ma ha i suoi lati negativi. Ognuno di loro è costretto a sgobbare normalmente per dodici ore di fila, a volte anche molto di più, fino ai limiti della sua resistenza fisica e mentale. Ti vedono bello fresco, riposato e nullafacente, e non importa che la tua condizione sia di gran lunga peggiore: sarà illogico, ma gli stai sulle palle.

E tu d'altra parte, dentro di te provi un'invidia acre, sottile, rancorosa, verso quei privilegiati, e non riesci a pensare ad altro.