Andrew Harlan è un Tecnico dell’Eternità, il sistema escogitato dall’uomo per controllare il flusso del Tempo agendo sulla storia degli uomini. Harlan è vicinissimo al potente Controllore Twissell, che si serve di lui per operare nella maniera più opportuna questi cambiamenti, agendo secondo un principio ben noto alla teoria del caos per mezzo di piccole modifiche (MMN, ovvero Mutamento Minimo Necessario) al fine di produrre il Mutamento di Realtà desiderato (MRP, ovvero Miglior Risultato Possibile). Nel corso dell’ennesima missione, Harlan s’imbatte in una serie di fattori fortuiti, apparentemente irrilevanti, eppure sufficienti a indurre nella sua coscienza integerrima il dubbio che l’esistenza stessa dell’Eternità sia un’anomalia. Prima l’amore per Noys, un’eresia nella rigida ottica degli Eterni votati alla castità, poi la scoperta di essere nient’altro che una pedina sullo scacchiere della Realtà, porteranno al collasso delle sue certezze. E Harlan, nel suo cammino costellato di falsità, tradimenti e colpi di scena nella migliore tradizione letteraria del Dottore, si vedrà costretto a imbarcarsi in un’ultima missione, nel corso della quale opererà il primo e l’ultimo dei MMN, un’azione volta a distruggere l’ordine stesso delle cose come lui le conosce.

Come si sarà intuito da queste poche righe, siamo di fronte a un romanzo classico della fantascienza. Classico per la sua costruzione, per la sua appartenenza alla Golden Age, ma anche per lo status che ha saputo meritarsi. Scritto ormai mezzo secolo fa, la prospettiva che riesce a proiettare nel lettore è da vertigine. Una vertigine che trascende il senso puramente storico e si eleva a una valenza metafisica. Perché, grazie anche alla molteplicità di livelli di lettura nascosti nel testo, il Dottore si trova qui a livelli onestamente ineguagliati nella sua pur eccellente carriera.

Ciò non toglie che La fine dell’Eternità sia segnato da limiti, che sono un po’ i soliti di Isaac Asimov. La concezione dei capitoli come unità narrative autosufficienti, per esempio, che era un po’ la norma per gli autori afferenti al mensile «Astounding» di John W. Campbell, appare oggi quasi come anacronistica e di certo ha perso molto del suo fascino con l’ingresso del lettore nell’era della multimedialità (anticipata, questa, da visionari della penna del calibro di Alfred Bester, William S. Burroughs e Thomas Pynchon). Sicuramente la visione in sostanza ottimistica dell’uomo e della storia, risultato della cultura scientifica e positivista del Dottore, suggerisce spesso delle soluzioni che non possono passare inosservate per la loro facilità. Discorso analogo potrebbe essere fatto per la prosa, che come sempre in Asimov è composta e fredda, immune a qualsiasi vibrazione emotiva, col risultato di offrire uno spaccato psicologico piuttosto piatto. Ma la grandezza di uno scrittore del genere, in fondo, risiede proprio nella capacità di riuscire a far passare quasi inosservati i suoi limiti grazie a una capacità di affabulazione e a una profondità speculativa con pochi eguali nella storia della fantascienza.

Dicevamo dei molteplici livelli di lettura del testo. Un primo livello è quello della storia d’amore, l’unica vera relazione che il protagonista riesca a instaurare sul piano privato con il mondo degli uomini. Harlan sarebbe altrimenti isolato nella gabbia dei suoi studi, delle sue ricerche condotte con passione ossessiva, dal resto del mondo. E questo pur avendo a sua disposizione un numero pressoché illimitato di occasioni, avendo accesso a tutti i mondi sorvegliati dall’Eternità. Invece, anche per via della sua condizione di Tecnico guardata con sospetto dai suoi stessi colleghi superiori e subordinati, si ritrova solo nella sua professione, come solo sarà anche nella battaglia in cui si troverà invischiato per amore di Noys.

Un secondo livello è quello, giustamente rilevato da Giuseppe Lippi nella sua illuminante introduzione, del “conflitto sociale” interno all’Eternità. Questo è un riflesso dell’ambiente della ricerca universitaria ben noto all’autore, sorretto dalle consolidate pratiche dei favoritismi e dell’invidia che inevitabilmente sfociano nella logica delle tensioni politiche interne. L’Eternità, che per buona parte del romanzo incombe con la sua rigida immutabilità di rapporti umani, nel finale si trasforma addirittura in una metafora del mondo contemporaneo, con l’espressione da parte del protagonista (Tecnico, come il Dottore in effetti altro non era che un ricercatore) di un onesto sentimento di stima e simpatia per i lavoratori sottostimati eppure insostituibili del Dipartimento dei Trasporti Intertemporali (uomini della Manutenzione, in sostanza operai). E questa simpatia si spinge al punto di esprimere, in uno dei passaggi più vividi e attuali del libro, un desiderio quasi inconsapevole a un rivolgimento imminente che, operato da questi operai sotto la guida illuminata dei Tecnici, abolisca il vigente ordine gerarchico (responsabile di inimicizie e insoddisfazioni) e ripristini uno stato di uguaglianza tra gli uomini. Soluzione utopica, certo, ma pur sempre sovversiva nella prospettiva piuttosto convenzionale del genere.

Infine il terzo livello che, dopo la sfera privata-emotiva e quella storico-sociale, si eleva a una dimensione cosmologica e metafisica. È senz’altro questo l’aspetto più interessante di tutto il romanzo. Dopo averci illustrato una metodologia operativa fondata su Computaplex che sono eredi preindustriali di Eniac, su gradienti di ipercaduta e tensioni temporali, Asimov imbastisce una visione alternativa della Realtà. In quest’ottica, Eternità e Infinito sono due concetti che si escludono a vicenda. L’Eternità, infatti, altro non sarebbe che un meccanismo di preservazione dell’uomo attraverso la moderazione e la sicurezza. Per questo, il mondo dell’Eternità vede sempre e comunque prevalere uno stato di mediocrità, una realtà in cui l’uomo si adagia sulla certezza dei viaggi nel tempo per non evolvere mai davvero. In questo modo si preclude la strada di una crescita morale e cognitiva: immutato dopo dieci milioni di anni, l’uomo prova una paura viscerale per tutto quello che è (o potrebbe essere) altro da sé, come per esempio gli uomini (o superuomini) dei Secoli Nascosti, creature che sono riuscite a tagliarsi fuori dall’Eternità e che sembrano capaci di prodigi ben superiori nel controllo del tempo. Ma frutto di questo stato delle cose è anche il mancato sviluppo di un’adeguata tecnica di volo stellare, che a differenza di altre civiltà galattiche ben più giovani col passare del tempo costringe l’uomo nella sua gabbia. Questa isola di stabilità nel Sistema Solare divenuta ormai una prigione circondata da una libertà sconfinata non potrà che diventare anche la sua tomba. Una visione che risulta frutto proprio della superiore consapevolezza acquisita dagli esseri dei Secoli Nascosti e che porterà Harlan a prendere una scelta cruciale, risolvendo la compatibilità dell’universo di questo romanzo con quello dei più illustri cicli del Dottore.

Insomma, le ragioni di cui sopra, unite alla sana vena speculativa di Asimov (che, come si accennava, riesce ad anticipare l’importanza di un principio all’epoca poco apprezzato dall’establishment scientifico ma poi riscoperto dagli scienziati del caos, principio che va sotto il nome di “dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali”), dovrebbero essere abbastanza da indurre alla lettura anche chi non è propriamente un appassionato del genere. A maggior ragione, questo è un libro che nella biblioteca dell’appassionato non dovrebbe mancare per nessun motivo al mondo. Pena il rischio di incorrere in un Mutamento, senza nemmeno accorgersene.