Memories of green

di Vittorio Curtoni

Memorie robotiche (1)

Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

Ebbene sì, direi che era fatale. In questa mia sfolgorante column di sfolgoranti ricordi fantascientifici, dovevo necessariamente arrivare a parlare di ROBOT: cuore del mio cuore, seno del mio seno, la cosa più bella & dolce & amata della mia vita (dopo mia moglie). Nel procedere incostante del mio tempo soggettivo, stile stream of consciousness joyciano o più prosaicamente stile modus operandi del mio eclettico inconscio, mi va di parlarne prima di cose precedenti, come le fanzines o "Galassia", semplicemente perché così mi aggrada. Quando si procede per frammenti, a schizzi e spruzzate, è tutt'altro che indispensabile seguire una logica coerente; e io m'inchino a questi superiori dettami del continuum temporale interiore. Ah, l'afflato poetico...

Robot: archeologia del rivistume fantascientifico. Paleolitico di un'editoria pre mass market. Pietra di paragone rimasta scolpita nel cuore di molti, bontà loro, credo quanto nel mio. Pubblicazione mai eguagliata, ma diciamolo subito, semplicemente perché nessun altro ha mai più ritentato l'esperimento: non son codesti anni da riviste. Si veleggia, si naviga sui grandi tomi da cinquecento mille milleduecento pagine, ci si inebria di cicli che si sa quando cominciano e non si sa mai quando finiscono, e chi se ne frega dei racconti?

Io me ne sono sempre fregato. E molto. Dopo Galassia e SFBC, nel godosissimo periodo 1969-1974 con Gianni Montanari, il mio sogno era una vera rivista di sf, con racconti articoli interviste notiziole recensioni eccetera. E l'uomo del destino mi diede l'occasione di concretizzare queste, dickensianamente parlando, grandi speranze.

L'uomo del destino si chiamava e si chiama ancora (gode di eccellente salute, per quel che ne so) Giovanni Armenia. Qualche anno più di me, siciliano traferito a Milano, ex funzionario di una casa editrice, nei primi anni Settanta Giovanni si era messo in proprio. Dopo un sondaggio di cui ignoro tutto, aveva deciso che il campo da battere per un editore agli esordi fosse il paranormale, l'occulto: dagli UFO ai meridiani della medicina cinese, dall'esoterismo al poltergesit, dalle apparizioni spettrali alla telepatia. Tutto quanto il repertorio. Così erano nate due riviste mensili, Gli Arcani e più tardi ESP, subito accompagnate da una produzione libraria che registrò anche successi non da poco (I mercanti dell'occulto di Pier Carpi fu, ad esempio, un best seller).

Nel 1975, il suo editor addetto alla cura dei libri era Antonio Bellomi. Antonio, un nome perfettamente noto agli appassionati di fantascienza, una delle grandi (con quel che pesa!) rassicuranti presenze della mia vita, sapeva che io, terminato il servizio militare alla fine del 1974 e iniziata controvoglia quella che ritenevo la più abominevole delle carriere come insegnante di lettere (nessun insegnante se ne voglia; non è un giudizio di merito, ci mancherebbe, è solo una mia personale mancanza di propensione), bramavo un lavoro nello sgargiante mondo dell'editoria. Sicché, quando Armenia si mise in cerca di un nuovo redattore, Antonio mi chiamò: in pratica è a lui che devo la vita che ormai conduco da più di trent'anni, e ancora non so se devo ricoprirlo di incenso oppure ammazzarlo...

Così agli inizi del 1975 incontrai Armenia nel suo ufficio. Ci piacemmo all'istante (okay, vero, è sempre stato un bell'uomo. Cosa abbia visto lui in me non lo so). A metà marzo di quell'anno prendevo ufficialmente posto alla mia scrivania di redattore delle due riviste di parapsicologia & affini. E un anno dopo, nell'aprile del 1976, usciva il primo indimenticabile, almeno per me, me lo concederete, numero di Robot. WOW! Quello col racconto e il ritratto di Fritz Leiber...

Mi è stato chiesto molte volte: ma come è nata l'idea di Robot? Chi l'ha avuta? Ecco infine la fedele narrazione della vera historia.

Ai primi di novembre del 1975, un venerdì, Armenia e io partimmo in auto da Milano per raggiungere Bologna. Avremmo trascorso la serata in compagnia del dottor Piero Cassoli, direttore di ESP, figura carismatica della ricerca sul paranormale in Italia, e del compianto dottor Massimo Inardi, medico come Cassoli e a sua volta colonna della parapsicologia. Un incontro di lavoro dal quale, tutto sommato, non mi aspettavo più di tanto.

Guidava Giovanni, ovviamente. Sulla sua automobile. Io come autista faccio schifo. E poco dopo l'ingresso in autostrada, con qualche oretta di viaggio che ci attendeva, abbastanza a bruciapelo lui mi chiede: "Ma se lei dovesse fare una rivista di fantascienza oggi, Vittorio, come la farebbe?" All'epoca ci davamo del lei, è doveroso notarlo. E di fantascienza avevamo parlato qualche volta, in genere tra le cinque e le sei del pomeriggio, dopo che le convulsioni giornaliere del lavoro di redazione si erano concluse. Nelle nostre chiacchiere del tramonto delle quali ho parlato in un mio racconto e che non di rado rimpiango.

Lui sapeva, è chiaro, dei miei trascorsi a Galassia, però non mi aveva mai dato l'impressione di essere interessato alla cosa. Non mi era mai passato per l'anticamera del cervello di proporgli una rivista di fantascienza. Ma se me lo chiedeva lui... Andò a finire che per tutto il viaggio gli riversai addosso i miei sogni, i miei desideri, le mie aspirazioni fantascientifiche: esattamente, virgola più virgola meno, ciò che poi fu Robot. Pensavo a Oltre il cielo, a Gamma, a Futuro, al Bollettino dello Science Fiction Book Club; e perché no, a Fiction, la rivista francese che all'epoca leggevo con una certa continuità e che aveva un non secondario interesse per saggistica e informazione. Anche se nella francescana povertà di chi non ha i soldi (o non ha l'immaginazione) per l'apparato iconografico: le fotografie degli autori, le copertine dei libri, le locandine dei film. Kai ta alla.

Il mattino dopo, sulla strada del ritorno, io ero suonato come una campana, dopo essermi scolato buona parte del whisky che Cassoli aveva in casa. Ma Armenia insistette sul tema, e io suppongo di essere riuscito a fornirgli risposte coerenti, perché quando infine mi depositò a Piacenza, a due passi da casa mia, mi disse qualcosa tipo: "Okay, Vittorio, cominci a pensare a questa rivista di fantascienza."

Boys and girls! Novembre 1975. Io avevo ventisei anni, mi ero sposato da pochi mesi per puro sfrenato amore, stavo facendo il lavoro più delizioso che la mia mente potesse concepire, e adesso mi si spalancavano le luminose porte della rivista dei miei sogni! Corsi al bar sotto casa a chiamare mia moglie in ufficio: parrà incredibile, ma fino al 1980 ho vissuto in un appartamento privo di telefono. E i cellulari erano solo uno sfuocato concetto nella mente di questo dio che per me non esiste. Le dissi: "Lucia, Armenia ha intenzione di farmi curare una rivista di fantascienza!" E lei, che è sempre stata, che ancora è la quintessenza dello scetticismo, mi rispose all'incirca: "Ah sì? Bé, vedremo. E quanto ti paga?"

(Continua continua continua)