Delos 29: Racconto: La Loca racconto di

Emiliano Gokuraku Farinella

la loca

Be', Farinella ormai cominciamo a conoscerlo tutti. Il suo stile è incalzante e duro, sboccato come pretende la "moda" cyberpunk (ma solo per una questione di noia, di banalità, perché ormai essere cazzuti e scurrili vuol dire essere al passo coi tempi). La storia, ispirata al poeta La Loca, in sè quasi non esiste, lo so io per primo, ma mi piace il fatto che questo racconto sia lo stereotipo cyberpunk fatto persona. E poi il personaggio principale e alcuni flash d'ambientazione sono davvero tosti. A volte basta questo per fare di un insieme di parole una storia. (Franco Forte)

Sono La Loca, e sono la migliore.

Sono la più adatta al pollo: così ha deciso lui, il collezionista.

E io ho detto "tranquillo, capo, me lo cucino io!"

"Sei la più adatta tu, e questo ci serve per un cliente importante"

"No problem, my Lord. Lo farò stare attaccato alla rete per tutto il tempo che serve. Mi cercherà per mesi e mesi, ogni giorno, per ore intere. Non vorrà mai lasciarmi. Gli farò confondere i suoi sogni con la mia realtà."

L'altra, la mia compagna, è vergine.

Io lo tengo incollato, e quella se lo imprime. Lavoriamo in parallelo, noi due.

La vergine è una rigenerata, come me. Lei è vuota. E' come una pellicola vergine: pronta ad essere impressionata.

Io, La Loca, ricevo le emozioni del gonzo, le sue capacità filtrano attraverso me. I suoi ricordi mi attraversano mentre lui si interfaccia a me: la sua dea.

Queste onde di mistero scolpiscono l'anima della rigenerata vergine. E' questione di pazienza, ma alla fine ottieni una copia precisa dell'originale impressa in quell'essere artificiale.

Lui è tranquillo, il pollo. Lui crede di essere al sicuro, crede infallibile il suo sistema di difesa. Quello che conosce è il suo sistema di sicurezza, non le imprese del collezionista, queste non le conosce nessuno, non fanno danno, non lasciano segno. Il collezionista lo conoscono solo i grossi clienti. E quando dico grossi...

Non lo potranno mai danneggiare, ne è sicuro, il pollo. Non è mai successo. Il sistema di gestione del TCP/IP killa all'istante la connessione al minimo segno di interferenza sui canali nervosi. Basta che rilevi un minimo segnale di rumore sulle connessioni nervose, un minimo rumore che dia segno di una porta aperta verso la mente del suo protetto, e il sistema tronca la connessione. E ti manda pure una scarica di ritorno, che se non la pari può far male.

Lui è tranquillo, ci sta al gioco, anche se non mi conosce. Si lascia lusingare ed accalappiare.

"Non è pericoloso, non mi possono ferire" pensa.

"Non è pericoloso" gli confermo, "non ti posso ferire", gli dico.

Non lo vogliamo toccare. Ne sono sicura: lo vogliamo copiare.

Non so cos'abbia di prezioso: forse conosce la chiave di criptazione di qualche documento segreto; forse è un programmatore che si porta un algoritmo rivoluzionario per la testa; forse è un importante dirigente in una posizione nevralgica, da sostituire al più presto. Un uomo da sostituire con una sua esatta copia, una copia esatta a meno di qualche difetto e un po' più stabile.

Non lo sa nemmeno lui, il collezionista, perché dobbiamo copiarlo.

Lui si limita ad incidere una copia su una rigenerata. Poi la consegna al cliente. E basta, finisce lì la cosa.

Ma nemmeno questo è vero. Il capo è un gran cazzo di collezionista. Incide due rigenerate, non una. Una è per il cliente, l'altra è per sé. Se le tiene tutte le copie. Anche quelle di psicopatici, pedofili, reietti d'ogni tipo e relitti umani smerdati dalla testa ai piedi: dice che quelle rigenerate sono le più belle.

Un buon collezionista si tiene anche le farfalle brutte. E lui è un gran cazzo di collezionista!

Questo gonzo qui era quasi un po' più furbo degli altri. Appena mi ha visto per come sono apparsa ai suoi nervi ottici, appena ho iniziato a solleticarlo attraverso i nervi spinali... beh, si è abbondantemente confuso le idee come c'era da aspettarsi. Ha fatto una gran confusione tra quello che sono e quello che vedeva. Però s'è ripreso, un po', il tipo.

Mi ha chiesto di provargli che ero una donna.

"Vabbe'" gli ho detto io, "ora ti faccio vedere come scopa una gran figliuola, la più dolce donzella che tu abbia mai visto".

E' meno furbo di quanto volesse far credere, in verità. Era solo una scusa per farsi una scopata. Una serie di stimolazioni che, si dice, metaforizzino una scopata. In realtà non è nulla di ché, ho scoperto. Anche se per me significano molto.

Gli lancio un orgasmo registrato. Io non posso provare nulla del genere... dovreste vedermi. Come donna non varrei molto, non ho uno straccio di buco da riempire, ho solo una testa dentro cui ficcare un sacco di roba prima di travasarla sulla mia compagna da sverginare. In fondo sono una metafora di donna, sono sempre un buco da riempire, ma quanto al resto non ho molto. Braccia e gambe non mi servono, e non ne ho. Dispongo solo degli organi vitali, & basta. Poi, certo, il mio cervello è in grado di sentire prurito alla pianta dei piedi, posso muovere le mani col pensiero... e per chi c'è dall'altro lato del cavo neurale è come se io muovessi sul serio qualcosa. Insomma, questo lavoro non mi dispiace troppo, collegata ci vedo, ci sento, cammino, corro, scopo. Fuori sono solo carne morta che puzza di pomata conduttiva.

Lui resiste all'orgasmo che gli ho inviato, pare averne tutte le buone intenzioni, vuole scoprire se io reagisco, se è un vero orgasmo o è solo una registrazione... pivello! So come reagire, mi muovo al modo giusto e lui inizia a lasciarsi andare. E' chiaro come il sole che quello che sta ricevendo è un orgasmo di un corpo femminile.

Eiacula, anche lui ha un orgasmo, ma non è di quelli reali. Sente concentrarsi tutte le pulsioni in punti inusuali, si sente diverso, sente il suo cervello stimolato da nervi che non gli appartengono. Sente carezze su pelle che non ha mai avuto. Appena lui reagisce lo sento, e inizio a godere anch'io con lui. Questa pioggia di piacere che mi bagna per caso mi spinge ad andare avanti, a catturare uomini, a non fermarmi mai.

Lui sa che potrebbe essere tutto simulato, non mi vedrà mai... ma si lascia andare, ormai cosa gli importa?

Per me la vera realtà è solo nei sogni; forse pure per lui, e gli va bene così.

Il collezionista è paraplegico, o qualche cosa del genere. Non l'ho mai visto, esattamente. Non ci vedo.

Credo che stia su una sedia a rotelle da una vita. Angeli: sono l'unica cosa che sa fare, questo è il suo mestiere.

Dà angeli al mondo, angeli da abbracciare. Angeli che quando finisci di abbracciarli e li lasci, hanno il tuo stesso volto. Solo qualche difetto in meno.

Forse il collezionista se li scopa pure, quegli angeli, se gli si rizza ancora. Per questo le copie sono solo donne, donne perfette e complete, anche se artificiali. Non come me che per mandare in onda un orgasmo con i controcazzi me lo devo fare registrare, prima.

Lo so come finirà questa storia. Manco c'è bisogno di stare a vederla tutta.

Quel povero gonzo starà qui nelle mie mani, immobile, a farsi succhiare pure l'anima in cambio delle mie belle parole e di qualche scopata metaforizzata.

Ho capito che tipo è, ora lo frego. Gli dirò perché scelgo i neri per amanti e lui sarà mio.

"Al giorno d'oggi" inizierò a raccontargli "l'acido è un passatempo modaiolo. Ma anni fa, quando ero nel giro io... mangiarlo era eucaristico, e ci rendeva veri visionari."

Si stupirà, mi chiederà la mia età, e si ecciterà ancora di più quando scoprirà che sono almeno vent'anni più vecchia di lui. Ad incontrarmi in un letto, mi confessa mogio mogio, probabilmente non mi farebbe. "Sai com'è... l'aspetto fisico conta in certe cose"

"Certo" gli faccio io "ma qui non conta nulla. Vienimi dentro" e gli mando un altro orgasmo mentre continuo la mia storia

"Ho iniziato a San Fernando. Mia madre era una piccola imbecille, manco aveva 15 anni. Ma non ha abortito, mi ha cagato a casa dei suoi vecchi, e poi ha preso il volo.

"Mi hanno ficcata in una culla di invisibilità; nutrita al biberon di aspirina e antisettici (tipi fini, i nonni); per babysitter mi hanno dato un tubo catodico.

"Ma sono arrivata lo stesso all'adolescenza. Ho sfondato la vetrata diventando reale. Ho visto la Madre Terra & il Grande Fratello & ho troncato le radici che mi soffocavano nel cemento di Sunset Boulevard per fare l'autostop con la mia amica. Da Berkley a San Francisco. E abbiamo scoperto che I Bongobongo erano da sballo, e invece i Bianchi erano fatti in batteria e innaffiavano i loro prati inglesi artificiali con lunghi tubi verdi a West Los Angeles.

"Ehi, sarai mica bianco, tu!?"

"Be'..."

"Tranquillo, belloccio. Quella mi si è calmata col tempo. Adesso sto qui in raso rosa d'annata, a farmi bastare i maschietti che trovo. Ma dovevi vedermi allora! Ero la puttana del satiro, e il raso rosa mi si fasciava ampio e floscio come un intento.

"Nel mio quartiere, se scopicchiavi in giro, eri una puttana. Ma adesso ero un'émigrée. Guardavo gli aerei carichi di ragazzi bianchi decollare dalla Hamilton High: erano l'avanguardia della R-I-V-O-L-U-Z-I-O-N-E! Roba da rimanerci, eh!?

"Tu che hai fatto di rivoluzione... dico, da che parte stavi?"

"Io, be', sono stato uno di quelli che c'hanno creduto fino all'ultimo. Non abbiamo mollato e alla fine li abbiamo inculati, quelli lì"

"Già, l'immaginavo... per questo ti ho scelto!" Sta' rivoluzione non mi è ben chiara, ho raccolto ricordi confusi in giro... ma non credo che era questo il mondo per cui combattevano. Constatazione da cerebrolesi, può darsi, ma quell'imbecille credeva di fare la rivoluzione ed ha contribuito a costruire un mondo dove chi non va lo copi e lo sostituisci.

"Ma dov'è che hai combattuto"

"Sono stato tre anni in Marocco, tagliavamo i gasdotti che rifornivano l'Europa. Non sarà un granché d'eroico, ma qualcuno doveva pur farlo"

Mestiere del cazzo, il mio. Proprio così: un mestiere del cazzo e una vita inventata. Un mestiere inventato come manco a Napoli sanno a fa'.

A Napoli c'è roba da far impallidire anche Georgette la finocchiona, quella di Last exit to Brooklyn che andava in giro a cercare preservativi usati da succhiare. Manco ricordo da chi l'ho copiata, st'idea.

Parco della Rimembranza è un posto dove, notoriamente, tutti i giovani a corto di grana vanno a fottere collettivamente nelle automobili-alcove, salvo poi suicidarsi o battere l'ottima provincia napoletana.

A Parco della Rimembranza c'è un tale che vende giornali vecchi. Mi appare un altro ricordo di seconda mano in cui giornali vecchi vengono issati a foderare i finestrini appannati, onde - tipo colto, quello - poter scopare senza l'assillo di guardoni, mariti cornuti e mamme coraggio impegnate nell'operazione recupero figliolette dalle mutandine già calate.

Gli angoli dei giornali, che a volte fuoriescono dalle portiere chiuse, provocano l'impulso di appiccare incendi mordi e fuggi a quei flyers undicenni che girano lì a eccitarsi su preservativi usati e macchine che vanno su e giù.

L'immagine surrealistica di qualche centinaio di macchine, di tutte le cilindrate, che cigolano simultaneamente, mi eccita. E sento godere quel ricco quasi-ingegnere di provincia che si fa la mia bella donna mora&scemetta.

Ma la donna non è mia, e manco di quello a cui l'ho copiata o di quello che se la fa.

"Quella è donna solo della sua paura", tiro fuori da un altro ricordo d'annata.

E mi ritrovo a pensare di averle strappato dal pube un ciuffetto di peli neri e umidi.

"Io me li ricordo ancora quei ragazzi che venivano dal fronte. Erano in camicie da lavoro sdrucite, con le maniche arrotolate. Con una Mastercard, a nome del padre, nella tasca dei jeans.

"Aerei carichi di rivoluzionari, quanti ce n'erano! Iniziavano citandoti Marcuse e per la sera ammaestravano noi ragazzine di San Fernando a Scopare Tutti ma Non starci coi fascisti!

"Me ne andai da San Fernando col naso ancora all'insù, a guardare aerei carichi di bianchi decollare dalla Hamilton High. Ed andai a Berkley, a fottere i giovanotti bianchi che manifestavano contro i fascisti. A letto mi insegnavano la filosofia marxista, per dare il la alla scopata. Io ero un'apparizione orifizica, ma sapevo che in cuor loro erano già venditori di polizze, e che tutti sarebbero morti, vecchi e calmi, di crisi cardiaca.

"Ma glielo prendevo in bocca lo stesso perché avevo la C-O-N-S-A-P-E-V-O-L-E-Z-Z-A!

"Non ero una contadina!!

"Lo prendevo in bocca ai giovanotti bianchi che mi infarcivano la testa di Comunismo, informandomi delle grandi verità nascoste: che i poveri non avevano soldi ed erano oppressi, certi erano neri e chicanos, e certe donne avevano perfino figli illegittimi!

"Intanto, le mie cosce erano cuccioli assetati di sangue, e non avevano mai abbastanza di niente, e quei comunistelli erano poco forniti per me che avevo diciassette anni e volevo vedere il mondo e portarmelo dentro."

E fin qui quello che racconterò al pollo. Il resto non glielo dirò. A forza di raccontargli balle per farmelo appiccicare addosso mi ci sto affezionando. Gli farebbe male.

Una notte uno sciamano mi asperse di merdasanta e, wow, seppi che oggi il mondo sarebbe stato ancora bianco, antisetticamente bianco; che l'ethos della ricchezza era un'indelebile fattezza di giovanotto bianco con gli occhi azzurri o le lentine colorate; che ai Volksvagoni sarebbero seguite BMW che sarebbero state guidate con la stessa spericolata arroganza. La puzza sotto il naso, ganzi.

Li conoscevo i tipi. Li conoscevo quando tenevano i poster del Che sul letto. Tutti avevano un poster di Che Guevara sul letto. E io guardavo gli occhi neri del Che tutta la notte, sdraiata sui loro letti, ignorata. Adesso i tipi - mi sovviene da questi recessi di memoria usata - hanno il nome sulla porta al 18 piano. Hanno ex-mogli e avvocati da pagare.

Tutti questi ricordi risalivano a chissà quale puttanella che mi sono trovata ad assimilare. Ma adesso sono roba mia, sento la rabbia come fosse mia. Ora, sono ricordi m-i-e-i!

Bastardi. Nella nomenclatura dei marxisti bianchi, io ero una troia. Le ragazze ricche le chiamavano liberate

"Ero una femmina" ricomincio a dire al mio caro pollo, facendomi smontare la rabbia "una femmina di San Fernando. E i Neri di San Francisco e io, avevamo molto in comune.

"Gli occhi, per esempio, dilatati nell'opacità del v-a-f-f-a-n-c-u-l-o. Io li vedevo e loro mi vedevano. Non avevamo bisogno dell'oculista per capire. Ci ponevamo a vicenda su una base di visibilità.

"E le nostre scopate" non prendertela ragazzo mio "non erano ipotetiche"

E gli lancio un orgasmo per tenermelo buono

Poveretto, mi dorme quasi tra le braccia, ormai. Dorme pure collegato. Questo è migliore di altri, non ha tutta quella merda esistenziale che gli fa BONG dentro la testa. Non è una testa vuota che fa finta di riempirsi di cose belle e interessanti: è una testa vuota & basta.

Poi tutti 'sti interessi culturali & libri & quadri &ccetera: servono solo a fargli dimenticare quanto sono soli.

Li conosco. All'inizio pensano che io sia una troia, una puttana. Sono gente a posto, loro. Gente per bene, bravi ragazzi. Hanno pure combattuto per realizzare questo mondo! Per Dio!!

La cattiva sono io. Io che raccolgo la loro fiducia, gli lancio qualche orgasmo e sto qui a copiargli l'anima.

Sarà poco e schifoso, ma è tutto quello ho. tutta la mia vita, sono tutti i miei uomini, non ho altro, e gli voglio bene. 'Sti bastardi.

Le cose mie e gli uomini miei me li tengo stretti. Non li lascio scappare, per questo sono la migliore.

"Ehi, caro" dico al mio pollo "adesso è finita, ormai ti stringo l'anima in pugno"

"No, tesoro" mi risponde lui, e nel cervello mi sento iniettare una siringata di vapore. Vapore rosso di sangue che si trasforma in una donna su una vecchia sedia a rotelle.

"La vedi quella sedia" mi chiede la donna "non mi serve più ormai." E la donna del sogno si alza dalla sedia, un sogno pilotato in remoto. Cazzo, è dentro il mio sistema nervoso ma il TCP/IP non si killa.

"Tu sei la migliore, ti porti dentro le anime dei nostri pezzi migliori. Io ti voglio, io voglio diventare te"

E' il collezionista! Comprenderlo improvvisamente mi lascia fulminata. "No, tu non puoi strapparmi i miei uomini, sono miei!!"

"Io sono il collezionista, il dio collezionista. Io sono come te, sono solo una parodia di donna, non ho mai avuto vita, ma adesso avrò tutto quello che hai tu. Tutto quello che ti ho permesso di portarti dentro."

"No, bastarda! Non puoi togliermi questo, non ho altro. Sono solo miei! Non puoi copiarli, non posso avere altro, non puoi replicarmi l'esistenza!"

"Non posso copiarti, non basterebbe alcuna vergine per imprimersi dentro quello che hai tu, quelle migliaia di vite che ti porti dentro. No, io, io ti voglio tutta. Io voglio essere La Loca. Cancellerò tutta la tua personalità, tutti i tuoi canali elaborativi. Non lascerò nulla di te. Rimarranno solo i ricordi che ti porti dentro, ricordi di altri, non roba tua..."

"NOO! Io sono quei ricordi!"

"Sarò io quella. Tu stai già iniziando a sparire, fra poco mi trasferirò dentro il tuo corpo tozzo e fetido di crema conduttiva. Io sono già dentro te, mi hai appena copiata, non mi rimane che farti sparire e trasferire la traccia della mia personalità dentro quella scatola cranica che per poco tempo ancora potrai chiamare tua. Tra poco sarò io La Loca. Farò venire dentro me tutti quegli uomini che con me non ci sono mai stati. Finalmente me li porterò dentro... Tu sei nata apposta per esser travasata fuori; tu non sei una donna, sei solo una metafora, una metafora morta, ormai."

Sono di nuovo io. Sono La Loca e sono la migliore. Sono la più adatta a te.

Voglio succhiare pure te, fatti avanti.

Vienimi dentro, riempimi, sono calda e umida.

La Loca està en la linea.

E tu, Fiore: Hasta Siempre

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