Delos 29: Fantasia&Nuvole Fantasia & Nuvole

di Francesco Grasso

fgrasso@intecs2.intecs.it

la città

La grandezza di un fumetto non è necessariamente in relazione col numero delle sue tavole. A volte anche un'opera breve, una miniserie, può colpire il lettore con la forza e l'acutezza di uno spillo, risaltare proprio per la sua concisione, brillare di concretezza sull'oceano crepuscolare di tutte quelle storie (troppe) che mascherano con la corposità una penosa carenza di idee. Questo è il caso di La Città, un fumetto di fantascienza argentino che è un autentica perla del genere: appena dodici puntate (più una seconda serie in cinque episodi, una variazione sul tema piuttosto che un seguito), ma in esse un concentrato, un estratto di fantascienza purissima, un po' Ballard e un po' Dick, ma soprattutto tanta, tanta ottima esibizione d'arte e fantasia.

la storia

Jan è un anonimo impiegato, uno tra i milioni di un'anonima metropoli. Un uomo grigio, tranquillo, che vede le sue giornate scorrergli sotto gli occhi come fotocopie sbiadite, che si lascia rassegnatamente vivere una vita sempre uguale, senza drammi né sorprese: un lavoro noioso, un appartamentino in periferia, una fidanzata irritante che lo cornifica col suo migliore amico...

Ma una notte, tornando a casa sbronzo da una discoteca, Jan si perde per le strade del suo quartiere. Vaga a lungo, e a poco a poco si rende conto, attonito, che il mondo intorno a lui è cambiato, e che ora si trova in una città sconosciuta, un agglomerato urbano infinito, misterioso e folle, conosciuto dai suoi abitanti semplicemente come "La Città".

La Città, ben presto Jan lo comprende, è un luogo crudele e paradossale, ove le regole della logica non valgono, dove può capitare che il sole non sorga o non tramonti mai, che piova per quaranta giorni e quaranta notti, che gli alberi di un parco siano in realtà un unico organismo mutante e carnivoro... Un luogo ove ci si può imbattere in uomini di altre epoche, o in personaggi di pura fantasia come Dracula o Batman, anche loro, come Jan, naufraghi, violentemente strappati dal loro mondo per condividere un destino oscuro.

Tra questi, Karen, una ragazza francese che salva la vita a Jan per poi divenirne la compagna. Insieme alla ragazza, scoprendo energie sorprendenti dentro di sé, Jan affronterà i pericoli che la Città perfidamente riserva ai suoi abitanti, imparerà a usare le armi e a badare a se stesso. E insieme a Karen deciderà di dedicare ogni suo sforzo alla ricerca di una via di fuga dall'inferno della Città. Perché una via d'uscita c'è, deve esserci. Perché avere uno scopo, porsi un traguardo, anche se appare irraggiungibile, persino un'utopia, a volte è l'unico modo per non cedere alla follia.

gli autori

I lettori di "Fantasia&Nuvole" hanno già fatto conoscenza con lo sceneggiatore de "La Città". Si tratta del prolifico artista argentino Ricardo Barreiro, che nella trama di questo fumetto sfoggia il medesimo talento e la medesima fantasia dimostrati in "Barbara" ( http://www.fantascienza.com/delos/delos23/nuvole.html). Per ulteriori notizie su Barreiro, rimandiamo al relativo articolo.

Alle matite de "La Città" troviamo Juan Gimenez. E' questi un altro gigante del fumetto sudamericano. Tra le sue opere più note, non si può far a meno di citare lo straordinario Asso di Picche, la miniserie La stella nera, e poi un'infinità di "liberi", cioè storie brevi non incluse in alcuna serie. I lavori di Gimenez sono stati pubblicati in Italia dai periodici Eura Editoriale (Lanciostory e Skorpio) e dalle riviste Comic Art e L'Eternauta.

La caratteristica più notevole del tratto di Gimenez è la cura maniacale, quasi morbosa, dedicata al disegno tecnico. Apparecchiature futuribili, astronavi, armi, robot, vengono rese dalla sua matita con un dettaglio e una precisione impressionanti, quasi le sue tavole fossero schede di progettazione (e difatti ad alcuni dei suoi fumetti sono allegate credibilissime schede tecniche con tanto di legenda dei simboli, quotatura e assonometria, espediente di recente utilizzato anche in Nathan Never).

Gimenez è forse il disegnatore che più di ogni altro comprende l'importanza della ricerca, puntuale e rigorosa, di documentazione originale. Nelle tavole di "Asso di picche", per esempio, egli esibisce una conoscenza impressionante dei velivoli e delle uniformi in uso nella Seconda Guerra Mondiale: caccia dell'Asse, Fortezze Volanti, aerei sperimentali, antiaerea, tute dei piloti, divise della RAF, uniformi delle SS... "Asso di Picche" è un'autentica enciclopedia a fumetti del secondo conflitto mondiale, da gustarsi rigorosamente in bianco e nero come un repertorio d'epoca (il colore sulle tavole di Gimenez è quasi un sacrilegio).

Proprio questa precisione tecnica rende Gimenez uno degli autori più adatti a trasporre sul foglio da disegno le atmosfere di fantascienza hard. Celebre, tra i suoi liberi, la saga degli Invincibili Eroici Fanti, futuribili soldati dotati di esoscheletro corazzato in grado di resistere persino alle radiazioni di testate nucleari di tipo tattico.

Punto debole dell'autore argentino, viceversa, la figura umana. Gimenez non dimostra grande fantasia né impegno nel disegnare i suoi personaggi. Quasi invariabilmente, essi presentano il medesimo aspetto: il protagonista "classico" di Gimenez è un uomo tracagnotto, con la barba di tre giorni, i capelli chiari a caschetto, il naso schiacciato; le donne di Gimenez, con rarissime eccezioni, condividono lo stesso volto, tutt'altro che fascinoso (anzi, piuttosto mascolino).

Per altro, Gimenez è capace di vivacizzare le sue tavole con invenzioni visive di grande efficacia, quali le prospettive "a occhio di bue", le visioni soggettive, la moltiplicazione di immagini, i "pozzi frattali" di vignette che cadono dentro altre vignette in una regressione all'infinito. Tutte queste tecniche "non ortodosse" sono però dosate con grande equilibrio e mestiere, tanto che a una lettura superficiale possono anche sfuggire, celate dalla nuvola dei dettagli tecnici che, con la semplice forza del numero, ottundono l'occhio. Non è da tutti.

curiosità e spunti

Il messaggio immediato, il più evidente, che si riceve dalla lettura de "La Città" riguarda la disumanizzazione e l'angoscia che affligge la vita nelle odierne metropoli. La Città è una metafora di comprensione ovvia, è un distillato di inquietudini che chiunque viva o abbia vissuto in una delle nostre realtà urbane non può fare a meno di condividere.

Tra le righe del fumetto, niente affatto nascoste, si evincono considerazioni colme di un pessimismo nero, totale. Ci viene suggerito che, superate certe dimensioni (massa critica?), una città acquisisca una volontà e consapevolezza indipendente da quella dei suoi abitanti, che da quel momento non ne godranno più le comodità, ma le subiranno. La città da quell'istante diverrà un dio geloso e maligno, che giocherà con i miseri mortali che zampettano come insetti per le sue strade: essa blandirà, tormenterà, cambierà le regole della partita quando più le farà comodo, e se si mostrerà benigna sarà solo per colpire alle spalle. Nella città, da quel momento, non ci sarà spazio per solidarietà, affetto o tolleranza: ogni uomo sarà solo, nemico mortale del suo simile, e dovrà lasciar da parte scrupoli e pietà per sopravvivere. Homo homini lupus. L'odio, soltanto l'odio sarà il padrone.

Sono inquietudini che trovano terreno fertile, in noi che passiamo ore al mattino prigionieri di ingorghi stradali, inveendo e gridando oscenità astiose verso gli altri automobilisti, ringhiosi avversari nella guerra dei sorpassi e dei posteggi; in noi che ci faremmo tagliare una mano piuttosto che rivolgere la parola al vicino di casa accanto a cui viviamo magari da decenni; in noi che cambiamo disgustati marciapiede per evitare il contatto con un tossico, un nomade, un barbone; in noi camminiamo a occhi bassi e labbra strette, evitando i vicoli bui e voltando lo sguardo di fronte alla prevaricazione; in noi che ci facciamo scudo di antifurti, indifferenza e pavidità, e non ci sogneremmo mai di intervenire per sventare un crimine commesso sotto i nostri occhi...

Magari ci sforziamo di ignorarle, queste inquietudini, quando chiudiamo a tripla mandata la porta di casa per lasciar fuori i fantasmi della notte. Ma esse restano, dentro di noi. "La Città" è un indice accusatore, è un allarme che ci riporta alla mente quanto avevamo cancellato. E in fondo il compito dell'arte è proprio questo: far emergere in superficie quanto gli uomini rimuovono.

Eppure, dopotutto, nella Città la speranza esiste ancora. Jan, che è così facile riconoscere quale nostro alter-ego, non si rassegna, non abbandona mai la propria umanità, che vuol dire soprattutto serbare la capacità di opporsi. Egli è conscio della futilità dei suoi sforzi (ha senso cercare l'uscita dalla Città? Ma cosa ha veramente senso, poi?), eppure non si da per vinto, consapevole che, soprattutto, ciò che conta è porsi uno scopo. Ognuno degli inquietanti, schizoidi e paradossali personaggi che affollano la Città ne ha uno: il pifferaio magico sogna il mare, per affogarvicisi col suo esercito di topi; il cecchino solitario cerca il computer centrale dell'AutoSuperMarket, per distruggerlo e impadonirsi delle scorte di cibo; gli abitanti del Quartiere Castello tentano di vincere il caos attraverso l'obbedienza e la disciplina... Tutti evitano di porsi domande, consci che la Verità sui grandi Perché (chi siamo? chi ci ha condotti qui? per quale motivo?) è fuori portata, ma che rimarranno uomini finché si batteranno per qualcosa in cui credono. Una visione della vita di tragica grandezza, che vale anche per noi, dopotutto. C'è una vera differenza, in fondo, tra l'essere all'interno della Città o fuori?

Profondamente significativo, a tal proposito, l'episodio in cui Jan e Karen, in grandissimo pericolo di vita, vengono salvati nientemeno che da un esercito formato dal Conte Dracula, il Mostro di Frankenstein, l'Uomo Lupo, la Mummia e Alien, ovvero da esseri irreali, nati dalla penna dell'Uomo. Il significato è ovvio: di fronte alla schizofrenia della metropoli, e alla concreta possibilità di perdere la propria umanità, l'unica salvezza è affidarsi alla forza della Fantasia. Da non dimenticare.

Uno spunto interessante, appena accennato nella prima serie de "La Città" e approfondito nella seconda, riguarda l'esistenza di varchi tra le dimensioni parallele. Jan e Karen giungono nella Città, inconsapevolmente, attraverso uno di questi; Marlowe (il protagonista della seconda serie), ne percorre un altro volutamente.
Barreiro e Gimenez si guardano bene dallo spiegarci il meccanismo dei varchi: sviscerare la teoria non aggiungerebbe nulla al fascino dell'idea. E' più evocativo mostrarci la topologia del Nastro di Moebius, ed elencarci i luoghi ove storicamente sono stati osservati fenomeni riconducibili a varchi dimensionali (dal celeberrimo Triangolo delle Bermude agli inquietanti giardini del Petit Trianon a Versailles).
Ultimo spunto da sottolineare, l'omaggio che Barreiro e Gimenez tributano a Oersterheld e al suo capolavoro, L'Eternauta (ne abbiamo parlato sul numero 19). Nell'ultima puntata della prima serie Jan e Karen si imbattono nientemeno che in Juan Galvez, il protagonista del celebre fumetto. Galvez rivela agli sbalorditi Jan e Karen un finale alternativo per la propria storia: la macchina spazio-tempo che egli aveva inavvertitamente azionato a bordo dell'astronave dei "Loro" lo ha fatto oscillare, come il peso di un pendolo, attraverso miriadi di universi paralleli : egli è stato schiavo in miniere governate da robot, marinaio in mondi ove l'unica energia conosciuta era quella del vento, partigiano in una realtà ove Hitler aveva vinto la guerra... Ma, alla fine, il pendolo si è fermato, depositandolo crudelmente nel mondo folle e spietato della Città. Eppure Galvez è sereno: stanco, ha deciso di farla finita, e di raggiungere la famiglia e tutti gli amici morti. Ma la sua non è una resa: dalla trappola della Città c'è pur sempre un altro modo di fuggire. E scegliere il tempo e il modo di spegnere le luci sul palco significa comunque vincere la partita.
Alla prossima.