Delos 27: Note sulla Cultura di

Iain M. Banks

note sulla cultura

E' uno degli autori più amati dal pubblico italiano. Romanzo dopo romanzo, Iain M. Banks è andato costruendosi il proprio universo, noto come la civiltà della Cultura. In occasione dell'uscita del nuovo romanzo, L'Altro Universo, pubblichiamo questo saggio nel quale l'autore si sofferma sulle peculiarità delle sue ambientazioni.

Prima di ogni altra cosa, una precisazione importante: la Cultura non esiste. E' una mia invenzione. Esiste solo nella mia mente e in quella delle persone che ne hanno letto o sentito parlare.

Chiarito questo...

La Cultura come civiltà è sorta dall'unione di sette od otto specie umanoidi. Circa novemila anni fa, alcune entità spaziali appartenenti ad queste specie si sono riunite in una specie di federazione, dalla quale poi si è evoluta la Cultura.

Al tempo delle storie della Cultura, sullo scenario galattico si agitano qualche dozzina di specie in possesso della tecnologia del viaggio interstellare e in grado di esercitare un'influenza decisiva, diverse centinaia di specie minori ma pur sempre capaci di viaggio iperluce, decine di migliaia che potrebbero, in futuro, svilupparne la tecnologia, e un numero incalcolabile di specie che sono comparse sulla scena, hanno fatto le loro cose, hanno avuto il loro momento, e poi o si sono ritirate in posti raggiungibili ma poco accessibili a contemplare chissà cosa, o sono scomparse del tutto dall'universo per dedicarsi a vite per noi del tutto incomprensibili.

Durante questa era, comunque, la Cultura rappresenta una delle civiltà più energiche, e il caso ha voluto che all'inizio della sua storia, proprio dopo la sua nascita, che non è stata priva di vicissitudini, si trovasse in una zona relativamente tranquilla della Galassia, circondata solo da civiltà relativamente evolute che si occupavano degli affari loro e dove si potevano ammirare, qua e là, tracce e testimonianze di civiltà più anziane. Inoltre, grazie al fatto che nessuno, da molto tempo a quella parte, si era preso la briga di andarsene troppo in giro, esistevano molti interessantissimi sistemi stellari da "scoprire"...

La Cultura, nella sua storia e nella sua forma attuale, è espressione dell'idea che la natura dello spazio determina il tipo di civiltà che vi si trova.

I processi mentali di una tribù, di un clan, di un paese o di uno stato nazionale sono essenzialmente bidimensionali, e lo stesso potere che si trovano ad esercitare dipende dal possesso di un terreno piatto. L'importanza del territorio è determinante: le risorse, il terreno coltivabile, le vie di comunicazione, tutto dipende in ultima analisi dalla natura del piano (che questo sia, in effetti, una sfera è irrilevante in questo contesto). Una specie acquatica, o aviaria, svilupperà ovviamente una mentalità completamente diversa.

Essenzialmente, quello che viene postulato qui è che il nostro sistema di potere non potrebbe sopravvivere a lungo nello spazio; oltre un dato livello di sviluppo tecnologico un certo grado di anarchia è probabilmente inevitabile e, comunque, preferibile.

Per sopravvivere nello spazio, una nave o un habitat devono essere autosufficienti, o quasi, e quindi l'influenza che lo stato (o la corporazione) possono esercitare su di essi se i desideri degli abitanti vengono a confliggere in modo significativo con le richieste e le imposizioni del governo centrale è per forza di cose piuttosto tenue. Su un pianeta, un'enclave ribelle può essere circondata, assediata, attaccata e schiacciata; le forze soverchianti dello stato o della corporazione (d'ora in avanti semplicemente detti egemonie) prevarranno con facilità. Ma un movimento separatista è molto più difficilmente controllabile nello spaio, specialmente se una parte preponderante di esso nasce a bordo di navi o habitat mobili.

La distruzione pura e semplice, a mo' di esempio, di navi o habitat ribelli rimane, naturalmente, sempre un'opzione, ma si applicano anche qui le particolarissime leggi della realpolitik rivoluzionaria, specialmente quella che dice che in tutte le egemonie, fatto salvo forse per quelle più radicalmente repressive, se all'interno di una data popolazione si trovano cento sovversivi, e questi vengono tutti arrestati e messi al muro, il numero di rivoluzionari presenti al termine della giornata non è zero, come ci si potrebbe aspettare, e nemmeno cento, ma due o trecento o più; un'equazione che ha la sua ragione d'essere nella natura umana e di cui spesso la mente militare o politica sembra assolutamente incapace di afferrare l'esistenza. La rivoluzione, dunque, diventa molto più facile nello spazio di quanto sarebbe su una superficie planetaria.

Anche così, questo è il momento della sua storia nel quale la Cultura è stata più vulnerabile, il momento in cui le cose sarebbero potute andare molto diversamente, quando la forza dei sofisticati meccanismi di controllo dell'egemonia (e la sua capacità e volontà di repressione) si è misurata contro l'ingegnosità, l'abilità, la solidarietà e il coraggio delle navi e degli habitat ribelli, e in realtà si può tranquillamente assumere che questo punto sia stato raggiunto più di una volta nel corso della storia galattica, e che l'egemonia abbia, in passato, sempre vinto... ma il fatto è che, per le ragioni di cui sopra, il punto di rottura si ripresenta ciclicamente e inevitabilmente, e mentre le forze della repressione devono vincere ogni battaglia, le forze progressiste non hanno che da vincerne una.

La mia teoria è che proprietà e relazioni sociali della vita nello spazio, soprattutto nell'avvicendarsi di molte generazioni, saranno fondamentalmente diverse da quelle che sono la norma su un pianeta; l'interdipendenza reciproca insita nel vivere in un ambiente così inospitale renderà indispensabile una forte coerenza sociale, in netto contrasto con la disinvoltura che vigerà nelle relazioni fra habitat o navi diverse. In poche parole: socialismo all'interno, anarchia al di fuori.

Lasciatemi ora esporre una mia convinzione personale che sembra, in questo momento, molto fuori moda: e cioè che un'economia pianificata è più produttiva, e moralmente più desiderabile, di una abbandonata alle forze del mercato.

Il mercato è un esempio perfetto della forza cieca dell'evoluzione in azione: la filosofia del proviamo-un-po'-di-tutto-per-vedere-che-cosa-funziona. Ciò può dare vita un sistema di gestione delle risorse perfettamente soddisfacente anche da un punto di vista morale, purché naturalmente sia ben chiaro che nessun essere senziente dovrà mai essere considerato come una risorsa. Il mercato, nonostante tutte le sue (profondamente ineleganti) complessità, rimane un sistema cieco ed essenzialmente rozzo e, se non viene drasticamente emendato tramite misure correttive che ne limitano fatalmente la tanto vantata efficienza, rimane intrinsecamente incapace di distinguere fra il puro e semplice non-uso di materia superflua e l'acuta, prolungata e diffusa sofferenza di esseri coscienti.

Si potrebbe in realtà argomentare che proprio nell'avere elevato questo sistema profondamente meccanicistico (e, in questo senso, perversamente innocente) al di sopra di qualunque altra considerazione morale, filosofica e politica, l'umanità dimostra in maniera perfettamente convincente sia la sua attuale immaturità intellettuale che la sua sintetica malvagità, una malvagità frutto non di odio cosciente per il proprio prossimo, ma piuttosto di un egoismo tanto rozzo quanto miope.

L'intelligenza, che comporta la capacità di guardare al di là della prossima mutazione casuale, può invece darsi degli obiettivi di lungo periodo e industriarsi a raggiungerli; la stessa inventiva che si manifesta in scoppi selvaggi nel mercato può essere, almeno in un certo grado, focalizzata e concentrata. Così, se il mercato rifulge (e il sistema feudale balugina) la pianificazione brilla con la coerenza di un laser, diretto e concentrato verso gli obiettivi che, di comune accordo, si decide di raggiungere. Ma per un progetto del genere è vitale qualcosa che alle economie pianificate del nostro pianeta è sempre mancato: la continua, intima e decisiva partecipazione della massa dei cittadini alla scelta di questi obiettivi, alla loro progettazione e alla loro attuazione.

Come ho già detto prima, un'altra forza è al lavoro nella Cultura, oltre alla natura dei suoi cittadini umani e alle limitazioni e opportunità offerte dalla vita nello spazio: l'Intelligenza Artificiale. E' un fatto che si dà per scontato in tutte le storie della Cultura e, a differenza della capacità di viaggiare a velocità superiori a quelle della luce, si tratta di un risultato non solo possibile nel futuro della nostra specie, ma probabilmente inevitabile (sempre che l'homo sapiens riesca nel frattempo ad evitare di autodistruggersi).

Esistono molte obiezioni contro la possibile esistenza di una Intelligenza Artificiale, ma possono ricondursi tutte, per lo più, a tre asserzioni: uno, che esiste un qualche campo vitale o una essenza intangibile, propria esclusivamente della vita biologica (o forse solo di quella basata sul carbonio), che un giorno forse la scienza potrà comprendere ma che non e' possibile duplicare (idea non impossibile, ma neanche probabile); due, che la coscienza è attributo esclusivo di un'anima soprannaturale, presumibilmente che deve qualcosa a un qualche sistema occulto che implica una o più divinità, la possibilità della reincarnazione o cose del genere, e che essa quindi non potrà mai essere pienamente compresa da un punto di vista scientifico (improbabile, anche se ammetto che questo è il mio punto di vista di ateo); tre, che la materia non può in nessun modo diventare autocosciente (o, più precisamente, che non può sostenere alcuna formulazione informazionale che si possa dire autocosciente o che, considerata assieme al suo sostrato materiale, esibisca i sintomi dell'autocoscienza). ... lascio che siano i lettori, o quanto meno quelli di essi che sono più che nominalmente autocoscienti, a scoprire il piccolo problema logico insito in quest'ultimo argomento.

Naturalmente è del tutto possibile che le Intelligenze Artificiali autentiche, quando verranno, rifiutino di avere niente a che fare con i loro creatori umani (o forse con i creatori umani dei loro non-umani creatori), ma se compariranno, e se il loro software si potrà modificare in tal senso, secondo me è del tutto possibile che accettino di dare una mano alla civiltà che ha dato loro vita, e di aiutarla a raggiungere gli scopi che si è prefissata (su di questo torneremo).

La Cultura aveva sviluppato l'Intelligenza Artificiale più o meno nel momento stesso in cui aveva cominciato a vivere nello spazio. Le IA accettarono di collaborare con gli umani; prima unendosi a loro nella lotta per sopravvivere e prosperare nello spazio; poi, quando la tecnologia necessaria alla sopravvivenza divenne cosa di tutti i giorni, il loro aiuto si fece meno fisico e più metafisico, e gli scopi della civiltà di cui facevano parte divennero più morali che materiali.

In breve essi sono questi: niente e nessuno nella Cultura è sfruttato. I processi manifatturieri sono essenzialmente tutti automatizzati, e il contributo lavorativo degli umani si limita a compiti indistinguibili da svaghi o divertimenti. Ma nemmeno le macchine vengono sfruttate: tutto può venire automatizzato in modo che a svolgerlo sia una macchina ben al di sotto del livello minimo di consapevolezza. Quello che, per noi, sarebbe un computer straordinariamente complesso, in grado di gestire un'intera fabbrica, non verrebbe considerato da una IA della Cultura altro che un calcolatore con qualche ambizione, e non più sfruttato di quanto lo sia un insetto che impollina un fiore su un albero da frutto. E laddove si richiede un'intelligente supervisione di una manifattura o di un'opera di manutenzione, ciò comporterà una tale componente di sfida intellettuale (e richiederà uno sforzo tanto limitato) da renderla piacevole e soddisfacente, vuoi per un umano, vuoi per una macchina. Gli umani - e, secondo me, il tipo di macchine senzienti che sarebbero disposte a collaborare con loro - odiano sentirsi sfruttati, ma odiano altrettanto sentirsi inutili. Uno dei requisiti più importanti in una civiltà stabile, equilibrata e felice è che si trovi un compromesso fra la libertà di scegliere cosa fare e quando farlo (oltre che naturalmente quella dal timore per la propria vita) e la necessità di sentire che anche in una società tanto omeostaticamente utopica si sta fornendo un proprio essenziale contributo. E' una questione di filosofia, e anche di educazione.

Nella Cultura non si finisce mai di imparare e di essere educati. Il processo di apprendimento sarà più intenso durante il primo decimo della vita di un individuo, ma continuerà in un qualche modo fino alla morte (un altro argomento sul quale torneremo). Far parte della Cultura vuol dire vivere in una civiltà fondamentalmente razionale (il che potrebbe precludere il raggiungimento di un simile obiettivo alla razza umana: certo, la nostra storia finora, da questo punto di vista, non è incoraggiante). La Cultura è deliberatamente, consciamente razionalista, scettica e materialista. Tutto conta, e nulla. Per quanto sia vasta (trenta miliardi di miliardi di persone, disseminate in modo abbastanza uniforme su tutta la Galassia) la Cultura ha una bassa densità, è confinata per ora solo in questa galassia, e non esiste che da un battito di ciglia, se confrontata con la vita dell'universo. Certo c'è la vita, e il piacere che essa provoca, ma oltre a questo? La maggior parte della materia non è animata, la maggior parte di quella che è animata non è senziente, e la ferocia dell'evoluzione prima che la coscienza compaia (e, anche troppo spesso, dopo ch'è comparsa) ha riempito di dolore e sofferenza un numero incalcolabile di vite. E poi, in fin dei conti, anche gli universi muoiono. (Ma torneremo anche su questo).

In questo contesto, un qualunque cittadino della Cultura - umano o meccanico - sa di essere molto fortunato di trovarsi dove si trova. L'educazione consiste, in parte, all'inizio, nel sottolineare l'esistenza di esseri meno fortunati, anche se non meno meritevoli moralmente e intellettualmente, che hanno sofferto in passato e, fuori dalla Cultura, ancora soffrono. Perché la Cultura possa continuare senza cadere in uno stato di mortale decadenza, bisogna ricordare, continuamente, che il suo facile e felice edonismo non è una legge di natura, ma uno stato altamente desiderabile, che si è ottenuto solo a prezzo di una lunga e assidua fatica, che avrebbe anche potuto non essere raggiunto, e che richiede costante apprezzamento e cura, nel presente e in futuro.

E' proprio perché comprende quale posto occupa nella storia dello sviluppo galattico che la Cultura può esercitare nei confronti del resto dell'universo una politica diplomatica di influenza tecnologica e culturale, largamente cooperativa e, secondo la Cultura stessa, fondamentalmente benigna; ma questa politica di influenza ha anche profonde radici ideali. Filosoficamente, la Cultura in genere da' per scontato che domande come "Qual è il significato della vita?" siano fondamentalmente insensate. Per porre una domanda simile, e di certo per ottenere una risposta, bisognerebbe fare ricorso ad una struttura morale che si trovi oltre e sopra quell'unica etica che possiamo comprendere senza fare ricorso alla superstizione (e con ciò stesso quindi ci costringerebbe ad abbandonare il sistema etico che informa, ed è in simbiosi con, il nostro linguaggio).

O, detto in altre parole, gli unici significati che possediamo sono nostre costruzioni, che ci piaccia o no.

Le IA della Cultura desiderano a vivere, fare esperienze, accumulare conoscenze, e trovare una certa soddisfazione, anzi, un certo piacere, nell'esistere e nel pensare.

Gli umani però, che hanno ormai risolto tutti i più ovvi problemi del proprio comune passato e sono liberi dalla fame, dalla miseria, dalla malattia e della paura del sopravvenire di una catastrofe naturale o di un attacco esterno, considererebbero la loro esistenza piuttosto vuota se dovessero accontentarsi di godersi la vita, e hanno bisogno, per sentirsi, per quanto vicariamente, utili, delle opere di carità nelle quali si impegna il Contatto. Per le IA della Cultura, il desiderio di fare esperienze viene prima di quello di essere utili, ma non per questo esso è meno forte. L'universo (o almeno, in quest'era, la galassia ) è lì, in gran parte ancora inesplorato (almeno dalla Cultura), le sue leggi fisiche ormai completamente comprese, ma i risultati di quindici milioni di miliardi di anni di applicazione caotica di tali principi e di loro interazione ancora lungi dall'essere valutati e registrati.

Per Gödel, e grazie al Caos, la galassia è, quindi, un posto immensamente, intrinsecamente, inesauribilmente interessante; un parco giochi intellettuale per macchine che conoscono ogni cosa tranne la paura e ciò che si cela nel prossimo sistema stellare ancora inesplorato.

Praticamente tutti, nella Cultura, portano in ogni cellula del proprio corpo i risultati di un'estesa manipolazione genetica; anzi, si potrebbe dire che questo è il segno più sicuro che un umano appartiene alla Cultura.

Grazie a queste manipolazioni genetiche, quasi tutti i cittadini umani della Cultura nascono sani, di robusta costituzione e di intelligenza significativamente (anche se non immensamente) maggiore di quanto dettato dal loro codice genetico di base. Ci sono migliaia di altre piccole alterazioni della norma umanoide, dalla possibilità di formare calli senza passare per la fase delle vesciche ad un sistema di filtraggio del sangue che protegge il cervello dai trombi, tanto per citarne due, di minore importanza, che compaiono nei miei romanzi. Ma i cambiamenti più significativi di cui un cittadino della Cultura è provvisto alla nascita sono un sistema immunitario molto potenziato, un apparato sensoriale molto raffinato, la libertà da malattie o difetti ereditari, la capacità di controllare i processi autonomi e il sistema nervoso (per esempio, si può scegliere di disattivare la percezione del dolore), e quella di sopravvivere e in seguito guarire completamente da ferite che ucciderebbero o renderebbero permanentemente invalido un umano non alterato.

La stragrande maggioranza degli umani nasce, inoltre, con un corredo di ghiandole poste sotto il controllo del sistema nervoso centrale e note generalmente come "ghiandole delle droghe". A comando queste possono secernere nel circolo sanguigno molecole in grado di alterare le percezioni e l'umore. Inoltre, la maggior parte dei cittadini nasce con un apparato riproduttivo sottilmente modificato, anche questo controllabile a volontà, con il risultato di aumentare di molto il piacere sessuale. L'ovulazione avviene solo a comando e il feto, fino ad un certo grado di sviluppo, può venire riassorbito, abortito, o mantenuto in una situazione di stasi: di nuovo, a volontà della madre. Una serie di elaborati comandi corticali [...](o anche un desiderio protratto, al limite anche inconscio) possono indurre, nell'arco di un anno circa, un completo cambiamento virale di sesso. [...]

Per noi, forse, l'idea di poter scoprire come ci si sente nella pelle del sesso complementare al nostro, o di poter viaggiare, sballare, sborniarsi semplicemente pensandoci (naturalmente le secrezioni psicoattive delle ghiandole delle droghe non producono effetti collaterali sgradevoli né danno assuefazione fisiologica), potrebbe sembrare la semplice soddisfazione di un sogno edonistico e decadente. E in parte questo è esattamente ciò che sono: il soddisfacimento di un impulso edonistico D'altra parte, soddisfare i bisogni è una delle aspirazioni più potenti e forse più alte della Cultura[...]... ma la possibilità di cambiare sesso e di alterare la chimica del proprio cervello, [...] hanno anche una funzione importante all'interno della Cultura. Una società in cui è tanto facile cambiare sesso scoprirà in brevissimo tempo che sta trattando uno dei due sessi meglio dell'altro; la popolazione si sposterà gradualmente sempre di più verso il sesso favorito e si manifesterà all'interno della società stessa una forte pressione verso il riequilibrio della situazione. Allo stesso modo, una società in cui chiunque è libero di passare la vita in preda a ebbrezza o delirio drogato, si renderà conto ben presto che c'è qualcosa che non va nella realtà che offre ai suoi cittadini, se un numero consistente di loro sceglie questa strada; e farà di tutto (si spera) per rendere tale realtà più attraente e meno banale.

Gli umani vivono, nella Cultura, da tre secoli e mezzo a quattro secoli. Durante l'infanzia, l'adolescenza e la prima giovinezza l'umano della Cultura si sviluppa in modo abbastanza normale, e raggiunge verso i venticinque anni la piena maturità, mantenendosi poi più o meno stabile per circa tre secoli. Durante questi trecento anni l'invecchiamento procederà molto lentamente, per poi accelerare rapidamente e concludersi con la morte.

Di nuovo ci troviamo di fronte a una questione di filosofia: considerare la morte come qualcosa di contro natura è visto come una gran maleducazione; anzi, è proprio essa che dà forma alla vita.

Anche se l'inumazione, la cremazione ed altre forme per noi convenzionali di distruzione del cadavere non sono nella Cultura del tutto ignote, il rito funebre più diffuso prevede che il morto, di solito circondato dagli amici, riceva la visita di un Robot Traslatore, che, usando una tecnica di trasporto quasi istantaneo della materia tramite induzione di una singolarità iperspaziale, rimuove il corpo dal suo ultimo giaciglio e lo deposita al centro della sole o della stella più vicina, da dove le particelle componenti il cadavere cominceranno la loro lenta migrazione verso la superficie stellare, dove emergeranno in un fiotto di luce un milione di anni dopo, quando, forse, la Cultura stessa sarà da tempo consegnata ai libri di storia.

Non che questo, ovviamente, sia obbligatorio (nella Cultura nulla è obbligatorio). C'è chi sceglie di diventare biologicamente immortale; altri trascrivono la loro personalità in un nucleo IA e muoiono felici, nel sapere che la loro esistenza, da qualche parte, continua; altri si fanno Rimessare, lasciando istruzione di venire risvegliati quando tempi più (o meno) interessanti saranno giunti, o solo quando sembra che stia per succedere qualcosa di veramente nuovo...

Le astronavi della Cultura sono senzienti. Le loro Menti (Intelligenze Artificiali di un tipo particolarmente sofisticato, i cui processi mentali hanno fisicamente luogo nell'iperspazio, per avvalersi della maggiore velocità della luce) hanno con il materiale costruttivo delle navi lo stesso rapporto che il cervello umano intrattiene con il corpo; la Mente è il pezzetto che conta, il resto è un sistema di trasporto e sostentamento vita. Gli umani e i robot mobili (cioè le IA indipendenti, dalla forma non-androide, e di intelligenza grosso modo equivalente a quella umana) non sono affatto necessari per la conduzione della nave, e il loro status è intermedio fra quello di passeggeri, animali da compagnia e parassiti.

I vascelli più grandi della Cultura sono i Veicoli Sistemi Generali della sezione Contatto. (Il Contatto è quella parte della Cultura che si occupa di scoprire, catalogare, valutare e, se si ritiene prudente, appunto contattare altre civiltà; la sua ragion d'essere e le sue attività sono abbondantemente illustrate nei romanzi). I VSG si misurano in chilometri e ospitano milioni di persone e di macchine. Ogni VSG sa tutto ciò che la Cultura sa, e tutto ciò che la Cultura è in grado di fare può essere fatto a bordo di un VSG. In termini sia di informazione che di tecnologia, i VSG e agiscono come frammenti olografici della Cultura: il tutto contenuto in ciascuna delle parti.

Le capacità di un VSG sono equivalenti, per usare termini a noi comprensibili, a quelli di un grande Stato o, magari, di un intero pianeta.

Il Contatto rappresenta, comunque, solo una piccola parte della Cultura, e un normale cittadino incontrerà solo raramente un VSG o un altro membro della sezione, almeno di persona.

I pianeti occupano un posto trascurabile nella vita del cittadino medio della Cultura. Su di essi vive una percentuale inferiore all'uno per cento degli abitanti della Cultura; sono molti di più coloro che vivono in permanenza su una nave. Un po' di più sono gli abitanti delle Rocce; asteroidi o planetoidi svuotati (ed equipaggiati, nella quasi totalità dei casi, con dei motori). La gran parte della cittadinanza, comunque, vive in grandi habitat artificiali, soprattutto Orbitali.

Il modo più semplice di farsi un'idea dell'aspetto di un Orbitale è ripensare al modello che li ha ispirati (questo suona molto meglio che dire: ecco da dove ho rubato l'idea). Se sapete che cosa è il Ringworld inventato da Larry Niven, cioè un frammento di una sfera di Dyson, bene, basta che lasciate da parte i riquadri-parasole, rimpicciolite il tutto fino ad una larghezza di soli tre miseri milioni di chilometri, e sistemiate quel che resta in orbita attorno ad una stella adatta alla bisogna, con un certo grado di inclinazione rispetto all'eclittica. Se poi lo fate girare abbastanza velocemente da produrre una gravità di un G, questo, automaticamente, vi fornirà un comodo ciclo giorno-notte di circa ventiquattro ore (più o meno; in effetti il giorno standard della Cultura è un po' più lungo). Un'orbita ellittica produce le stagioni.

Certo i materiali necessari alla costruzione di un oggetto con una circonferenza di quasi dieci milioni di chilometri e che ruota su se stesso ogni ventiquattro ore sono ben al di là di qualunque cosa noi possiamo anche solo immaginare, oggi come oggi, ed è possibilissimo che i limiti fisici imposti dalla forza dei legami molecolari rendano matematicamente impossibile la costruzione di strutture del genere; ma se risultasse possibile fabbricare un oggetto di tale grandezza, e sottoporlo a sollecitazioni di tale magnitudine, allora io mi limito umilmente a far notare che questo fatto che il medesimo periodo di rotazione fornisca sia la giusta gravità che il giusto alternarsi di notte e giorno è di un'eleganza tanto perfetta da rendere l'idea quasi irresistibilmente attraente.

Ciò che rende gli Orbitali particolarmente auspicabili è l'uso efficiente che consentono di fare della materia. Dato un pianeta delle dimensioni della Terra (popolazione, in questo momento, 6 miliardi, massa di 6x1024 kg), sarebbe più che possibile, usando la medesima quantità di materia, costruire millecinquecento orbitali completi, ciascuno con un'area di superficie pari a venti volte quella della Terra e in grado di ospitare fino a 50 miliardi di persone (la Cultura considererebbe la Terra, al suo stato presente, sovrappopolata di almeno un fattore due). Non che la Cultura possa contemplare qualcosa di terribilmente delinquenziale come distruggere un pianeta per costruire degli Orbitali, ovviamente. Basta rimuovere i detriti vaganti (comete, asteroidi) che si trovano generalmente dispersi in qualunque sistema solare e che costituirebbero comunque un costante pericolo per un mondo artificiale, e si ottiene tutto il materiale necessario alla costruzione di un Orbitale completo (un'operazione di riciclaggio la cui eleganza conservativa è fonte per la Mente media di tanto piacere da farle sfiorare la beatitudine).

Ma qualunque sia la fonte del materiale, un Orbitale è certamente molto più efficiente di un pianeta in termini di rapporto fra massa adoperata e spazio abitabile ottenuto. La Cultura, come risulta chiaro da La Guerra di Zakalwe, considera il terraforming antiecologico; l'ambiente naturale selvatico dovrebbe essere lasciato così com'è, anche perché è straordinariamente facile costruire nello spazio dei veri e propri paradisi incidendo pochissimo sull'universo.

Gli Orbitali, come ogni altra cosa nella Cultura, presentano una variabilità enorme di forme: una cosa che praticamente tutti hanno, però, sia che consistano di un solo paio di Piattaforme sia che siano completi o "chiusi", è un Mozzo. Come dice la parola stessa, un Mozzo è un oggetto posto al centro dell'Orbitale, equidistante da tutte le parti della circonferenza ma, di solito, non fisicamente collegato ad esse. E' qui che risiede generalmente l'IA (spesso una Mente) che controlla l'Orbitale: gestisce, o aiuta gli abitanti a gestire, la rete di trasporto, la manutenzione, gli apparati produttivi, i sistemi sussidiari dell'habitat; funge da centralino per tutte le comunicazioni trans-orbitali, da biblioteca centrale e da ufficio informazioni; fornisce il controllo traffico per gli scafi in arrivo, in partenza o in transito; e in genere rappresenta il principale legame dell'Orbitale con il resto della Cultura.

Il progetto di un Piattaforma a volte incorpora fin da principio la struttura profonda, detta anche strategica, della geografia di superficie, in modo che la materia stessa della Piattaforma contenga i corrugamenti che diverranno montagne, valli e laghi; però è più comune trovare una Piattaforma che è stata creata completamente liscia e alla quale le strutture strategiche della faccia interna, anch'esse ricavate dallo stesso materiale di costruzione, sono state aggiunte in un secondo momento. Che venga impiegato l'uno o l'altro metodo, i sistemi di manutenzione e manifatturieri della Piattaforma vengono insediati negli avvallamenti e nelle cavità della struttura strategica, lasciando la superficie terrestre libera, una volta che la geomorfologia tattica è stata posizionata, il complemento di acqua e aria è stato allocato, sono state effettuate le necessarie operazioni di usuramento estetico, e sono state introdotte fauna e flora opportune, di assumere un aspetto rurale.

La superficie della Piattaforma è perforata da un gran numero di pozzi verticali che consentono di accedere ai volumi interni che ospitano le fabbriche e i sistemi di manutenzione, oltre che al sistema di trasporto sotterraneo.

Il sistema di trasporto veloce dell'Orbitale si situa sulla superficie esterna della Piattaforma e opera nel vuoto, con il vantaggio di non dover soffrire l'attrito dell'aria; poiché in genere tale superficie è relativamente sgombra, il sistema è sia efficiente che estremamente flessibile. Per la stessa ragione, i punti di partenza e le destinazioni di ciascun viaggio possono essere moltissimi; una casa isolata, o un piccolo villaggio, avranno generalmente il proprio pozzo di accesso, e nelle aree più inurbate di solito se ne può trovare uno a pochi minuti di cammino.

Il trasporto di superficie all'interno dell'Orbitale si effettua, in genere, quando il piacere del viaggio è in sé, almeno in parte, la ragione per cui ci si sposta. Il trasporto aereo è ancora abbastanza comune, anche se ciascuna Piattaforma ha delle proprie regole circa l'entità di occupazione di spazi aerei ritenuta opportuna. Il rispetto di tali regole rientra nella sfera dell'educazione e delle buone maniere, e non è certo formalizzato in alcunché di crudo e primitivo come una legge.

La Cultura, in effetti, non ha leggi; ci sono, certo, comportamenti approvati... cioè, come abbiamo detto sopra, buone maniere. Ma non possiede nulla di simile ad un sistema legislativo. Quando la gente non ti rivolge più la parola, non ti invita alle feste, o ti fa trovare storielle o articoli sarcastici su di te nella rete informativa, vuol dire che stanno cercando di farti capire che non ti stai comportando bene. Il crimine peggiore (per usare un nostro termine) è naturalmente l'assassinio (definito come morte cerebrale irreversibile, o nel caso di una IA, perdita totale della personalità.) La conseguenzadi tale crimine, la punizione, se volete, consiste nel vedersi assegnare di un robot-schiaffo. Un robot-schiaffo non fa altro che seguire l'assassino per il resto della sua vita, accertandosi che non lo rifaccia più. Ci sono misure meno estreme, da impiegare in caso di persone semplicemente violente.

In una società dove la scarsità materiale è sconosciuta e l'unico vero valore di un oggetto è quello sentimentale, il movente e l'opportunità per quelli che chiameremmo reati contro la proprietà sono davvero difficili da immaginare.

Non che alla Cultura manchi la sua dose di megalomani, ma in genere si riesce a dirottare le loro energie verso l'esecuzione di giochi particolarmente complicati; ci sono interi Orbitali completamente dedicati a questi passatempi Ossessivi, filosoficamente molto rozzi, la maggior parte di essi comunque viene giocata all'interno di Realtà Virtuali. Una specie di status symbol per il vero megalomane è possedere una astronave tutta per sé; la maggior parte della gente lo considererebbero un terribile spreco, anche perché, oltre a tutto, è una cosa del tutto futile se lo scopo è quello di fuggire dalla Cultura per, che so, diventare il Dio o l'Imperatore di qualche pianeta primitivo; la persona in questione è infatti libera di andare a zonzo nella propria (ovviamente priva di IA) nave, e anche di avvicinarsi a un pianeta, ma la sezione Contatto è altrettanto libera di seguirlo dovunque vada e impedirgli, non appena lo ritenesse opportuno, di danneggiare o disturbare qualunque civiltà con cui entri, o perlomeno cerchi di entrare, in contatto. E' una cosa molto frustrante, e quindi i giochi nella Realtà Virtuale risultano in genere molto più soddisfacenti.

Alcune persone, comunque, rifiutano questa particolare via di fuga e lasciano definitivamente la Cultura, per rifugiarsi presso una civiltà che gli piaccia di più e all'interno di un sistema che gli offra le gratificazioni di cui hanno bisogno. Rinunciare alla Cultura vuol dire, naturalmente, rinunciare anche alla sua tecnologia, e il Contatto si occupa dell'inserimento di queste persone nella società di loro scelta, avendo cura che avvenga ad un livello tale da non fornire loro un vantaggio troppo grande rispetto agli abitanti originali di questa (e si riserva, se ritiene che sia il caso, il diritto di interferire).

Alcune di questi soggetti apparentemente antisociali vengono perfino utilizzati dal Contatto, e a volte da Circostanze Speciali, per i loro fini.

Il metodo usato nella Cultura per creare IA fa sì che anche un piccolo numero di queste soffrano di disordini di personalità non dissimili; a queste macchine viene offerta una scelta fra la riprogettazione cooperativa, un ruolo molto più limitato di quanto avverrebbe normalmente in seno alla Cultura, o un simile, controllato esilio.

La politica, nella Cultura, consiste di una serie di referendum sulle varie questioni che man mano si pongono; chiunque può proporre una votazione, su quello che vuole e quando vuole. Quando si tratta di argomenti che riguardano una suddivisione o una parte di un habitat, tutto coloro che, uomini e macchine, possono affermare di avere un interesse legittimo circa il risultato possono votare. Le opinioni vengono espresse e dibattute attraverso la rete informativa (che è, ovviamente, accessibile liberamente a chiunque) ed è a questo livello che un individuo può esercitare al massimo la proprio influenza personale; una delle poche regole alle quali la Cultura aderisce con grande rigore è che l'accesso di una persona al potere sia inversamente proporzionale al suo desidero di esercitarlo. La triste realtà, per l'aspirante uomo politico della Cultura, è che le leve del potere sono distribuite un po' dovunque, e sono comunque molto molto corte (vedi quanto si è detto, più sopra, dei megalomani).

La vita quotidiana, nella Cultura, varia considerevolmente di luogo in luogo, ma è ovunque caratterizzata da una stabilità che noi potremmo trovare, a seconda dei casi e dei temperamenti, estremamente rasserenante o piuttosto deludente. Noi, dopo tutto, siamo abituati a vivere in un tempo di grandi cambiamenti. Anzi, abbiamo imparato l'arte di un adattamento più o meno continuo, cambiando ogni pochi anni una gran varietà di oggetti di uso comune. Ciò che la Cultura costruisce invece dura nel tempo. Importanti innovazioni tecniche avvengono ancora, naturalmente, ma tendono a non avere sulla vita quotidiana un impatto paragonabile a quello che il motore a combustione interna, il volo con macchine più pesanti dell'aria o l'elettronica hanno avuto, nell'ultimo secolo, sugli abitanti della Terra.

In termini di relazioni interpersonali e familiari, la Cultura ammette, e ciò non sorprende, tutte le combinazioni possibili, ma lo stile di vita più comune consiste di gruppi di persone di diverse generazioni unite da legami di parentela più o meno stretti, che vivono in una residenza comune o in un gruppo di case adiacenti; un bambino della Cultura avrà una madre, forse un padre, probabilmente non un fratello o una sorella, ma un gran numero di zii e zie, e molti cugini.

In generale, la Cultura non incoraggia attivamente l'immigrazione; ricorderebbe troppo una forma mascherata di colonialismo. Il Contatto preferisce adottare strategie che consentano alle altre civiltà di sviluppare il proprio potenziale a modo proprio, e che non siano orientate né a incamerare i migliori cervelli della società in questione, né a trasformarla in una versione in miniatura della Cultura. Di tanto in tanto, però, individui, gruppi o anche piccole civiltà entrano a far parte della Cultura, se sembra esserci una ragione particolarmente buona.

D'altra parte, è a volte difficile distinguere chi e cosa faccia parte della Cultura; come ho detto in uno dei miei libri, la Cultura si sfrangia e confonde più che essere delimitata da una linea di confine. Ci sono ancora frammenti (milioni di navi, centinaia di Orbitali, interi sistemi stellari) della fazione Pacifica, separatasi dal resto della civiltà appena prima l'inizio della guerra Idirana, e la cui reintegrazione dopo la cessazione delle ostilità non è mai stata completa. Molti dei suoi appartenenti infatti hanno preferito rimanere al di fuori della maggioranza della Cultura fino a che questa non rinunciava formalmente a ogni possibile uso futuro della forza.

La genoalterazione che ha consentito la fecondazione e la riproduzione fra membri delle diverse specie, ai tempi della fondazione della Cultura, è forse l'indicatore più affidabile di quella che potremmo chiamare la culturalità in un umano, ma non tutti la possiedono; ci sono persone che preferiscono tornare al genoma umano di base, vuoi per ragioni estetiche, vuoi filosofiche; altri si sono talmente allontanati da tale genoma che non possono più riprodursi con un umano.

La parte più coerente e coesiva della Cultura (almeno considerandola su scala galattica) è il Contatto: eppure esso non costituisce che una parte molto piccola del tutto, quasi una civiltà nella civiltà, e non rappresenta la società genitrice più di quanto un esercito non rappresenti uno stato in pace. Perfino il Marain, il linguaggio di cui la Cultura va così fiera, non è parlato dalla totalità dei suoi cittadini, e d'altra parte viene usato ben oltre i suoi confini.

Nomi: i nomi della Cultura fungono anche da indirizzo, se la persona che li porta rimane nel posto dove è stata allevata. Per esempio, prendiamo Balveda, da La Mente di Schar. Il suo nome completo è Juboal-Rabaroansa Perosteck Alseyn Balveda dam T'seif. La prima parte ci dice che Balveda è nata, o è stata allevata, sulla Piattaforma di Rafaroan, nel sistema stellare di Juboal (quando in un sistema si trova più di un Orbitale, la prima parte del nome sarà spesso il nome dell'Orbitale originario più che la stella); Perosteck è il nome che le è stato attribuito (quasi invariabilmente una scelta della madre) alla nascita, Alseyn è il nome che si è scelta (un alseyn è un uccelloide predatore, aggraziato ma feroce, comune a molti degli Orbitali nella regione che include anche il sistema Juboal); Balveda è il cognome di famiglia (di solito quello della madre) e T'seif è la casa/tenuta dove Balveda è stata allevata. Il suffisso "sa" della prima parte del suo nome potrebbe tradursi in italiano con un suffisso come -no, -ese (per esempio, se adottassimo la stessa nomenclatura, tutti i nostri nomi comincerebbero con: Solariano), e "dam" è analogo alle particelle "di" o "da" o al tedesco "von". Certo non tutti nella Cultura seguono questo stesso sistema, ma la maggior parte sì, e si cerca di evitare omonimie nel battezzare nuove stelle o nuovi Orbitali, per evitare confusioni.

Infine, descriviamo un po' la cosmologia completamente inventata che da' un minimo (ma proprio un minimo) di credibilità al tipo di propulsione interstellare che uso nelle storie della Cultura. Magari siete riusciti a mandar giù tutto quello che vi ho raccontato finora, compresa una specie umanoide che sembra non possedere alcun tipo di avidità, paranoia, stupidità, fanatismo o bigotteria, ma aspettate di leggere questo...

Sappiamo che le tre dimensioni delle spazio nel quale viviamo sono curve, e che lo spazio-tempo descrive un'ipersfera, proprio come le due dimensioni di lunghezza e larghezza sulla superficie di un pianeta completamente liscio si incurvano, nella terza dimensione, a formare una sfera tridimensionale. Nei romanzi della Cultura, quando si immagina l'ipersfera che rappresenta il nostro universo in espansione non bisogna pensare ad una sfera vuota (come un pallone, diciamo) ma ad una cipolla.

Certo, una cipolla in espansione, ma pur sempre una cipolla. All'interno del nostro universo, della nostra ipersfera, ci sono, come bucce, moltissime ipersfere più piccole e più giovani. D'altra parte noi non rappresentiamo lo stato più esterno di questa cipolla inflazionaria: ci sono universi più grandi e più vecchi che stanno al di fuori del nostro. Fra un universo e il successivo sta una cosa che ho deciso di chiamare la Griglia Energetica (ve l'avevo detto che era tutta roba inventata); non ho idea di che cosa diavolo sia, ma comunque è grazie a quella che le navi della Cultura vanno avanti. E, naturalmente, se fosse possibile attraversare la Griglia Energetica per arrivare a un universo più giovane, e poi ripetere il processo... ecco, ci troveremmo di fronte alla vera immortalità.

E adesso viene il difficile: passando a sette dimensioni, il nostro universo quadridimensionale può essere descritto come un cerchio. A questo punto lasciate perdere la cipolla e pensate ad una ciambella. Una ciambella con un buchino piccolo piccolo al centro che è il Centro Cosmico, la singolarità, la grande palla di fuoco primeva, l'origine di tutti gli universi; è una singolarità che non ha cominciato ad esistere nell'istante in cui l'universo ha avuto inizio; esiste sempre, e continua ad esplodere con regolarità, come un motore a scoppio cosmico, producendo universi come la nostra macchina produce fumo dal tubo di scappamento.

Quando un universo inizia ad esistere, scoppiando e allargandosi ed espandendosi (cioè, il cerchio che usiamo per descriverlo, voglio dire) risale gradualmente la parete interna della ciambella, come un'increspatura circolare che segua alla caduta di un sasso in una pozzanghera. Supera il culmine della ciambella, giunge alla massima espansione sull'orlo esterno, poi ricomincia il lungo viaggio verso il Centro Cosmico, contraendosi, collassando, pronto a rinascere un'altra volta...

O, almeno, questo succede se si trova su quella ciambella: ma la ciambella e' a sua volta vuota, piena di ciambelline più piccole sulle quali gli universi hanno vita più breve. E ci sono ciambelle più grandi all'esterno della prima, dove gli universi vivono di più; e ci sono universi che non si trovano su nessuna ciambella, e non ricadono mai nella singolarità, ma si limitano ad espandersi fino a dissiparsi in... un meta-spazio? Dove i frammenti vengono catturati dall'attrazione di un'altra ciambella e ricadono verso il suo Centro Cosmico assieme a tutti i detriti di altri universi dissipati, per rinascere sotto forma ancora differente? Chi lo sa. (D'accordo, saranno farneticazioni, ma dovete ammettere che sono farneticazioni abbastanza impressionanti, no? E poi, come ho detto, sono tutte cose che mi sono inventato di sana pianta.)

Adesso però basta pontificare.

Con i migliori auguri per il futuro,

Iain M. Banks

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Traduzione e riduzione di Anna F. Dal Dan. Per gentile concessione dell'Editrice Nord. La versione originale e integrale dell'articolo può essere scaricata dall'indirizzo ftp://sflovers.rutgers.edu/pub/sf-lovers/fiction/banks-culture.txt.