Qualche tempo fa è nata una polemica sulla festa di Halloween, suscitata da un noto uomo politico italiano, il quale sosteneva che è solo una festività commerciale, una “americanata”. C’è del vero, ovviamente, e non è il primo a sostenerlo. Ammettiamolo: gli americani sono fissati con il business e metterebbero il cartellino del prezzo su qualunque cosa. Ma c’è anche molto di più e sono cose che riguardano anche noi europei. Se penso a questo particolare momento dell’anno, mi vengono subito in mente alcune scene.

Prima scena. Due personaggi sono seduti su una panchina e stanno conversando fra di loro. Il primo è un vecchio corpulento, con una gran barba bianca, che indossa un costume rosso bordato di pelliccia: è chiaramente Babbo Natale, vestito come nella pubblicità della Coca Cola. Di fianco a lui sta seduto un gigantesco coniglio bianco, che porta un grembo un cesto di uova colorate: è il Coniglio Pasquale. Uno dei due dice all’altro: “Come sarebbe a dire che senza Gesù noi non saremmo qui? Chi è questo Gesù?”.

Seconda scena. È una bella serata di fine ottobre in una cittadina del Midwest, il cielo è terso e pieno di stelle. Sembra il paesaggio ideale per una di quelle storie di Ray Bradbury. C’è un bambino di nome Linus Van Pelt, che aspetta il buio in un grande campo coltivato a cocomeri. È convinto che presto scenderà a trovarlo il Grande Cocomero. A volte gli tiene compagnia sua sorella Lucy, cinica e scettica, che lo tratta come uno scemo per questa sua convinzione. Altre volte è Sally, la sorellina di Charlie Brown, che non ci crede molto, ma è così innamorata di Linus che è disposta ad accettare questa sua strana convinzione.

Queste scene, la prima tratta dalle vignette satiriche di un grande quotidiano americano, la seconda tratta dai fumetti di Charles M. Sculz, ci danno una idea, più di qualunque altra cosa, di quanto negli USA sia popolare e profondamente sentita la festa di Halloween. Ma entrambe pongono una serie di questioni. Perché è così importante? È davvero solo una festa a scopo mercantile, un po’ come è diventato il nostro Natale? Ed è solo una festa americana?

Cominciamo col dire che le sue origini si ritrovano nelle antiche usanze delle popolazioni celtiche, dove era detta Samhain (sou’-in in gaelico). Cade il 31 ottobre e per questo è conosciuta in tutto il mondo come Vigilia di Ognissanti: in inglese all Hallows Eve, che per contrazione diventa Halloween. È l'unica festività che riguardi direttamente i defunti. Per questo motivo, la celebrazione di Samhain definisce il ruolo della morte nel ciclo della vita. Samhain per i Celti segnava l’ultimo giorno dell'anno: era insomma il loro capodanno, in quanto la terra cessava di fruttificare, le messi dovevano essere raccolte e gli animali condotti lontano dai pascoli; arrivava l’inverno e finiva il ciclo vitale della natura. Essendo anche un giorno sacro ai morti, si credeva che le anime di coloro che erano trapassati durante l'anno avessero il permesso di tornare sulla terra. Perciò occorreva offrire loro la pace e lasciarli parlare con i vivi, per poi riaccompagnarli oltre il velo, dove tornavano a riposare. Ma poiché il velo è più sottile a Samhain, gli spiriti dei morti riescono più facilmente a passare al di qua. E non sempre con intenzioni piacevoli. Nella notte vagano nel mondo per attirare gli umani e farli perdere nel loro mondo, dove sarebbero intrappolati per sempre.

Quando nel Settimo Secolo la Roma cattolica cercò di convertire i Celti pagani, ebbesubito chiaro che questi, nonostante la loro apparente sottomissione alla cultura cristiana, continuavano ad aderire testardamente ad alcuni elementi del loro vecchio credo. Così la Chiesa, oltre a perseguitare come streghe e stregoni chi praticava riti pagani, spostò il giorno di Ognissanti,  una festa che onorava il martirio dei primi cristiani, da maggio al primo novembre in modo da unirla agli antichi rituali druidici del 31 ottobre. Non solo, la Chiesa assegnò anche dei nuovi significati cristiani a molti dei simboli residui associati al Samhain. Fu così che la tradizione di celebrare il giorno di Ognissanti durante i riti di inizio dell'autunnosi consolidò, a partire dal Decimo Secolo. Molte delle tradizioni oggi legate ad Halloween hanno origine in questi rituali magici o divinatori.

La zucca intagliata dall’aspetto sinistro e illuminata all’interno è forse l’icona più conosciuta di questa festa, è chiamata Jack-o-Lantern ed è nata in Irlanda e Scozia. Sembra assodato che durante Samhain, le persone che viaggiavano di notte usassero come lanterna questo viso mostruoso per spaventare gli spiriti che avrebbero potuto assalire il viandante. Sistemate alle finestre o sotto i portici queste zucche illuminate fungevano da protezione sulla casa. 

La tradizione di mascherarsi e di passare di casa in casa per il “trick-or-treat” (abitualmente tradotto come “dolcetto o scherzetto”) è anch’essa di origine celtica. Anticamente questo tradizione non era riservata solo ai bambini, ma era praticata anche dagli adulti. I “treat” (ricompensa) richiesti erano di solito bevande alcoliche. Inoltre, questi gruppi erranti di casa in casa cantavano canti stagionali, rendendo la tradizione molto simile al brindare a Natale col wassail (bevanda a base di birra con spezie e zucchero, come il nostro vin brulè). L’abitudine del “caroling (intrecciar carole, cioè cantare inni), ora legata solo al Natale, era praticata una volta durante tutte le feste più importanti.

Potete immaginare quanto queste tradizioni fossero più forti in passato, tra i primi coloni del Nord America, sovente di provenienza scozzese, irlandese o gallese (francesi e spagnoli avevano colonizzato altre aree del continente). Erano gente povera, contadini, minatori, cacciatori di pellicce, assai legati alle usanze celtiche dei loro paesi d’origine. Qualcosa di queste tradizioni però è sopravvissuto anche in Italia: non dimentichiamoci che il centro-nord ai tempi dei Romani era popolato dai Galli, cioè dai Celti. A Rovigo, per esempio, c’è ancora l’usanza che i ragazzini durante l’Avvento vadano in giro per le strade cantando la Chiarastella (in veneto ciarastea). È una filastrocca che racconta l’arrivo del bambino Gesù e che i ragazzi, fingendosi emissari dei Re Magi, cantano davanti alle porte delle case, reggendo una lanterna di carta a forma di stella. In cambio ricevono dei piccoli regali: dolcetti o mance. La somiglianza con gli antichi riti mi pare evidente. In molte parti d’Italia si usa anche preparare dolci per i bambini, da regalare nel giorno dei morti, soprattutto in Toscana, in meridione e in Sicilia. Talvolta sono preparati con albume d’uovo e chiamati “gli ossi dei morti”. Questa celebrazione è molto radicata nella cultura americana ed in quella anglo-sassone in generale, ma da diversi anni a questa parte anche l’Italia l’ha accolta – a modo suo – assimilandola al nostro Carnevale. Un carnevale decisamente orientato verso l'aspetto più oscuro e soprannaturale della realtà, dato che precede il Giorno dei Morti. È un'ottima occasione per sfogare e trasformare in gioco tutte le paure più o meno coscienti che ospitano in profondità la nostra mente. Durante questa notte gli esseri spaventosi che popolano i nostri sogni infantili, i fantasmi, l'uomo nero, gli animali feroci, vengono messi allo scoperto e i bambini ne assumono le sembianze, scacciando via in questo modo le paure, in una sorta di allegro rituale esorcistico.

Con questo credo di aver spiegato che, oltre alla “americanata”, c’è molto di più in questa festa, addirittura pre-cristiana, e non mi resta che dare qualche consiglio di lettura.

Per entrare nello spirito giusto, comincerei dalle Fiabe Irlandesi (Fairy Tales of Ireland, 1888) e da I racconti di Hanrahan il Rosso (Stories of Red Hanrahan, 1907) di W. B. Yeats, che sono pieni di storie di fantasmi, folletti e stregonerie legate al folklore celtico. Passerei poi al classico dei classici: Il cavaliere senza testa (The legend of Sleepy Hollow, 1819) di Washington Irving, uno dei padri della letteratura americana di cui ho già trattato in altri momenti, che ci aiuta ad entrare nello spirito dei primi coloni del Nord America. Ovviamente, partendo da qui non potevano non esercitarsi sul tema parecchi scrittori dell’orrore. Sono troppi e troppo importanti per esaminarli tutti: in base al mio gusto personale mi limito a segnalarne due, cioè Joe R. Lansdale con il suo Notte di Halloween (By bizarre hands, 1988) e Robert Bloch con Il tunnel dell’amore (The Tunnel of Love,1948) e La cavalcata sui manici di scopa (Broomstick ride, 1957). Una antologia imperdibile, per chi vuole approfondire l’argomento, è senz’altro quella pubblicata da Editori Riuniti: La notte di Halloween (13 Horrors of Halloween, 1983), a cura di Isaac Asimov. Asimov, ancor che legato alla fantascienza più ortodossa e alla divulgazione scientifica, sembra a suo agio anche nel fantastico puro, ci fornisce alcune interessanti interpretazioni della festa e propone alcuni testi narrativi davvero affascinanti. Segnalo fra questi il classico Gioco d’ottobre (The October game, 1948) del “solito” Ray Bradbury, ma anche Testa di zucca (Pumpkin Head, 1982) di Al Sarrantonio e il classico del passato “Il mistero di Whitegates” , noto anche come Il giorno dei morti (All Souls', 1937) di Edith Wharton.

Ma un tema come questo non può che concludersi nel nome di Ray Bradbury. Anche se ha raggiunto la fama come scrittore di fantascienza, è sempre stato più a suo agio nel weird, nell’horror, nel fantastico puro. È da sempre il cantore delle piccole città del Midwest in autunno, verso la fine ottobre, quando arriva la festa di Halloween. Molti dei suoi migliori lavori su questo argomento sono stati riuniti in un grande volume omnibus, negli Oscar Draghi, intitolato semplicemente “Halloween” (e come se no?) che vi consiglio di procurarvi se già non l’avete fatto.

All’interno si trova la famosa antologia Paese d’ottobre (The october country, 1955), uscita negli stessi anni delle sue Cronache Marziane, contenente una serie di novelle ambientate nei luoghi della sua infanzia, le piccole cittadine del Middle West agricolo. Il titolo è legato al particolare aspetto del clima di fine estate: “… Paese dell'anno che volge sempre alla fine. Paese con alture di caligine e fiumi di foschia; dove i meriggi fuggono, i vespri e gli albori indugiano e le notti rimangono… Paese di gente autunnale, con pensieri soltanto autunnali, il cui passo di notte sui marciapiedi ha suono di pioggia…” (R.B. – tradotto da Renato Prinzhofer). Giuseppe Lippi descriveva così l’atmosfera di questi racconti: “… in ottobre la luce del sole declina facendo sfumare gli oggetti quotidiani tra le ombre, ed è allora che, dietro le apparenze più comuni, ci è dato di vedere il bizzarro che irrompe, il fatto straordinario che spalanca la possibilità di realtà misteriose e di mondi diversi” (G. L.). Nella stessa antologia c’è anche il romanzo Il popolo dell’autunno (Some thing wicked this way comes, 1962), uno dei pochi scritti dall’autore. In esso arriva, nello stesso luogo degli altri racconti, una fiera itinerante, giusto in tempo per Halloween. Ma ci avverte Ugo Malaguti, che fu il primo a tradurre il romanzo: “… quale bambino non vorrebbe andare in un Luna Park? in quel mondo fiabesco pieno di luci, di movimento e di colori, il cui ricordo da solo è capace di ricreare intorno a noi i magici momenti dell’infanzia? Avete mai avuto paura, salendo su di una giostra, entrando in un baraccone, osservando uno dei fenomeni viventi? Dovete avere paura. Potrebbero essere intorno a voi. Dentro, fuori, sopra, sotto di voi…” (U. M.). Il terzo componente dell’antologia è un’opera chiaramente per ragazzi, anche se con Bradbury queste distinzioni non hanno molto senso, e s’intitola L’albero di Halloween (The Halloween tree, 1972). Nella serata che precede Ognissanti qualcosa di stupefacente è accaduto: alla periferia del villaggio è apparso un enorme albero e dai suoi rami pendono centinaia di zucche. Zucche in cui sono intagliati sorrisi inquietanti che fissano otto ragazzini. È la notte di Halloween e ognuno di essi si è mascherato, pronto a festeggiare. Purtroppo manca il loro amico Pipkin. Dov'è finito? I ragazzini partono alla ricerca dell'amico, scortati da Sudario, una guida davvero particolare, che fluttuando li guida verso un mondo magico e pericoloso. Li trascina attraverso lo spazio e il tempo, facendo loro conoscere le origini antiche dei significati più profondi di quella che è tutt’altro che una gioiosa carnevalata. Si conclude con Ritornati dalla polvere (From the dust returned, 2001) un falso romanzo composto in parte da storie degli esordi della carriera di Bradbury e in parte da storie nuove. Vi si racconta di una strana famiglia che vive in una casa isolata dall’aspetto inquietante: i suoi componenti sono spettri, licantropi, vampiri, non morti, streghe, mummie redivive eccetera. Tutto l’immaginario collettivo delle creature delle tenebre è qui riunito in una sorta di famiglia “allargata”, i cui componenti si comportano come se fossero persone comuni. La narrazione è venata di un umorismo macabro tutto da godere, che ci fa ovviamente tornare in mente la Famiglia Addams. E non è un caso: il giovane Ray aveva concepito le storie perché fossero illustrate proprio da Charles Addams, il disegnatore che inventò la famiglia omonima.

Non è finita qui, perché Raymond Douglas Bradbury si è esercitato altre volte su temi simili. Per esempio ha scritto anche alcuni racconti basati sulle usanze messicane del Giorno dei Morti, le stesse che ritroviamo in Sicilia, presumo per via della dominazione spagnola, e di cui parlavo all’inizio. Tra questi, ricordo El Dia de Muerte (Sombra y sol, 1963) e Buon lavoro, Juan Diaz! (The life work of Juan Diaz, 1963) contenuti nell’antologia Le macchine della felicità (The Machineries of Joy, 1964). Quest’ultimo racconto, venato di un umorismo nero di marca pirandelliana, ha avuto l’onore di essere trasformato in un telefilm della serie “Alfred Hitchcock presenta”.

Buona lettura e buon brivido per Halloween.