La formula di una buona sit-com prevede l’assortimento di un pugno di personaggi dentro un ambiente comune, così che reagiscano a mo’ di batteri sul vetrino di un biologo. Più stravagante è il gruppo, più molteplici e divertenti sono gli sviluppi.

Basta aggiungere uno scenario galattico, delle convenzioni terrestri ridicole, un contesto impossibile e avremo gli ingredienti Chelm di Tryg 2, la strip comica di BIll Tidy che anima una commedia intrisa di humour inglese e tanta fantasia.

Tryg 2 è un affollato avamposto gestito dal plenipotenziario Chelm, robusto e baffutissimo responsabile, che lo amministra con mano ferma e understatement insieme ai suoi dipendenti robotici.

Porto di mare di ogni bizzarra creatura dell’universo, questa stazione spaziale collocata in un Commonwealth del futuro fa da ribalta a un teatro dell’assurdo sempre sull’orlo dell’incidente diplomatico. Da questo palco Chelm affronta equivoci di comunicazione interspecie, problemi di etichetta e persino sindacalisti sobillatori di androidi.

In panels formati da una coppia di strisce ogni vicenda è compressa in piccoli flash autoconclusivi, costruiti per sintetizzare in poche vignette una descrizione d’ambiente, l’esposizione del problema in corso fino alla conseguenza grottesca. Un dispositivo a orologeria che fa una satira tutta britannica di costumi e società, trasposti nella strip da americani alla guida di potenti mezzi spaziali, extraterrestri massoni, o gentlemen alquanto fuori sede.

I mostri alieni su Tryg non bevono the, ma ci nuotano dentro, e i computer sono più bizzosi di adolescenti in fase ormonale. Niente che non si possa risolvere con una battuta al vetriolo, comunque. Anche nello spazio, lo stile e l’ironia alla P. G. Wodehouse offrono sempre un toccasana per ridimensionare qualunque eccesso e Chelm s’industria per mantenere decoro in una gabbia di matti non troppo diversa dal nostro mondo.

Le storie di Tidy apparse settimanalmente sul magazine satirico Punch nel ‘66/’67, sono un esempio della brillante verve del cartoonist, creatore nel ’71 della parodia Fosdyke Saga e insignito nel 2000 del prestigioso MBE (Most Excellent Order of the British Empire). Col suo segno rapido e arguto questo fumetto ha mostrato come si possa far coniugare comicità e sf in pillole di buonumore, finendo pubblicato anche in Italia (su Skylinus del ’69) e in Francia sul mensile Charlie, nel ’71, insieme a fumetti del calibro di Krazy cat, Mafalda e i Peanuts.

Si dice che dietro ogni clown si nasconda un uomo triste. Non è detto che ciò sia vero, di certo questa affermazione calza benissimo alla parabola di Cerebus, il personaggio ideato dal canadese Dave Sim.

Come abbiamo visto, il fantastico che voglia rendersi credibile cammina su binari di rigorosa coerenza logica, nel caso dell’oritteropo guerriero, invece, le regole sembrano fare un salto mortale cedendo il passo a modalità espressive nuove. Merito di un approccio d’avanguardia che rompe ogni schema, rimescolandolo in combinazioni e contaminazioni rivoluzionarie.

Come si può definire Cerebus? Un buffo animaletto? Un cinico mercenario? Un primo ministro? Un Papa? Un barista?

Tutto questo e altro ancora.

In 26 anni di vita, identità così assurde sono state il DNA di una serie lisergica quanto i trascorsi del proprio autore, scivolando dalla parodia alla satira feroce e infine in una narrazione a tinte epiche e fosche. Di fatto, la lunga vita del ciclo sviluppato in 300 numeri ha dimostrato che è possibile combinare tragedia e commedia. Una peculiarità così emblematica da dar luogo alla cosiddetta “Sindrome di Cerebus”, riferita alle storie che hanno un simile andamento (vedi ad esempio Jeff Smith e il suo Bone).

Cerebus muove i primi passi nel ’77, in una collana autoprodotta in cui Dave Sim fa una spassosa presa in giro di Conan il barbaro, emulandone la bellicosità e l’amore per la crapula, rafforzate da una buona dose di cinismo.

Appare ovvio che le storie di un ibrido del Cimmero Howardiano e i tre porcellini avrebbero ben poco da farsi prendere sul serio, eppure Cerebus ci riesce introducendo dopo venti numeri tematiche impegnative e sperimentalismi sempre più azzardati. Il mastodontico ciclo si espande, raccolto in blocchi chiamati Phonebooks per il loro spessore da elenco telefonico del New Jersey. Dal numero 65, inoltre, entra nella partita anche il disegnatore Gerhard, che arricchisce la resa grafica delle tavole con immagini di grande impatto visivo.

Il taglio delle avventure dell’oritteropo ora non ha più nulla di leggero, e con l’aggiunta di personaggi come le fanatiche matriarche Cirinist o l’illusionista Suenteus Po, tocca temi religiosi, sociali, politici, animati dalle controverse posizioni dell’autore.

Cerebus assume la considerazione di un capolavoro, Sim diventa il Nabucodonosor del fumetto abbondando in eccentricità e le sue produzioni giocano con i codici della comunicazione narrativa in una frenesia iconoclasta quasi dada.

Bella carriera per un maiale di terra spadaccino.

I volumi si susseguono, con una parentesi negli anni ’80 sulle pagine di Epic Illustrated, la rivista della Marvel dedicata al fumetto adulto, dove appare in compagnia di Rick Veitch o Bernie Wrightson (tra gli altri) con una serie di tavole autoconclusive.

L’ultimo ciclo del 2004, The last day, vede un oritteropo invecchiato e profetico andare incontro a un cupio dissolvi terminante con la propria morte, cosa rara nel fumetto.

Dopo 6000 pagine vissute controcorrente è l’apoteosi del personaggio, che con un colpo di teatro entra nel mito (e nel paradiso delle royalties).

Per risollevarci il morale lasciamo i tragici lidi di Dave Sim dirigendo la nostra prua sulle rive della Senna. Qui l’immaginifico Jean-Claude Forest è alle prese con un nuovo personaggio che lancia nel 1971 sulle pagine del giornale France-Soir.

Ancora una volta troviamo una bella protagonista, trasgressiva quanto un contrabbandiere di apostrofi, collocata in mondi folli dove tutto è possibile e dove, per l’appunto, tutto succede.

Hypocrite non vive nello spazio come Barbarella, ma ha in comune con la “sorella maggiore” sia il fisico che la capacità di sedurre con lo stesso candore di un giglio di Sant’Antonio. Con i suoi capricci è la ventata di humour che svecchia le pagine del compassato quotidiano parigino, riempiendolo di situazioni pepate e surreali.

Un esempio? In Hypocrite et le monstre du Loch-Ness l’adolescente è in Scozia accompagnata dal suo destino Edmon Destin, un ometto abbigliato con mantellina e deerstalker alla Holmes che la istiga a far danni fungendo da narratore. Il rapporto con i suoi ospiti non è dei più facili e i maneggi del fato hanno effetti disastrosi, coinvolgendo tutti i protagonisti in una farsa animata da nobili snob (Lady Mac Whimsey e Fiddle Faddle), fantasmi (Lord Grumble), oltre a un mostro lacustre niente affatto mostruoso e un Belzebù nudista.

Se questa storia non vi pare abbastanza pazzesca, nelle successive Forest pigia ancora più sull’acceleratore dell’assurdo, svincolandosi da France-Soir e pubblicando la sua ragazzina sulla rivista Pilote.

Nel 1972 la brunetta in canottiera e culottes a strisce viene tuffata in una trama spionistica, demenziale quanto una filastrocca, con cui l’autore tesse un racconto pieno di funambolismi visivi, calembours e invenzioni degne dell’OuLiPo di Queneau. L’episodio Comment décoder l'Etircopyh – grand roman hysterique, oltre alla presenza del malefico docteur Gaïacol si avvale di Brise-bise e del docteur Alizarine, due personaggi ripresi da una precedente avventura di Barbarella. Insieme a loro Hypocrite si deve destreggiare tra due organizzazioni eversive in guerra e dovrà far crollare il ponte d’Avignone, costituito da un’enorme tigre preistorica pietrificata.

Anche questa storia pubblicata dal n. 667 al 678, che la seguente, uscita sui numeri dal 738 al 759, verranno poi raccolte in albi cartonati da Dargaud e ristampate da L’Association nel 2005.

L’episodio N'importe quoi de cheval esce infine nel ’74, a coronamento di un ciclo troppo fuori di testa per avere vita lunga. Questa volta la scena si sposta su un lontano pianeta-zoo dal nome Jolande, in cui la ragazza fronteggerà un conflitto tra carnivori e vegetariani contornata da Brise-bise, Alizarine, lo scrittore John Paragraph e il solito Destin.

Un delirio fantasmagorico dove la logica insegue a fiato corto l’andamento sbrigliato della storia e l’assurdo regna incontrastato.

La natura estemporanea e poetica di Hypocrite, poco assimilabile ai gusti del pubblico, fa sì che la serie si chiuda con questo ultimo guizzo di stravaganza pura, in controtempo sui futuri sperimentalismi di Moebius e degli Humanoides Associés. Fortunatamente, la popolarità di Barbarella permette alla scugnizza d’oltralpe di essere tradotta anche sulla stampa nostrana, per cui si è potuto goderne le prime bizzarrie nel ’72 sulle pagine della rivista Sorry dell’editore Ciscato, in una versione a puntate dell’avventura scozzese. Più avanti il comic ricomparirà tramite la Milano Libri edizioni nell’albo antologico Vampirella e… del 1977 e su un Almanacco di Linus del ’79, sempre della stessa casa editrice.

In tempi poco allegri come i nostri, si sente la mancanza di una freschezza d’ispirazione così selvaggia. Una medicina alternativa che c’invita a diventare dottori dello spirito, prestando di buon grado il nostro “giuramento d’Hypocrite”.