Qualcosa là fuori deve avermi bucato la tuta. Qui, un palmo sotto l’ascella sinistra. Ho fatto appena in tempo a segnalare l’incidente aprendo e chiudendo il guanto. Dall’oblò della stazione, Xiong-Hu se n’è accorto e mi ha portato subito dentro. Credo però che il suo gesto sia servito soltanto a prolungare la mia agonia. Nella camera di decompressione, non riuscivo a reggermi in piedi. Tremavo e avevo gli occhi fuori dalle orbite. Mi hanno tolto casco e tuta senza che riuscissi a muovere un muscolo, a farfugliare una parola. Affamato d’aria.

Melnikov ha individuato un secondo forellino. “Un fottuto foro di uscita”, lo ha chiamato con il suo solito aplomb sovietico. Sul fianco destro, poco sopra il rene. Sto morendo, credo. Ma almeno sono sdraiato sul lettino dell’infermeria.

– Due fori, un centro solo. – Melnikov, il pilota della missione, prima di approdare alla Roscomos, era un top gun dell’Armata Rossa, e non è persona molto a modo quando si tratta di intavolare quattro chiacchiere con un moribondo. Inoltrerò formale nota di demerito alla Nasa e alla consorella russa.

Quassù non si può fare granché, ma a terra stanno cercando di capire il percorso del micrometeorite; quali organi interni ha leso e perforato nella sua corsa. Un infinitesimale schizzo d’acqua in grado di viaggiare a 75 chilometri al secondo.

È come se fossi stato trapassato da un invisibile filo di seta. Entrato da qui e uscito dall’altra parte. Avete presente il detto “appeso a un filo”? Ssssgradevole. Ma tutto sommato poteva andarmi peggio.

Non ragiono più lucidamente.

Due fori, un centro solo.

Il punto però sembra essere un altro.

– Abbiamo mandato a terra esami e lastre ingrandite… – Xiong-Hu scuote adagio la testa battendo i polpastrelli sul tablet. – Non ci posso credere, Mark!.

– Dunque…? – faccio io.

– Hai due fori di uscita, ragazzo. – Il suo tono si abbassa di un’ottava. – Dicono che tecnicamente sei una… bomba.

– Quindi? – lo incalzo io.

– Calcoli. – Sorride a disagio del termine ambiguo. – Calcoli renali. Sì, insomma, potresti espellerli di nuovo. Hai preso dosi massicce di raggi cosmici e dio solo sa cos’altro laggiù, potrebbe accadere ancora… Stessa velocità di perforazione. – Chiude la custodia del tablet ed evita di guardarmi negli occhi. – Non possiamo rischiare, lo capisci vero? Dicono… che sei troppo pericoloso. Vogliono che ti buttiamo fuori.