Delos 21: I biplani di D'Annunzio romanzo di

Luca Masali

I BIPLANI DI D'ANNUNZIO

Presentiamo il primo capitolo del romanzo I Biplani di D'Annunzio di Luca Masali, vincitore del Premio Urania 1995. I capitoli successivi potete trovarli in edicola al prezzo di L. 5900 su Urania n. 1296!

Era ribelle e patriota, mio padre.
Una specie che è esistita
solo in Austria-Ungheria.
Mio padre sognava un regno slavo
sotto il dominio degli Asburgo.
Sognava una monarchia
degli austriaci, degli ungheresi e degli slavi.
E a me, che sono suo figlio
sia concesso dire che, se mio padre
fosse vissuto più a lungo,
m'immagino che avrebbe potuto cambiare il corso della storia.

Joseph Roth, Die Kapuzinergruft (la Cripta dei Cappuccini, 1938).

1. Mar Adriatico.

Quella notte il capitano Matteo Campini avrebbe fatto meglio ad approfittare dell'influenza per marcare visita. Una pioggerella fastidiosa rendeva l'abitacolo del grande biplano Staaken ancora più gelido del solito.

Tremava per il freddo e per la febbre, nonostante fosse imbacuccato nella pesante giacca di pelle, lo sciarpone di lana, gli stivali quasi al ginocchio e l'elmetto di cuoio imbottito, la tenuta di volo invernale della RFA. Le orecchie gli fischiavano per la differenza di pressione, e ogni tanto si puliva il naso gocciolante in un fazzoletto di tela ruvida.

- Sei messo male stanotte. Fossi in te me ne sarei rimasto al calduccio, a farmi misurare la febbre da una bella infermierina...

Campini si strinse nelle spalle senza guardare in faccia il suo interlocutore, il colonnello Hans Joakim von Hippel.

- Non si preoccupi, signore. Sto bene.

Aveva appena finito di dirlo che starnutì fragorosamente, suscitando il coro di risate degli altri tre uomini in cabina.

- Cavolo, non vorrai mica attaccarmi il cimurro!

Esclamò il secondo pilota, Claudius Klein, un ragazzone di Bozen, passato all'aviazione direttamente dalla fanteria.

- Da Venerdì sono in licenza premio. Tre interi giorni a Vienna, e non voglio passarli a letto.

- Secondo me lo vorresti, eccome. Cercò di scherzare Campini.

- Sì, ma in compagnia interessante e non con la tua influenza, accidenti a te.

- Non è colpa sua. - Intervenne von Hippel. - Sono questi aerei che hanno più buchi che tela. Quei maledetti bolscevichi di Gotha non sanno cosa vuol dire lavorare. Ah, non c'è più disciplina da quando il principe Max ha preso il posto del Kaiser.

Campini rise sotto i baffi. Capiva bene il punto di vista del comandante. Il principe Max von Baden non aveva nessuna stima per la vecchia aristocrazia legata a Guglielmo II di Prussia, imperatore di Germania. Tre anni prima il vecchio Kaiser aveva scelto il principe come sostituto del cancelliere Hertling, con il mandato di guidare il Reichstag verso una pace non troppo umiliante con le potenze nemiche. La situazione militare era allora insostenibile per gli Imperi Centrali, al punto che il capo di stato maggiore Ludendorff aveva definito la continuazione della guerra "un gioco d'azzardo da irresponsabili". Eppure Max von Baden aveva osato l'impossibile, respingendo in blocco le condizioni pretese da Wilson per la pace. L'unica raccomandazione dell'Intesa che aveva prontamente accolto riguardava la deposizione di Guglielmo II, che fece arrestare in compagnia dello stesso Ludendorff, con l'accusa di alto tradimento e vigliaccheria nei confronti del nemico. Sotto la guida del principe quello che restava degli eserciti tedesco, bulgaro, austroungarico e ottomano venne riorganizzato, e gli stessi Imperi Centrali per qualche mese si chiamarono ufficialmente Die Vereinigten Staaten von Grossdeutshland, Gli Stati Uniti della Grande Germania, una federazione parlamentare retta da un presidente plenipotenziario pro tempore: lo stesso von Baden, naturalmente.

Nel 1919 von Baden aveva spostato il centro politico dell'Europa centrale da Berlino a Vienna. Il cambio di capitale poteva essere letto in diversi modi. Per alcuni era un modo come un altro per dare fiducia al maggiore e più inguaiato alleato della Germania, quell'Austria Ungheria dilaniata dalle lotte interne tra le diverse etnie che costituivano il corpo della monarchia danubiana. Per altri si era trattato di un cinico calcolo politico, in quanto Carlo I, che avrebbe dovuto continuare l'opera dell'anziano e stimato imperatore Francesco Giuseppe, era da poco tempo sul trono di Vienna. A causa della mancanza di esperienza e spessore politico, giovane monarca non seppe opporsi con la dovuta autorità alla svolta che von Baden impose a tutte le potenze degli ex Imperi Centrali. Per prima cosa il principe riformò il parlamento austriaco, e lo rese il principale organo legislativo della neonata federazione. A seguito della riforma parlamentare, Gli Stati Uniti della Grande Germania presero il nome definitivo di Democrazie Centrali. Il nuovo nome evitava accuratamente ogni accenno alla maggioranza etnica tedesca, soprattutto per non urtare i diversi nazionalismi che negli anni precedenti avevano minacciato di distruggere la stessa Austria Ungheria. L'esempio della monarchia danubiana era emblematico per la politica di Von Baden: tedeschi, magiari, cechi, polacchi, ruteni, rumeni, croati, slovacchi, serbi, sloveni e italiani uniti sotto una sola dinastia, anche se non sempre le cose tra le etnie andavano lisce, al punto che von Baden, su consiglio del politologo rumeno Aurel Popovici, aveva a sua volta spezzettato l'Austria Ungheria in sedici stati confederati, per evitare che ogni scheggia dell'Impero andasse per i fatti suoi. Il principe era apertamente filoaustriaco, al punto da adottare come simbolo delle Democrazie Centrali il motto Indivisibiliter ac inseparabiliter, Indivisibilmente ed Inseparabilmente, preso pari pari dallo stemma austroungarico.

Più che la politica, quello che infastidiva davvero il colonnello von Hippel era la teoria militare di von Baden, e specialmente la sua posizione verso l'aviazione. Basta con i giochi inconcludenti dei blaue reiter, i cavalieri azzurri. I migliori piloti vennero richiamati dalle Jagdstaffeln, i reparti da caccia, e rischierati nei nuovi stormi RFA, dal tedesco Riesenflugzeugabteilung, cioè Reparto Aerei Giganti. Così anche il raffinato barone von Hippel, rampollo di una delle più illustri famiglie prussiane, abituato a giocare da solo alla guerra sui leggeri ed eleganti biplani Fokker D VII e ad impegnarsi in cavallereschi duelli con i Sopwit Camel inglesi volando solo di giorno e col bel tempo, si trovò catapultato nel ventre di legno, acciaio e tela dei maestosi ma lenti Staaken R VI, impegnato in anonime missioni di bombardamento notturno, e si trovò da subito a dover volare anche con un tempo schifoso come quella notte. A dire il vero von Hippel si era adattato alla situazione meglio di tanti altri aristocratici, ma in cuor suo odiava i bombardieri, le lunghe ore di volo nel buio, la stretta e puzzolente cabina chiusa e soprattutto la compagnia di ufficiali di origine plebea come Claudius Klein e lo stesso Campini. Un altro starnuto strappò Campini alle fantasticherie.

- Prendilo tu, Claudius. Sono veramente a pezzi.

Il volto del secondo pilota si illuminò, e strinse con più forza il largo volantino rotondo di legno laccato.

- E' tutto mio, Matteo. Riposati un po', ti sveglio io quando siamo sopra Padova.

Campini sorrise di malavoglia alla battuta del collega. Mancavano ancora due ore buone all'arrivo sul bersaglio, e sicuramente prima di allora avrebbero incontrato la contraerea, e se erano sfortunati anche la caccia. Comunque, anche se le cose fossero andate lisce, su un bombardiere in azione di guerra non poteva certo permettersi il lusso di dormire. Specialmente se era pilotato da un testone come Claudius, un anonimo sergente di fanteria passato all'aviazione più che altro per meriti d'alcova. Le malalingue sostenevano che la promozione a sottufficiale pilota era in gran parte dovuta ad una storia con un' infermiera che si era rivelata figlia di un alto papavero del Marine Kommando. In quella divisione Claudius aveva imparato a pilotare i grandi idrovolanti plurimotori Siemens - Schuckert, e dopo averne sfasciato uno in ammaraggio alla base di Pola, ufficialmente per un guasto al tirante del timone di profondità, ma più probabilmente per l'errata valutazione della quota, era stato distaccato all' RFA. Così il furbo ufficiale si era liberato del futuro genero, magari per sempre, visto l'alto tasso di perdite dei reparti di aerei giganti, dovute più a cedimenti strutturali e incidenti che non al fuoco nemico. L'unica cosa positiva era che nelle RFA ai piloti veniva risparmiato il delicato compito della navigazione, delegato al comandante. Altrimenti con Claudius ai comandi, era facile che finissero a bombardare Vienna invece che Padova. Prima di rilassarsi sullo scomodo seggiolino Campini diede una rapida occhiata alla bussola d'ottone Bamberg, che gli confermò che lo Staaken era sulla rotta giusta.

Prese dal taschino una tabacchiera di latta e cominciò ad arrotolare una sigaretta.

- Non dovresti fumare in quelle condizioni.

Disse von Hippel.

- Lo so, signore. Voglio solo rollarne una, mi aiuta a rilassarmi.

- Ho notato che hai dovuto spesso correggere l'assetto dando piede a destra. Abbiamo problemi di spinta asimmetrica?

Campini sospirò mentalmente. Che noioso, sempre a sindacare.

- Non sempre, signore. Ho però avuto l'impressione che un paio di volte il motore posteriore sinistro perdesse potenza, ma la pressione di alimentazione, quella dell'olio e la temperatura dell'acqua sono normali.

- Avresti dovuto avvertirmi. Manderò un motorista a controllare.

Proprio quello che volevo evitare. Pensò tra sé Campini.

- Ma signore, non è un problema grave, e poi fa freddo...

von Hippel lo fulminò con lo sguardo, e rispose con tono formale.

- La sicurezza dell'aereo e del suo equipaggio è compito mio, capitano. Lei pensi a riposare. La voglio in piena forma per quando saremo sul bersaglio.

Povero Cristo. Mugugnò tra sé Campini pensando al motorista. Uscire con questo tempaccio.

Lo Staaken, prodotto dalle industrie del conte Zeppelin, più famoso per i suoi dirigibili, era dotato di quattro motori Maybach, disposti a gruppi di due in tandem. Secondo l'imposizione dell' idflieg, l'organo di controllo tecnico dell'aviazione militare, negli aerei giganti i motori dovevano essere accessibili in volo per le piccole riparazioni. Tuttavia i comandanti ricorrevano ai motoristi solo in caso d'emergenza, dato il pericolo che questi ultimi correvano a uscire in piedi sull'ala di un aereo in volo a oltre cento chilometri orari. Von Hippel invece era un perfezionista, e in fondo era assolutamente indifferente al destino dei suoi uomini. Afferrò il tubo d'ottone dell' interfono.

- Un motorista pronto per il posteriore sinistro. Uscire al mio ordine.

Poi rivolto a Claudius:

- Ridurre la quota a millecinquecento metri, velocità dieci per cento superiore a quella di stallo.

Claudius spinse indietro le manette del gas di una decina di centimetri, e il gigantesco biplano quadrimotore affondò lentamente nella notte, verso la superficie dell'Adriatico settentrionale, mentre il resto della formazione di duecento Staaken dipinti di blu profondo per renderli invisibili nella notte proseguiva per la sua missione: distruggere la città di Padova per preparare l'invasione austriaca della pianura padana. Era il 18 Novembre 1921, e l'Europa era ancora sconvolta dalla grande guerra.

L'ordine del comandante venne accolto con una sequela di bestemmie dai due motoristi, che stavano giocando a carte nello stretto locale macchine della fusoliera, vicino al motore ausiliario da centoventi cavalli del compressore.

- Oh, no! Non vorrà mica che usciamo davvero con questo tempo?

Il motorista più anziano sogghignò rivolto al giovane collega.

- No caro. Non usciamo. Esci.

- Ma perché? - Piagnucolò il giovane. - Il sinistro posteriore funziona benissimo, ha solo avuto un paio di mancamenti per qualche bolla nel tubo di alimentazione.

L'anziano si strinse nelle spalle

- E tu che ne sai? Vai a vedere. Se è vero che è solo aria, saremo tutti più tranquilli.

Il giovane era vicino alle lacrime.

- No, io mi rifiuto.

L'anziano scosse lentamente la testa. Il ragazzo aveva paura, e non a torto. Tolse una fiaschetta di vetro dalla tasca interna del giaccone e gliela offrì.

- Fatti un cicchetto, poi esci.

Il ragazzo si attaccò al liquore, che gli bruciò nella gola.

- Maledetti aristocratici! - Brontolò. - Sono solo capaci di dare ordini. Ma io manderei lui a controllare il motore, e a calci nel culo.

Si alzò sospirando, chiuse bene i lacci della tuta, indossò i guanti e legò i paraorecchie di pelo al caschetto di cuoio. Il collega più anziano gli porse un paio di spessi occhialoni di vetro e una torcia portatile a batteria.

- Non perdere troppo tempo, ci sono due gradi sotto zero là fuori. Prima di aprire il cofano, dai un'occhiata ai montanti delle ali. Se noti ghiaccio manda il raggio della torcia sull'elica. Se c'è uno scintillio significa che si sta formando ghiaccio sulle pale, e allora torna subito indietro. Il ragazzo annuì.

- Spero di cavarmela in fretta. Non stare in pena per me, nonnino. Nessuno è mai morto di raffreddore.

L'anziano lo aiutò a chiudere bene il sottogola del casco.

- Stai attento. Sono troppo vecchio per tuffarmi a riprenderti, se caschi in mare.

Disse con tono affettuoso. Il ragazzo ridacchiò.

- Non preoccuparti, so nuotare.

Aprì il portello dell'aereo, e l'aria gelata della notte entrò di colpo nella carlinga. Con precauzione, il giovane saggiò la consistenza del longherone in frassino coperto di tela verniciata. In corrispondenza del longherone era incollata una striscia di tessuto vetrato antisdrucciolo. Il motorista afferrò con due mani il mancorrente d'ottone fissato ai montanti che univano le ali superiori e quelle inferiori del biplano. Si girò con il volto rivolto in avanti, contro il gelido vento relativo. Lo Staaken aveva un'apertura alare di oltre quaranta metri, ma per fortuna le gondole dei motori erano a meno di cinque metri dalla carlinga quadrangolare. Solo cinque metri... il motorista fece un primo passo verso la gondola dei motori. Bene, non si scivola... almeno per adesso, niente ghiaccio. Pensò tra sé. Solo un po' di condensa...

Un secondo passo, poi un terzo... ormai era arrivato. Si aggrappò con tutte le forze alla maniglia di ferro imbullonata all'ordinata parafiamma del motore posteriore. La gondola portava i due motori in tandem, e quindi il motorista si trovava esattamente in mezzo alle due eliche controrotanti di legno del diametro di oltre quattro metri. Se scivolo adesso pensò un po' angosciato Mi trasformerò in salsa al ragù. Con un brivido scacciò il pensiero. Il vento relativo, dovuto oltre che all'avanzamento dell'aereo anche alle forze combinate di trazione e risucchio delle eliche, era un vero tornado gelido. Velocemente aprì il cofano, e con la torcia a batteria illuminò il tubo del carburante. L'ottone lucido era ricoperto da uno spesso strato di grasso appiccicoso. Lo pulì con il guanto, fino a trovare la finestrina in vetro per l'ispezione. Sembrava tutto regolare... ma no, ecco che pigramente una bolla d'aria risalì il tubo, passando davanti alla finestrina. Il motore tossì in maniera impercettibile, mentre altre bolle gli toglievano l'alimentazione, causando un impoverimento della miscela e quindi un momentaneo abbassamento del numero dei giri, come poteva vedere dal contagiri a lamelle imbullonato all'interno del cofano motore. Non appena le bolle smisero di scorrere nel tubo, il motore si stabilizzò al regime normale. Niente di grave, evidentemente uno dei tanti serbatoi aveva qualche problema di pressurizzazione. Oltre ad essere un inconveniente piuttosto innocuo, non era nemmeno affar suo. A bordo dello Staaken c'era un aviere che aveva il solo compito di travasare il carburante dai serbatoi principali alle cisterne di centraggio. Bastava escludere il comparto difettoso. Bene pensò, Missione compiuta. Spero solo che il nonnino abbia ancora un cicchetto. Con precauzione, il motorista tornò a bordo, e il suo compagno comunicò la buona notizia alla cabina di pilotaggio.

Von Hippel parlottò brevemente all' interfono con la sala macchine. Poi si rivolse ai piloti.

- Buone notizie, signori. I motoristi assicurano che il difetto notato dal capitano Campini è dovuto esclusivamente ad un piccolo inconveniente di pressurizzazione di un serbatoio di centraggio, che è già stato escluso. Possiamo quindi riprendere la quota e la velocità operativa.

Prese dal taschino un cronometro d'acciaio.

- Abbiamo quasi diciotto minuti di ritardo sul resto della formazione. Signori, credo non ci sia bisogno di esortarvi a colmare il ritardo nel più breve tempo possibile.

Campini scosse la testa, seccato. Che stronzo. Fare uscire un poveraccio con un tempo simile per una fesseria come questa... Poi gli venne in mente un pensiero molto più spiacevole. Avevano diciotto minuti di ritardo! Questo significava che, per quanto avessero forzato, sarebbero passati sulla laguna di Venezia almeno venti - trenta chilometri più indietro del resto della formazione. Se la caccia italiana fosse riuscita a decollare in tempo sarebbero stati guai grossi. Da soli, non potevano sfruttare il potenziale difensivo del resto del gruppo. Ormai erano una ghiotta e lenta preda per gli idrovolanti Macchi M3 della Serenissima. Per un attimo si chiese se mettere al corrente il superiore dei propri timori. Poi decise di star zitto, non voleva farsi accusare di vigliaccheria. Scrutò con apprensione il cielo nero davanti al muso dell'aereo. Non riusciva a vedere nulla, solo buio pesto. Non riusciva a togliersi dalla mente il pericolo dei caccia. Conosceva bene i Macchi. Erano una copia riveduta e corretta dei Lonher L, i micidiali idrovolanti a scafo centrale sui quali aveva imparato a volare nel '14, all'accademia di Cosada, vicino a Pola. Non erano molto veloci, il loro motore Isotta Fraschini da centocinquanta cavalli gli consentiva di superare di poco i cento all'ora contro gli oltre centotrenta dello Staaken, ma attaccando di fronte questo non sarebbe stato un vero handicap per il nemico. Per di più erano bene armati, con un cannoncino da venticinque e due mitragliatrici Revelli a doppia canna, ed erano maledettamente agili e precisi. Per la prima volta sentì veramente la mancanza della protezione offerta dai caccia Fokker, che non avevano abbastanza autonomia per scortare le formazioni della RFA nelle azioni strategiche.

Claudius era allegro come un bambinone. Evidentemente non aveva abbastanza cervello da capire che erano in un brutto guaio.

- Non si preoccupi, signore. Sprigionerò tanta potenza dai nostri motori che arriveremo a Padova per primi!

In un vero slancio futurista spinse le manette quasi a fondo corsa, e lentamente la lancetta dell'anemometro si spostò verso la tacca rossa della massima velocità di crociera. Spingi fin che puoi, deficiente. Pensò tra sé Campini. Tanto tra un' oretta capirai anche tu che la pignoleria di questo aristocratico imbecille ci ha fregato. Dio mio, se almeno mi passasse il raffreddore...

Alla massima velocità di crociera il fracasso in cabina era assordante. All'urlo dei quattro motori si sommava il sibilo dell'aria tra i montanti e i tiranti d'acciaio e gli scricchiolii delle strutture di legno delle lunghissime ali, che si flettevano sollecitate dalle forze aerodinamiche. - Sei taciturno, Matteo. E' solo effetto del raffreddore o sei preoccupato?

Chiese von Hippel. Campini rifletté un momento, cercando le parole giuste.

- Mi preoccupa il ritardo, signore. Sa, se dovessimo incontrare la caccia nemica...

von Hippel gli batté la mano guantata sulla spalla.

- Li faremo a pezzi, caro amico. Ai miei tempi ero allievo del grande Boelckle, e di italiani né ho abbattuti parecchi, prima con gli Albatross, poi coi Fokker. Se fossero così pazzi da attaccarci vedrai come sa combattere un gentiluomo austriaco.

- Certo, signore. Adesso sono più tranquillo.

Campini si fregò gli occhi per scacciare la stanchezza, e afferrò il volantino.

- Grazie, Claudius. Ora lasciamelo. Ormai siamo in territorio nemico.

Obbediente il secondo pilota si rilassò sul seggiolino, massaggiandosi la spalla destra.

- Se sei troppo stanco posso continuare io...

Campini non ebbe il tempo di rispondere. Una potente fotocellula da terra illuminò a giorno il biplano.

- Ci hanno beccato!

Esclamò Claudius, pallido come un morto nella luce spettrale. Campini chiuse per un attimo gli occhi, abbagliato. La fotocellula seguiva l'aereo, illuminandolo per l'azione dei caccia. Pochi istanti dopo, come falene guidate da una candela, due idrovolanti si avventarono sullo Staaken. Il vantaggio era tutto per gli attaccanti, che potevano vedere il bersaglio, mentre i loro mitraglieri abbagliati dovevano sparare alla cieca.

- Là, a ore 10!

Urlò von Hippel. Un Macchi era appena visibile, a una quota poco superiore alla loro. Il mitragliere di prua cercò di inquadrare il bersaglio, ma era troppo veloce. Campini sentì il sinistro rumore ovattato delle pallottole contro la tela, e il grosso biplano quadrimotore sussultò sotto l'urto della raffica. Per fortuna c'erano pochi punti vitali nell'ala del bombardiere, e la sventagliata non lesionò i longheroni, limitandosi ad aprire una corona di fori nella tela dell'ala superiore. Il caccia virò in picchiata vicinissimo allo Staaken, al punto che Campini riuscì a vedere la coccarda tricolore dipinta sulla prua dello scafo nell'istante in cui l'idrovolante entrò nel cono di luce della fotocellula, e subito si immerse di nuovo nell'oscurità. I piloti non fecero in tempo a riprendersi dallo shock dello scampato pericolo che un secondo idrovolante aprì il fuoco diritto di fronte a loro. La sventagliata investì in pieno il muso dello Staaken. I parabrezza di vetro corazzato esplosero letteralmente in una cascata di lame di vetro, e Campini sentì un getto di liquido caldo sul viso mentre il Macchi cabrava bruscamente per evitare la collisione con il bombardiere colpito.

- State tutti bene?

Urlò. Nessuno rispose. Preoccupato, si voltò verso i compagni, e gli si rizzarono i capelli in testa. Claudius era stato quasi decapitato dalla sventagliata, e la testa gli pendeva all'indietro, piegata ad un angolo impossibile. Il liquido che lo aveva investito era il sangue del suo secondo. Anche il comandante ed il marconista erano morti. Trattenne a stento un conato di vomito, e si pulì gli occhiali dal sangue. Senza preavviso, l'aereo imbardò violentemente a sinistra. D'istinto lo contrastò con la pedaliera, e gettò un rapido sguardo agli strumenti. La pressione dell'olio dei due motori sinistri era caduta a zero, probabilmente perché i condotti di alimentazione erano stati tranciati dai proiettili. Rapidamente tolse i contatti dei magneti di accensione, per evitare il pericolo di un disastroso incendio. Non gli restava che tentare di ammarare, lo Staaken non era assolutamente in condizione di proseguire il volo con i due motori rimasti, anzi, stava rapidamente perdendo quota e velocità. A causa della spinta asimmetrica, doveva contrastare la tendenza all'imbardata tenendo a fondo corsa la pedaliera che comandava i tre timoni di direzione. Si rivolse all'equipaggio attraverso l' interfono di ottone.

- Qui primo pilota. Ragazzi, siamo stati colpiti. Von Hippel è morto, assumo io il comando. Tenteremo un ammaraggio, per cui state pronti ad abbandonare l'aereo appena possibile.

E che Dio ce la mandi buona. Aggiunse tra sé. Allontanò rapidamente il tubo dell'interfono. Aveva troppo da fare per tentare di rincuorare l'equipaggio. Spinse il volantino in avanti cercando di evitare lo stallo, e l'aereo accelerò puntando verso la laguna. L'occhio gli cadde sul variometro, e si sentì morire. L'aereo perdeva oltre cinque metri di quota al secondo.

La luna intanto era sorta, illuminando debolmente la superficie della laguna. Erano vicinissimi all'impatto. Il pilota tirò con precauzione il volantino per smaltire la velocità, e sollevò il muso dello Staaken, fin quasi al punto di stallo. L'aereo vibrò sconnessamente e si avvicinò sempre più alla tranquilla superficie della laguna, mentre il pilota cercava disperatamente di tenerlo allineato per non toccare prima con l'estremità di un ala. Sicuro di avere al massimo un paio di metri di quota spense i due motori superstiti. Aveva ancora la mano sui selettori dei magneti quando le otto ruote affiancate del carrello principale impattarono violentemente con la superficie della laguna. La prua cadde di schianto, sollevando una cascata d'acqua sporca. La coda si sollevò di colpo, sollecitando la fusoliera oltre i propri limiti strutturali. L'aereo si spezzò in due tronconi, sotto la violenza del tremendo colpo di frusta, ma per miracolo non capottò, salvando così la vita del suo pilota, e condannando a morte gli altri membri dell'equipaggio, che annegarono intrappolati nella fusoliera squarciata. L'acqua salata invase la cabina, mentre l'aereo affondava rapidamente. Come in trance Campini lottò per liberarsi dalla cintura di sicurezza, e nuotò verso la superficie. Emerse con i polmoni che scoppiavano, e finalmente svenne.

Per gentile concessione di Arnoldo Mondadori Editore.