Michele e l'aliante scomparso è il primo romanzo di Maurizio Cometto, autore che ho potuto apprezzare nella forma breve con i racconti La macchia (Acheron Books) e  L'urlo, su Alia 2.0 (CS_Libri).

Il romanzo, finalista al Premio Odissea 2016 ed è stato pubblicato da Delos Digital.

Ancora una volta l'ambientazione è quella piemontese, cara all'autore. Da molto tempo a Vallascosa il passaggio dall'infanzia all'età adulta è segnato da un oscuro rito di passaggio, un evento di cui nessuno parla apertamente, ma a cui gli adulti alludono sempre con un certo timore e addirittura angoscia. «La muta»: cosa nasconde questo nome misterioso? Cosa accade ai bambini che vengono condotti alla Spianata del Contrario, ritornando adolescenti freddi e violenti?

Michele, il protagonista della storia, sarà coinvolto quasi per caso, mentre cerca di recuperare il suo splendido aliante piumato, scomparso proprio alla spianata del Contrario. Ma la sua ricerca si rivelerà tutt'altro che casuale, perché è il destino stesso della sua famiglia che lo lega all'orribile rito di Vallascosa.

Senza voler svelare particolari importanti della trama, già da questi brevi cenni è facile cogliere quale sia la tematica fondamentale del romanzo: la crescita, quel passaggio indefinibile tra infanzia e adolescenza che suscita timori e preoccupazioni per il futuro.

Come altri autori prima di lui, Maurizio Cometto si serve degli strumenti del fantastico per indagare questa tematica attraverso un graduale slittamento della realtà. A leggere i primi capitoli si ha infatti l'impressione di trovarsi di fronte a una situazione del tutto realistica: un bambino ruba dal cassetto dei genitori ventiduemila lire (valuta che accentua la collocazione fantastica della vicenda) per acquistare un aliante con cui fare a gara con gli amici. Ma durante i lanci, compiuti alla Spianata del Contrario, l'aliante scompare e ricompare, privo delle piume e accompagnato dal grido di una poiana.

Presto la trama slitta verso il fantastico e per certi versi nel fantasy: con la guida della signora Lena, proprietaria del negozio in cui ha acquistato l'aliante, Michele attraverserà il varco della Spianata del Contrario per ritrovarsi Valframés, luogo doppio e contrario di Vallascosa, dove scoprirà il segreto della muta e cercherà di ristabilire l'ordine delle cose, ripristinando il legame naturale tra il mondo dei bambini e quello degli adulti.

Come dicevo, la muta può essere letta come una metafora della crescita. Il momento su cui si sofferma il romanzo è quello del distacco dell'adulto dal bambino che è stato, vissuto dai protagonisti della storia come un momento traumatico a cui segue una vera e propria amnesia. Volendo ricercare un messaggio (sempre relativo, perché dare risposte non è il compito della narrativa) si potrebbe dire che la chiave per non diventare adulti « di ghiaccio » sta nel non dimenticare il bambino che eravamo.

Vista la tematica, si potrebbe parlare di un romanzo per ragazzi, e per certi versi questo lo è. Ma allo stesso tempo, forse solo il lettore adulto potrà cogliere le implicazioni più profonde della storia.

Anche questa duplice destinazione è in fondo una caratteristica comune alla migliore narrativa fantastica, che si presta a essere letta da ragazzi come una semplice avventura e da adulti nelle sue implicazioni metaforiche.

Un pregio della scrittura di Maurizio Cometto è l'immediatezza, ottenuta con una semplicità stilistica che non è mai banale, ma riesce a coinvolgere senza troppe mediazioni nella storia narrata.

Si può dire che, anche alle prese con la forma lunga del romanzo, l'autore mantiene le doti di sintesi mostrate nei racconti, evidente anche nella scelta di capitoli mediamente brevi, l'alternanza di brani narrati in terza persona, frammenti diaristici, lettere, che a volte costituiscono veri e propri racconti nel racconto.

Ho invece qualche dubbio sull'uso dei termini piemontesi all'interno del romanzo, soprattutto nella seconda parte, giustificato in un glossario finale come la volontà di riprodurre la parlata dei «Mnis», i bambini di Valframés, ma limitata a poche parole dialettali senza particolare necessità nel testo, e utilizzato anche dal narratore esterno con focalizzazione su Michele. L'effetto è che tutti i personaggi, compresi i Mnis, si esprimono in un italiano inframezzato da qualche parola dialettale, sottolineata come se utilizzassero una lingua straniera.

Ben diverso sarebbe stato usare solamente il piemontese (o un italiano ricco di vocaboli piemontesi) come lingua dei Mnis – anche se mi rendo conto che questo avrebbe appesantito notevolmente la scrittura e forse frenato la diffusione del romanzo – oppure rinunciare ai dialoghi mimetici e lasciare che il narratore li «traducesse» in italiano. Ma questa scelta di compromesso proprio non mi è piaciuta.

Per concludere, una punta di delusione nell'aver scoperto solo alla fine che la storia non si conclude con questo romanzo, di cui è già in preparazione il seguito. Si tratta comunque di un romanzo che può essere letto autonomamente da un punto di vista tematico, anche perché, a giudicare dagli eventi, il seguito si preannuncia decisamente più fantasy e avventuroso.

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