2029. L’Umanità ha vinto i Mutanti. Logan (Hugh Jackman qui nella sua ultima e senza dubbio migliore interpretazione del personaggio), mutante dall’ossatura indistruttibile la cui capacità di rigenerare i tessuti è ormai inesorabilmente compromessa, è uno dei pochi superstiti. Logan fa l’autista privato, tra alcol e farmaci, per guadagnarsi la possibilità di fuggire dal Texas insieme al suo mentore, il vecchio e stanco e malato Charles Xavier (il grande Patrick Stewart), il mutante più potente e pericoloso al mondo, affetto da una malattia neurologica degenerativa che gli provoca attacchi che possono uccidere chiunque lo circondi. Finalmente il “buono tra i buoni” utilizza un linguaggio forte (non proprio tipico del personaggio) che evidenzia il necessario e inquietante cambiamento di carattere rispetto al passato.

Logan tiene rinchiuso Charles in un nascondiglio nel deserto per proteggere il mondo dai suoi instabili poteri: una bomba a orologeria pronta a esplodere in qualsiasi momento. Con loro vi è Calibano (un sorprendente Stephen Merchant), mutante-badante intollerante alla luce del sole, in grado di rintracciare altri Mutanti che cercano di sopravvivere in un mondo che li vuole sterminati. Il rapporto fra i tre personaggi è significativo e pone il focus sul bisogno di Logan di lasciarsi indietro il passato (che non riesce a seppellire), neanche quando ciò diventa necessario.

Braccati da Pierce (Boyd Holbrook) e i suoi mercenari al soldo di un’organizzazione guidata da un folle scienziato (Richard E. Grant), Logan e Charles sono costretti a una fuga anticipata insieme a un’altra sopravvissuta, la ragazzina Laura (l’esordiente Dafne Keen che ricorda Chloë Grace Moretz in Kick-Ass), introversa e silenziosa, ma dannatamente efferata quando combatte, che cela un grande segreto.

Il regista James Mangold mostra proiettili, ferite aperte, sangue, mutilazioni e teste mozzate, tutto per comporre un quadro sporco, sudicio, stantio, vecchio come gli stessi protagonisti. La società non si è evoluta, ma è rimasta prigioniera dell’ignoranza di fronte alla “questione mutante”. Logan è il Mad Max dei cinecomic, o comunque quello che più gli si avvicina. Desolati deserti, sale da gioco, campi di grano mietuti da gigantesche macchine e foreste primitive sono gli scenari di questo western post-moderno in stile Non è un paese per vecchi.

Laura diventa parte integrante della famiglia o di ciò che ne è rimasto. Il rapporto con Logan, che cerca in tutti i modi di “educare” la ragazzina scontrosa, funziona a meraviglia. La famiglia è il valore più importante. Così com’erano importanti gli X-Men per Charles, una volta preside della scuola per giovani dotati come Logan, il migliore e più problematico degli allievi, che ora si prende cura del vecchio morente come un figlio devoto. Basta la calda accoglienza di una famiglia afroamericana per ricordare i bei tempi andati e sentirsi ancora uniti. Singolare trovare in un cinecomic una così profonda definizione e caratterizzazione dei personaggi (chi avesse perso i precedenti episodi non faticherà a ritrovarsi nel background dei protagonisti), su cui Mangold punta tutto e il risultato è (piacevolmente) amaro, seppur devastante.

Il primo atto, la fuga degli (anti)eroi, ricorda più un film d’autore che non un cinecomic ove il “colore” sembra persino superfluo, poiché si ha la costante sensazione che un intramontabile “bianco e nero” sarebbe stato perfetto. Il secondo atto segna l’addio e la cesura da ciò che è stato per salutare un nuovo inizio. Laura, sulla strada verso l’ultima speranza del genere mutante, incontra alcuni bambini, sopravvissuti come lei, e scopre il valore dell’amicizia; inizia così a pensare che il suo destino può essere diverso da quello di Logan che, ormai allo stremo delle forze, s’immola per salvare la nuova generazione di X-Men dall’annientamento. Uno scontro finale che esalta la drammaticità del climax definitivo e pone Logan (letteralmente) contro se stesso. Così termina la storia di Logan e degli X-Men. Una conclusione angosciante in cui il gene mutante può ancora sopravvivere in un mondo triste e crudele, dove i ragazzini riversano il loro odio contro il genere umano e sono capaci di azioni violente.

Logan è un cinecomic neorealistico, stropicciato, slavato, macchiato, consumato che annienta e ricostruisce il genere tra le pagine di un fumetto vintage. Autoironico verso una saga che ha avuto i suoi alti e bassi (e un po’ incongruente), ma la qualità qui giunge con coraggio a livelli di eccellenza per siglare la parola fine col sangue di Wolverine. Crudo. Cruento. Rabbioso. Adamantino. (Im)mortale.