Le religioni, la politica, l'intera società umana si agitano sul cardine abissale della morte. Ogni sforzo e tensione vitale ha come sottofondo quel termine ultimo da cui si vuol fuggire, si lotta febbrilmente per spostare più in là il limite finale usando qualsiasi mezzo e aggrappandosi a ogni illusione, più o meno palese.

Ci ha provato anche Guido Antonelli, usando la retorica e la sua viva, fervida curiosità, quell’intelligenza e sensibilità così peculiare da essere unica. Lui è stato uno dei primi a declinare l’arte e il pensiero culturale in termini transumanisti e aveva in sé i crismi della estrema età, la vecchiezza più accentuata che lo ha accompagnato nella consapevolezza di non poter sperare in nessuna tecnologia del basso futuro, sapeva che nulla l’avrebbe salvato dal traguardo fisico finale; e chi può dirlo davvero se quello è un traguardo fisico o anche psichico? La fede in qualsiasi branca del sapere alla nostra portata riveste i vuoti esistenziali di dogmi più o meno dimostrati, più o meno scientifici, e apporre un sigillo di arte su tutto quel vuoto intorno era uno dei propositi che Guido ha esperito nella sua lunga esistenza. Ci ha blandito, a noi connettivisti, mentre ascoltavamo meravigliati i suoi racconti, attenti alle parole che usava e al magico silenzio che sapeva creare intorno a sé; ci ha illustrato il suo mondo con la voce affaticata ma ancora decisa, ci ha fatto capire che, in fondo, noi con le nostre teorie e sensibilità avevamo scoperto l’acqua calda. I nostri temi a lui erano ben chiari, come si può evincere da alcuni suoi scritti che io e Alex Tonelli alleghiamo qui sotto; Alex, anche lui vecchia conoscenza di Fantascienza.com, ha frequentato a lungo Guido nei suoi peregrinaggi intellettuali, e chi meglio di lui ce ne può raccontare l’anima?

Parlare della morte di Guido Antonelli su queste pagine di postumanismo e basso futuro può di primo acchitto apparire incongruo, ma il filo che lega tutto quanto è, come sempre, esile e tenace, un nastro monomolecolare che unisce il desiderio alla curiosità, alla domanda incessante su cosa c’è dopo, cosa accade dopo, cosa s’inserisce nel dopo; in quell’oltre vi è, secondo Guido e molti altri che vivono la Fantascienza, la tensione animista e la spinta transumanista: un propellente di feroce volontà e bellezza sovrumana che deve fare i conti con l’entropia, con il degrado, con le energie cui gli stessi transumanisti oppongono parole e concetti tenaci, fascinosi ma ancora tali e sempre sull’orlo della rivelazione finale.

L’evoluzione umana, che si misura in millenni, è lentissima, tanto che nei tempi storici, dai più lontani assembramenti barbari, la nostra specie non sembra molto cambiata. Nonostante l’era tecnologica e la volontà di dominio sugli eventi naturali, questi ancora ci sovrastano di fatto, specialmente come fatalità.

Soltanto la decifrazione del grande libro della vita, lettura effettuata a opera delle scienze biologiche, in un futuro non troppo lontano consentirà di ottenere un capovolgimento decisivo assoluto, in cui la volontà sarà dell’uomo e l’obbedienza della natura.

Benché possa sembrare blasfemo un tale pronostico, si riferisce comunque a un moto inerziale e niente affatto sovrumano; è invece un vero sopravvento dello spirito generato tuttavia da provvedimenti di natura squisitamente fisica. Ciò avverrà quando, una volta perpetrato fatalmente il sacrilegio di mettere mano, di manipolare la provvidenziale pur lentissima interrelazione di molecole responsabili del controllo, ora soltanto in potenza, sulla vita dei viventi e sulla loro morte, l’esito sembrerà bastevole.

Del resto, ciò che sembra adesso il massimo dell’utopia deve essere accaduto in passato, quando l’uscire accidentale dai propri gangli automatici e ciechi, da parte di un organismo cerebrale troppo lungamente usurato fu, come sappiamo, lo stesso che dare origine alla materia vivente e a un miracoloso affermarsi, poco più avanti, di un primo larvato cenno di pensiero.

Altri miracoli di grande importanza è lecito aspettarsi: oltre la materia si scopre l’antimateria. Oltre questo imprevisto qualunque sorpresa non sarà l’ultima a secondare l’ordine e il disordine uniti nell’universo, senza altra legge che l’accadere, per quanto alieno all’enigma dell’esserci.

Provvisoriamente, questo esserci, era stato risolto anche dalla più sprovveduta comunità primitiva nel modo più semplice e immediato secondo l’evidenza umana, secondo la quale qualcuno, qualche essere di superiori facoltà, doveva avere creato ogni cosa.

Oggi, incurante di insolvibili dati assoluti, assorta nella risoluzione di problemi esistenziali, la civiltà occidentale, ovvero il capitalismo democratico, pare impegnato principalmente in un importantissimo compito imprescindibile, strumento di progresso: alimentare la ricchezza. La crescita imprenditoriale non deve avere sosta come pure la sovrapproduzione dei beni, e tanto per non deludere anche le masse devono essere della partita, vale a dire moltiplicarsi. Ciò pare anche dovuto a un senso di responsabilità morale, e pure se nel computo di crescita debba annoverarsi il salire del livello di povertà generale e della fame nel mondo.

Altre soluzioni che non siano superficiali e ingenue non ve ne sono, se non al di fuori di un incessante e in continuo aumento di merci e popolazioni che si verifica entro un contenitore limitato qual è il nostro pianeta, depauperato in tal modo di risorse e infestato di scorie inquinanti. Viene comunque a opporsi l’imperativo della necessità, dell’adesso, contro qualunque revisione del sistema produrre, a cui si vorrebbero contrapporre delle teorie di per sé seduttive e di grande rigore logico, in quanto astratte e perciò campate in aria.

Del resto, lo statu quo è condizione ovunque preferita da qualsiasi classe sociale, anche la più misera che identifica il presente come il migliore dei tempi vivibili, anzi l’unico. Che il mondo tecnicizzato sia immerso in un presentismo senza sbocco è evidenza innegabile. Di progetti futuri non si parla, se non in chiave pseudo ironica.

Così scriveva Guido su NeXT 17, nella rubrica Focus, illustrando con poesia e

Guido Antonelli
Guido Antonelli

sapienza la sua percezione dei connettivisti e dei transumanisti come dei traghettatori dell’umanità verso il futuro. Il discorso che tracciava Guido, però, non è solamente connettivista, ma come dicevo in buona parte anche transumanista e sociale, una critica feroce e lucida al nostro sistema economico che determina l’inumano; in tutto ciò, per Antonelli i connettivisti rappresentano l’ala più sognante di una tensione che vuole travalicare i confini dell’umano, sia dal lato tecnologico ma anche mistico, un unicum spettacolare in grado di riscrivere il presente in chiave futura, memore del passato.

Guido ci ha lasciati la mattina dell'epifania del 2017, a quasi 95 anni, e ora ci tramanda i suoi numerosi scritti che nel collettivo connettivista avevamo imparato a conoscere e ad apprezzare. Come l’introduzione a Concetti spaziali, oltre, la silloge che organicamente quasi dieci anni fa testava il mondo poetico del Connettivismo; lucidità estrema quando Guido scriveva:

Senza attendere il verdetto degli addetti ai lavori, Dessoir, in Germania nel 1906 (“L’artistico non è l’estetico, e viceversa”) e, più tardi in Italia, Gentile, (“L’arte si pone, ma ponendosi si nega. È inafferrabile, si può vivere, ma non pensare”), il mondo dell’arte si è incamminato per proprio conto disdegnando tutori e arbitri, in un gioco che ormai si sapeva: “Non c’è una sola estetica giudicante. Le estetiche sono tante quante sono le filosofie”.

E finalmente! C’era voluta un’eresia per venirne a capo?

C’era stata la resistenza dell’Idealismo, finché proprio uno dei suoi esponenti più rappresentativi in Italia, il Gentile, si era ribellato. Benché, sia detto sottovoce, non sempre il cosiddetto progresso s’intoni all’espressione: nelle civiltà avanzate si è andato perdendo quasi di colpo il gusto per il teatro, per l’opera lirica, per la narrazione che, allo scopo di farsi notare, ha dovuto assumere metamorfosi elefantiache (se questa si potesse almeno dire crescita!)

Tutto sommato si è presto compreso su dove, fra le cose e le idee, sarebbe caduta la preferenza delle masse, una volta lasciate libere di scegliere e, anzi, incoraggiate a un’estroversione già per loro indole naturalissima.

D’altra parte non può passarsi sotto silenzio come troppo si fosse insistito su modelli artefatti, appunto, il cui gonfiore innaturale era avvertito anche da persone sprovvedute all’apparenza: in alcuni casi la parola arte aveva assunto un suono di argento matto e la reazione seguita fu così violenta da allontanare quasi definitivamente ogni interesse.

Ma potrà estinguersi nel Narciso protagonista il vizio della creatività? Cesserà mai la sua pretesa d’essere libero?

Non possiamo non notare che, grazie all’intervento di fatti insoliti, si affacciano a fasi di un certo sopore (che potrebbe assumere il ruolo di decadenza), epoche in cui viene nuovamente spontaneo il riconsiderare ogni cosa. E quale miglior fatto insolito che non la tecnologia, inedita specie di protesi cerebrale?

Tuttavia, nel profondo di ogni essere, se la realtà presenta le sue carte e queste sono così diversificate e così gravide di promesse, chi potrà spegnere la lucina che è dietro il loro ventaglio, quella che chiede: e il senso? E la tua divinità?

Non facciamoci illusioni, si ritornerà a poetare e fino all’ultimo respiro.

O quando poetava con i suoi versi:

Psiche*

Quando lei mi raggiunse parlò

Alle mie sorde orecchie. Era un silenzio

Denso; una caligine si diradava

Verso ponente, dove c’era una cima

E gelsi in fiocchi d’avena. Finché

M’accorsi che lei ero io, e mi guardavo

Con diversi occhi in diverso viso.

E già sapevo che t’avrei ucciso

Un giorno gravido di grandi rimorsi,

rovello sulla mia groppa, sangue

misto a un biancore di lanugine,

mio sospetto esilio e morte: come noi

forse siamo il diletto Narciso

che si specchia nel lago e si conosce.

Tutto questo cogitare e sentire parla di una tensione cognitiva inconsueta, immane e proiettata verso ciò che c’è oltre; ma non come la consuetudine umana ha sempre dettato, bensì usando metodologie, curiosità e intuizioni più da umano potenziato che da semplice e illuminato antropomorfo. Non era facile per Guido essere così com’era, in età avanzata si tende a divenire conservatori o amanti di ciò che è stato vissuto nel passato – che poi, alla fine, è la stessa cosa – eppure tutti noi che l’abbiamo conosciuto siamo stati sorpresi dall’onda di un soffio che diceva quanto fossimo nel giusto a sentirci in quel modo trascendentale e, al contempo, incarnato.

Ma chi era Guido nel suo dettaglio umano, nel suo bagaglio di eventi e di esperienze? Alex Tonelli, lo abbiamo detto, gli è stato vicino negli ultimi anni, è stato proprio lui che ci ha permesso di conoscere Antonelli attentamente e di apprezzare la sua eloquenza cerebrale; qui sotto, quindi, il suo contributo che permette di conoscere Guido in dettagli che neppure io sapevo, di rendergli un omaggio che ingloba la sensazione di umanità aumentata che tanto è cara a chi frequenta lidi posti oltre l’umanità.

Epitaffio a Guido Antonelli di Alex Tonelli

Tocca a me scrivere di Guido Antonelli. Di Guido il pittore, il poeta, il saggista, il Connettivista, il critico d’arte, il falsario, il soldato. Di Guido, mio amico.

Non è facile non cadere nella retorica che aleggia sempre nelle commemorazioni funebri, quel brusio sentimentale che si impadronisce della penna e della voce e che lui avrebbe così tanto odiato. Era un uomo di 94 anni, aveva combattuto nei parà a El Alamein, era stato prigioniero in Egitto, aveva conosciuto Pasolini, Sironi e tutta la generazione di grandi artisti che aveva popolato Milano negli anni ’60.

Amava raccontare del suo viaggio a Copenaghen, dove aveva tentato di vendere lozioni per capelli a sprovvedute signore danesi invaghite di quest’uomo italiano dagli strani baffi. Della sua casa editrice di Bologna, ItalPubli, che editava un opuscolo di vendita usato e che aveva avuto successo negli annunci matrimoniali.

Era fiero di non aver mai veramente lavorato e di aver dedicato tutta la sua vita al suo unico vero amore, l’arte, la cultura, l’indagine del mondo.

Il suo nome vero non era Guido Antonelli, questo era uno pseudonimo creato negli anni ’70 per nascondere le tracce della sua attività di falsario. Copiava meravigliosamente Sironi, De Pisis, Casorati e, anche grazie a quell’attività, aveva dato vita a un nuovo stile che chiamava Citazionismo. In tele di enormi dimensioni dipingeva singole piccole scene tratte da autori noti o da correnti artistiche, sicché si potevano avere prossime immagini di De Chirico, di Chagall, di Balla, di Paolo Uccello, sino a rappresentazioni dell’arte classica. Un amalgama che prendeva una forma nuova, quasi che, come un epifenomeno, emergesse altro, la vera intenzione di Guido, lo Spirito dell’Arte.

Era stato poeta, aveva tentato la poesia tradizionale, puri endecasillabi italiani per poi scoprire che questa era strumento d’indagine del reale così desueto e allora si era inventato una lingua folle, completamente senza senso, dove ciò che restava era il suono delle sillabe, musica pura, canto, da leggere ad alta voce come mantra, formule magiche ed esoteriche per evocare sensi misteriosi e segreti.

Era saggista, uomo di grande acutezza aveva anticipato la necessità del superamento del corpo fisico e si rammaricava di essere nato troppo presto, non avrebbe visto l’evoluzione del dominio della tecnica all’immortalità o alla semi-mortalità. Era il suo grande cruccio: sarebbe morto nell’ultima epoca in cui gli uomini muoiono realmente. Sarebbe morto nel passato dell’uomo.

Aveva scritto un libro di fantascienza, l’E-mortale. Era grazie a questo libro che io lo conobbi nel 2008. Un romanzo ambientato sulle sponde più fredde della Danimarca in un convivio di grandi scienziati che avevano scoperto il trapianto totale, il trapianto di cervello e, grazie a questo, saltavano di corpo in corpo facendosi beffe della morte. Un libro ironico, visionario, folle. Ricordo che lo mandò anche a Urania e a Valerio Evangelisti, seppur non ho saputo se fosse mai stato preso in considerazione.

Chi era dunque Guido? Ecco, la retorica funebre qui bussa: non vi dirò che era un amico, non vi dirò che avevamo passato ore e ore a discutere di libertà ontologica facendo grafici e disegni su tovaglioli da bar, non vi dirò delle passeggiate e dei pomeriggi nel suo studio ad ammirare i suoi quadri, dei risotti e delle birre, della sua presenza incredibile alle NeXT-Con a sorprendere tutti con la sua intelligenza, la sua dialettica e la sua vivacità mentale.

Vi dirò solo che Guido era un uomo del presente, pienamente consapevole del fatto che il presente non è sufficiente, il presente è debole, il presente è l’ultima frontiera del passato dell’uomo e non la prima del futuro. Guido osservava ciò che sarà, ciò che sarebbe stato dopo la sua morte.

Ha vissuto a lungo, quasi nella speranza di poter arrivare a quel futuro che sognava, dipingeva, di cui scriveva e poetava. Sapeva di non poterlo raggiungere ma ce l’ha raccontato. E noi, Connettivisti o meno, siamo qui per testimoniarlo.

In tutto questo ricordare Guido v’è quindi il senso del futuro. Tratteggiando chi si è scostato dal nostro percorso a volte riusciamo a esaltare il tempo che verrà, perché in quel caso quella persona che abbiamo salutato ha vissuto incastonata nel tempo che verrà, riuscendo a costruirci un’impalcatura della sua esistenza che ha modificato il suo stesso presente; con Guido ci siamo resi conto di vivere davvero la nostalgia del futuro ed è una cosa che pochi, a parte i fantascientisti e coloro che abitano costantemente nella tensione verso ciò che ancora deve avvenire, verso ciò che deve essere polarizzato dalle volontà, sperimentano. Lasciamo andare la scialuppa di ciò che verrà: ci ritroveremo lì, da qualche parte quantica, a parlare dell’abisso temporale ed energetico.