Stamattina le conferenze al Trieste Science+Fiction vertono su apocalissi climatiche, origini umane e Bosone di Higgs; quest’ultima è tenuta da una luminare del CERN. La contemporaneità dei vari eventi, che ieri ci ha costretti a saltare quasi tutta la programmazione del Teatro Miela, oggi ci fa dire addio a Solaris in versione restaurata.

In compenso riusciamo a fare una scorpacciata di cortometraggi molto ben fatti, talvolta forse timidi come idee di partenza (troppe tematiche distopiche e horror classiche). E dato che in un corto l’idea di partenza ha un peso enorme, vi citiamo solo le ultime due proiettate. In Quenottes gli autori hanno trovato il coraggio di immaginare una versione horror della storia del topino che prende i dentini. No, non è una buffonata ed è realmente inquietante.

The desappearence of William Bingham ci ha disturbato parecchio: tredici minuti ambientati in una realtà in cui vige una singolare pena eseguita in presenza di crudeli familiari e chiamata “amputazione progressiva”.

Saltato purtroppo il promettente The Open, arriviamo in Tripcovich giusto in tempo per un saluto vulcaniano collettivo e l'inizio di Approaching the unknown. Sorta di The martian con meno humor e ritmo, la storia è una riflessione sul controllo della propria vita, ma onestamente poco avvincente. Non a caso il regista inglese ha dichiarato che la pellicola “è meno riuscita laddove si percepisce come troppo impostata”. Anche lui, come il protagonista, tende “a dare troppe risposte prima di affrontare le domande”. Chapeau per la sincerità.

Embers, dopo aver fatto incetta di premi in tutto il mondo, sbarca e convince anche al Science+Fiction. Il mondo è stato come al solito devastato e sopravvivono solo residui di umanità, a volte spaventati, a volte crudeli, a volte innamorati. La peculiarità è che in questo caso a distruggere tutto è stato qualcosa che rende le persone immemori, incapaci di ricordare anche solo il proprio nome o qualsiasi relazione con gli altri (la sottotrama dei due innamorati che ogni giorno fanno conoscenza è tenera e divertente). Certo, con un’idea così figa ci sarebbe piaciuto sapere qualcosina in più su questo virus, com'è nato, come si è diffuso; ma capiamo anche l’esigenza autoriale di rendere il passato opaco e incerto, perciò stiamo zitti. Strano pensare che sia solo il primo film di questa talentuosa e simpatica regista francese. 

A seguire appare sullo schermo il leggendario Takashi Miike, che si scusa per non essere al s+f e annuncia la proiezione del suo assurdo B-movie chiamato Terraformars. Al confronto con questa follia, Starship Troopers diventa un serioso dramma psicologico. Eccessivo come ci si aspetta, Miike inscena la lotta tra umani mutanti terrestri e scarafaggi umanoidi marziani, con molte scene volutamente demenziali e una certa tendenza a fregarsene della coerenza: personaggi che un secondo prima hanno enormi chele riappaiono improvvisamente normali con tanto di tute spaziali intatte. C’è la volontà di ricreare l’estetica giapponese delle squadre di eroi, con la tipica presentazione delle armi segrete e trasformazioni che ricordano Yattaman. Ora che ci pensiamo, anni fa eravamo al Far East Film Festival di Udine mentre veniva proiettato proprio il film di Yattaman girato da un certo… Takashi Miike. Geniali le insensate scene di violenza contro le donne, fatte certamente per sbeffeggiare chi lo accusa di misoginia. Abbiamo riso e credevamo di aver toccato il fondo del trash, ma ci sbagliavamo.

Ci spostiamo di corsa dal Tripcovich al Miela, dove regna un’atmosfera meno istituzionale e più caciarona. Tempo di un amaro e parte il film argentino Daemonium: soldado de l’inframundo. Assistiamo a bocca aperta a due ore di superpoteri, cuori strappati, demoni, mutanti, robot e magie di un tizio chiamato Lucio Fulcanelli, detentore del potere di spalancare le porte degli inferi tramite un mazzo di carte. Partiti con una serie web, gli autori sono stati spinti dal successo di Daemonium a pensare a un lungometraggio in cui inserire i personaggi di questo universo fracassone e meschino, dove non esistono forze del bene ma solo una costante, confusa e demenziale lotta tra il male e il malissimo.

Usciamo dal cinema alle due e venti, ormai cotti dalla giornata. Sara, 24 anni, si sta fumando una sigaretta ed è un po’ arrabbiata. “Domattina ho da fare presto, perciò se sapevo che proiettavano in chiusura roba per tredicenni celebrolesi me ne stavo a casa”. Noi la salutiamo e saliamo in auto riflettendo sul fatto che è bello, a volte, sentirsi tredicenni celebrolesi.