Chiara Montanari si definisce prima di tutto “travel addicted”. È un ingegnere, esperta di knowledge Integration, leadership in ambienti estremi e team-building multiculturale e multidisciplinare. Ha partecipato a 5 spedizioni in Antartide, più volte a capo delle missioni scientifiche alla base internazionale Concordia sul Plateau Antartico e alla Base Belga Princess Elisabeth nell’East Antarctica. Oltre alle spedizioni polari, ha lavorato come manager in vari settori, dall’ICT e il broadcast digitale all’efficienza energetica e l’educazione. Conduce inoltre ricerche in ambito della teoria della complessità. Nel 2014 è stata insignita dell’Ambrogino d’oro per l’impegno nell’innovazione e la ricerca e nel 2015 ha pubblicato Cronache dai ghiacci, 90 giorni in Antartide (Mondadori), il racconto della sua ultima spedizione a Concordia, la base di ricerca internazionale che si trova in cima alla calotta polare, a 4000m di altitudine.

Si tratta di una storia che come appassionati di fantascienza conosciamo molto bene. Il libro è infatti il racconto della sfida umana a un ambiente estremo, completamente alieno e ostile alla vita umana.

Solo che non è lontano dalla Terra milioni di chilometri, ma si trova sul nostro pianeta.

Chiara Montanari racconta in questo libro quella che all'epoca era la sua quarta "missione" presso la base antartica Concordia, prestata tra il 16 novembre 2013 e il 5 febbraio 2014. Mentre leggevo questo libro era in corso il suo quinto periodo presso Concordia, dalla quale è rientrata da poco.

Il suo racconto non è "vero" in senso stretto, poiché le vicende umane e professionali che presenta sono state alterate, e i nomi cambiati, per rendere un freddo diario una verosimile narrazione, ma veri sono i sentimenti, le situazioni estreme che racconta.

La sua sciolta e veloce esposizione rende vivo e vicino al lettore il senso di una sfida per la vita che può presentarsi nelle forme più inaspettate, in un ambiente che richiede la massima concentrazione per garantirsi la sopravvivenza.

Vicina al lettore è anche la cronaca delle interazioni umane, studiate anche dagli enti spaziali in quegli ambienti, come prova generale di permanenze di lungo periodo di piccoli gruppi di esseri umani in missioni spaziali, con ambienti che, come la base Concordia, hanno spazi ridotti all'essenziale, con il concetto di privacy praticamente inesistente.

Cronache dai Ghiacci è una bella e interessante lettura per comprendere che che, al di fuori di ogni retorica, in qualsiasi luogo, le dinamiche umane e lavorative siano più o meno sempre le stesse, anche se diversi possono apparire i contesti. E sicuramente diverso dai nostri uffici "normali" è l'Antartide a -50°. Ancora oggi, a meno di un secolo dalle tragiche vicende del dirigibile Italia (missione Artica in questo caso) i poli sono, un ambiente ostile, non domato e, forse, indomabile. Ma la sfida scientifica che rappresenta è ancora viva, perché è un luogo che di contro ha tanto da insegnarci, su noi stessi e sul nostro mondo.

E proprio dal cercare di capire cosa serva per prepararsi all'Antartide, ma anche su cosa ci insegna come esperienza umana, che prende spunto la chiacchierata con Chiara.

Quali esperienze della vita “esterna” ti sono state di aiuto in Antartide? 

La preparazione è fondamentale, quindi gli anni di studio e i corsi di addestramento all’Antartide sono stati molto importanti. Per il resto poi è l’esperienza in campo che conta, è un luogo molto diverso da quello a cui siamo abituati, vivere in Antartide è come vivere su un altro pianeta, quindi c’è tutto da imparare.

E quali dell'Antartide invece ti sono state utili una volta rientrata? 

Al rientro le esperienze che si capitalizzano dall’Antartide sono moltissime, a cominciare dall’abitudine ad agire nell’incertezza, la propensione al rischio, la percezione dei nostri limiti, la convivenza forzata e l’esperienza di coordinare persone che arrivano da culture differenti e discipline molto diverse. Insomma tutta questa esperienza è interessantissima ed è utile sia professionalmente che nella vita.

Dal punto di vista professionale, per esempio, in questo momento sto lavorando ad un progetto di formazione per trasferire il know how Antartico (inteso come mind-set rivolto all’innovazione e alla multidisciplinarità e alla capacità di gestire l’incertezza) alle aziende che si trovano ad affrontare il cambiamento e la necessità di innovare.

Dal punto di vista personale, è molto interessante il mind-set che si sviluppa: si viene catapultati fuori dalle nostre esperienze quotidiane di iperconnessione e iperstimoli per ritrovarsi in un deserto di ghiaccio vuoto e immobile. In quella distesa bianca a -50°C non ci sono forme di vita e hai l’impressione che anche il tempo si sia congelato, è un’esperienza di vuoto e questo cambia sia il rapporto con la natura che le priorità a cui si dà importanza. Al ritorno si è capaci di maggiore presenza e maggiore concentrazione, è un’esperienza molto interessante.

C'è il “mal di Antartide”? Ossia quella nostalgia anche un po' irrazionale che ti fa dimenticare gli aspetti negativi e rimpiangerlo? 

L’Antartide è natura allo stato puro. Il Mal d’Antartide è fatto essenzialmente di nostalgia di qualcosa che non si trova da nessun’altra parte. È la nostalgia per l’esperienza del vuoto e della vastità di cui si fa esperienza in mezzo a questi paesaggi spettacolari e alla natura incontaminata.

Cosa non rimpiangi invece dell'Antartide? 

La mancanza di privacy, l’isolamento e la convivenza forzata. L’esperienza di vivere in una piccola comunità multiculturale in spazi ristretti e ad alta tensione è molo interessante, ma può essere anche stressante. In base non esiste la privacy e difficilmente si trovano momenti di solitudine. Ti rendi conto di quanto siano importanti e preziosi questi spazi personali. Le dinamiche che si creano in questi ambienti confinati e isolati sono molto particolari, al punto che l’agenzia spaziale europea ci studia per le prossime missioni su Marte.

C’è una lunga serie di esplorazioni antartiche all’800 a oggi. Secondo te queste imprese del passato, senza avere a disposizione i materiali odierni erano dovute più al coraggio o ad assoluta incoscienza? 

Tutte i viaggi di esplorazione sono legati alla voglia di conoscere. Molto spesso si crede che gli esploratori siano mossi da incoscienza, che siano persone che hanno bisogno di vivere il brivido del pericolo, ma quando si leggono i diari degli esploratori si capisce che al contrario sono persone prudenti che utilizzano le migliori tecnologie a disposizione ai loro tempi per esplorare l’ignoto. Sono mossi da pura sete di conoscenza. La stessa sete che spinge gli scienziati a dedicare tutta la loro vita alla ricerca della risposta ad una sola domanda. È una caratteristica umana tipica di tutti i tempi.

Le ricadute della ricerca in Antartide sono spiegabili in termini semplici o dobbiamo rassegnarci all'incomprensione di chi non riesce a vedere i vantaggi a lungo termine della ricerca? 

In Antartide si fa ricerca di base, ovvero quella ricerca i cui risultati si vedono sul lungo e lunghissimo termine. Il clima della terra, per esempio, si basa su equilibri dinamici, e cioè dipende da milioni di parametri che interagiscono tra di loro secondo equilibri piò o meno stabili. Semplificando molto, si tratta di capire che tutto è connesso, che lo scioglimento di una parte dei ghiacci in una zona determina l’evaporazione della CO2 dagli oceani dall’altra parte del mondo, che a sua volta provoca l’innalzamento della temperatura da un’altra parte, magari provoca lo scioglimento di un pezzo di iceshelf in Antartide che a sua volta provoca una diminuzione di temperatura in quella zona e quindi l’accumulo di ghiaccio. 

Insomma, ho semplificato molto e non ho neppure fatto riferimento agli equilibri della flora e della fauna, ma l’idea che voglio esprimere è che per comprenderne i meccanismi che regolano un ecosistema alla scala del pianeta terra serve uno sforzo collettivo, è un’intera comunità scientifica che indaga e su tempi lunghissimi.

Alla base Concordia per esempio i ricercatori hanno estratto ed analizzato il ghiaccio che sta sotto i nostri piedi. Sono arrivati fino alla sommità, sono 3200 m di ghiaccio che si è accumulato in questo punto dal congelamento dell’atmosfera delle ere passate ed è un archivio di informazioni che risale a 800 MILA anni fa. È chiaro che se vogliamo provare a far ipotesi serie sull’evoluzione del clima nel futuro è necessario studiare con attenzione quello che è accaduto fino ad ora, nel nostro passato.

Che ne pensi in proposito delle polemiche sui costi della ricerca non applicata, tra cui anche le missioni spaziali? 

Secondo me, come nella politica più in generale, bisognerebbe evitare di farsi distrarre dai meccanismi stile tifo da stadio. È chiaro che su certi temi è impossibile avere un opinione informata, poiché bisognerebbe essere specialisti per comprendere i dettagli di certe situazioni. Quello su cui sarebbe meglio si concentrassero i cittadini sono le regole con cui vengono spesi i soldi. A me sembra che in Italia l’apparato burocratico si stia complicando con la scusa della trasparenza, della meritocrazia e della semplificazione. Sembra un paradosso, ma nella mia esperienza, ho capito che quando le cose si fanno complicate nascondono affari ancor meno chiari, perché è ovvio che è più difficile eludere i controlli se le regole da seguire sono solo 3 (incluse le eccezioni e i casi particolari).

C'è un problema di comunicazione dei benefici o più generale di sfiducia nella scienza oggi? 

Nonostante le iniziative di comunicazione si moltiplichino sempre di più, secondo me la comunicazione scientifica potrebbe essere migliorata molto. Per molti anni ho lavorato come interfaccia tra i ricercatori di vari settori e gli ingegneri della logistica, quindi ho accumulato una certa esperienza come “traduttrice” da linguaggio scientifico a linguaggio tecnico e mi sono resa conto che spiegare quello che fanno i ricercatori in termini essenziali non è un compito facile. Però quando si fa comunicazione scientifica bisognerebbe sforzarsi di più, nella mi esperienza mi capita di vedere scienziati che difficilmente riescono ad uscire dall’accuratezza scientifica per spiegare in modo accessibile l’importanza dei risultati del loro lavoro. D’altra parte, a volte, giornalisti scientifici privano di senso la narrazione dei progetti scientifici, solo perché non sono abbastanza preparati o perché sono troppo presi dalla necessità di semplificare. In entrambi i casi si va via da una conferenza domandandosi il senso di tanti sforzi economici e, cosa ben peggiore , si perde l’occasione di sentirsi parte del grande viaggio di esplorazione che è quello della scienza.

Hai un rapporto con la fantascienza e il fantastico? Libri o film? 

In generale amo le idee intelligenti, verosimili e strabilianti. Quindi sono una fan di Guerre stellari e Ridley Scott e mi piacciono i libri di Philip K. Dick, ma non ho una preferenza spiccata per lo stile fantasy. Ultimamente ci sono delle serie TV molto interessanti, mi piacciono in particolare quelle di science-fiction come Fringe.

Cosa consiglieresti a giovani ricercatori che volessero andare in Antartide che non hai scritto nel libro? 

Di studiare molto e diventare bravi, ma anche di non farsi distrarre dalla loro specializzazione. È più interessante rimanere aperti e farsi contaminare dalle esperienze e credo anche che questo sia il segreto per avere idee brillanti e originali, per capirlo basta leggere le biografie dei grandi.