Scritto da Nicola Guaglianone e il fumettista Menotti e diretto dal Gabriele Mainetti a cui dobbiamo Basette, Lo chiamavano Jeeg Robot è quel delizioso film di genere che non ti aspetti.

Intelligente, spassoso, consapevole, furbo. Scritto benissimo, sostenuto da un ottimo cast e da ottime interpretazioni, diretto in maniera onesta e efficace da un regista che non vuole mettersi in competizione con i film di genere superoistico né scimmiottarne lo stile.

Gli appassionati di cinecomics ci vadano preparati, perché questa prova di Mainetti non ha praticamente nulla delle atmosfere delle storie di Batman o Spider-Man. Per capirci: niente costumi attillati, martelli mistici o supergadget. O malvagi che vogliono soggiogare l’umanità tutta (al massimo, comparire nel TG in prima serata) e neanche mezza esplosione (in realtà una c’è, ma in campo lunghissimo e se ne vede solo la colonna di fumo).

Qui c'è solo un tizio (un Claudio Santamaria in stato di grazia), uno di quelli a cui non affidereste un gatto morto, che vive ai margini della legalità, asserragliato nel suo appartamentino a Tor Bella Monaca (quartiere romano che non preferireste al più sordido buco nel Queens, giusto per fare un parallelo con Peter Parker) a ingozzarsi di yogurt e di film porno. Insomma, un personaggio che proprio in virtù del suo basso profilo e dell’apparente mancanza di qualità è l’antieroe per cui parteggiare e, al limite, identificarsi… e che, in seguito a un evento fortuito, acquista dei classici superpoteri da fumetto.

Poteri che inizia dapprima a usare per se stesso (lo sentiamo ripetere a più riprese, tra la fierezza e la rassegnazione, che non ha nessun amico) e poi, ultimato il processo di crescita interiore, per aiutare prima la tipa che gli si attacca come una cozza allo scoglio (un’Ilenia Pastorelli che sembra un po’ la sorella venuta male della Ramazzotti) e poi l’intera città (una Roma spogliata di qualsiasi lustrino e filmata ad altezza di borgata).

Hanno tutti ragione

Del film, ne parlano tutti bene e tutti hanno ragione.

È, probabilmente, il migliore approccio e la migliore risposta possibile realizzata in Italia al genere che, più di qualsiasi altro, sta sbancando nei cinema di tutto il mondo (quello dei tizi con superpoteri), usando al meglio ogni centesimo di un budget risicato trovando un’identità personalissima e che riesce a scampare a (quasi) tutte le ingenuità del caso.

Sotto il comparto tecnico, poco da eccepire: Mainetti sembra avere preso il meglio dai suoi colleghi più illustri e sa già come muovere la macchina da presa senza cercare a tutti costi l’effetto “wow”. Non copia, ma ha studiato bene la lezione (se, vedendo il film, vi torneranno alla mente tre o quattro inquadrature che hanno fatto la storia dei cinecomics americani più riusciti di sempre, sappiate che la cosa è del tutto voluta). Montaggio altalenante ma funzionale. Gran lavoro di sonorizzazione (ma la magnifica acustica della Casa del Cinema di villa Borghese dove c’è stata l’anteprima deve aver fatto la sua parte) bella la fotografia.

Detto questo, ricordatevi di questa recensione e tenetevi una serata libera tra qualche settimana (il film esce il 25 febbraio), questo è un film che, tra tanta mediocrità tutta italiana, merita una vostra chance.