Credo che se si chiedesse a un pubblico eterogeneo di definire John Carpenter con due parole la maggior parte degli intervistati risponderebbe "regista horror".

Definizione non del tutto inesatta ma certamente riduttiva, come spiega egregiamente Pier Luigi Manieri nel suo saggio La regia di frontiera di John Carpenter.

Il regista americano ha legato la sua fama al fantastico e all'horror, con giusto un paio di incursioni nel cinema d'azione, nonostante questo secondo Manieri Carpenter può essere definito un regista western.

La tesi, che si intuisce a partire dal titolo, è apparentemente strampalata e tutta da dimostrare, dopotutto stiamo parlando di un regista che non ha mai girato un film su cowboy e pellerossa.

Nonostante questo non trascurabile dettaglio Manieri riesce a essere convincente, incalzando il lettore con concetti e domande che portano a ricostruire la struttura dell'opera carpenteriana in modo nuovo e sorprendente.

Il lungo percorso passa per molte tappe, venticinque capitoli completati dalla biografia e dalla filmografia del regista, più che un saggio la narrazione di quello che Carpenter ha rappresentato per la storia del cinema.

Impreziosiscono il volume le locandine dei vari film del regista (purtroppo solo in bianco e nero) e i bei disegni di Ilaria Piacenti, oltre alle interessanti le interviste dell’autore a personaggi come Michelangelo La Neve, Marco Spagnoli, Sergio 'Alan' Altieri, Roberto Genovesi e Marco Manetti.

La struttura del libro porta con sé pregi e difetti, chi cercasse ogni minimo dettaglio biografico e schede complete per ogni film resterà sicuramente deluso, il percorso di Manieri è orizzontale, una sorta di Lego dove i mattoncini dei film vengono smontati e accostati per ricostruire filosofia e tematiche di Carpenter.

Vengono così evidenziati i rapporti del cinema carpenteriano con la letteratura di genere ma anche con programmi televisivi, fumetti, musica e videogiochi e viene messa in evidenza l'influenza di Carpenter sul cinema successivo.

I capitoli che mi sono piaciuti di più sono quello dove Carpenter viene confrontato con altri tre grandi registi, Ridley Scott, Paul Verhoven e James Cameron, e quello che parla degli tanti indimenticabili eroi creati da Carpenter, abbastanza deludente quello dedicato all'ultima opera del regista, Ward – Il reparto, che viene trattata quasi come un corpo estraneo.

A parte questo difetto siamo di fronte a un saggio che si legge come un romanzo, un'opera centrata e divertente che i fans del grande Carpenter non dovrebbero farsi mancare.