Nella trasposizione cinematografica di Dune diretta da David Lynch, la storia si conclude con un grande diluvio che

segna la fine dell’aridità di Arrakis e la realizzazione del grande sogno di Pardot Kynes e del figlio Liet, la trasformazione del pianeta in un mondo florido e rigoglioso. Nel romanzo ciò non avviene, benché nei successivi episodi – ma nell’arco di secoli – Arrakis subisca questa fondamentale trasformazione, al punto che il nome stesso del pianeta cambia in Rakis (e non si può più parlare di Dune, perché Rakis non è più caratterizzato dalle immense distese di sabbia). Ritorna qui l’archetipo del diluvio come momento chiave di una nuova fase dell’umanità, in cui quella precedente viene estirpata o purificata e una nuova umanità rigenerata nasce. Il Diluvio Universale è un mito presente nella Bibbia, nella mitologia greca nella vicenda di Deucalione e Pirra, nell’epopea babilonese di Gilgamesh, nelle tradizioni degli Indiani d’America. Se la vita non nasce direttamente dall’acqua, sicuramente l’umanità di cui oggi facciamo parte è stata - secondo questi miti – purificata dall’azione distruttiva delle acque. Tanto più che c’è un legame molto stretto tra l’uomo e l’acqua: come si saprà, un uomo è composto per circa il 60% di acqua, presente in ogni cellula nel citoplasma, ma soprattutto nel sangue, di cui un essere umano possiede in media 4 litri. Uno dei principali riti Fremen è quello di prelevare da un uomo morto la sua acqua, né più né meno di ciò che fanno gli uccelli mangiatori di carogne di cui parla il banchiere della Gilda, soprannominato Soo-Soo, durante la cena nel palazzo degli Atreides: essi sopravvivono estraendo l’umidità dal corpo delle loro vittime. Questo rapporto acqua-sangue è sancito da uno dei proverbi che cita Paul: «E l’acqua che hai bevuto dal fiume si cambierà in sangue sul terreno asciutto». Un riferimento evidente al mito di Mosè che trasforma in sangue le acque del Nilo, ma la simbologia domina anche le raffigurazioni rupestri australiane dei Wondjina, spiriti ancestrali portatori della pioggia: queste creature mitologiche sono raffigurate in bianco e circondate un contorno rosso, dunque con i colori simboli dei due elementi vitali, il sangue e l’acqua.I riti Fremen riguardo l’acqua sono molteplici, al punto che questi riti sono celebrati da appositi Maestri d’Acqua nominati dalla comunità. Il versare lacrime per un defunto è considerato dai Fremen un grande dono da parte di chi lo compie, perché egli sacrifica parte della sua umidità corporea per il morto. L’acquisizione dell’acqua del corpo del defunto è un rituale macabro ma fondamentale nella tradizione Fremen, dove l’acqua non può andare in nessun caso sprecata. Un’idea simile è presente nel Corano: «Nessuno può rifiutare l’acqua in eccedenza senza peccare contro Allah e contro l’uomo», si legge in un passo. Per popoli del deserto come gli Arabi e come i Fremen in Dune, l’acqua è un dono e rifiutarlo un peccato. Herbert descrive molto accuratamente le tute distillanti, che ogni Fremen deve indossare nel deserto per ridurre al minimo la perdita d’acqua (che così è limitata a un ditale al giorno). In un punto molto significativo del romanzo leggiamo: «[Paul] cercò il tubo della sua tuta distillante, fissato al collo, e inghiottì un sorso d’acqua. Paul pensò che in quell’attimo lui diventava realmente un uomo di Arrakis, vivendo dell’umidità del proprio corpo, del proprio respiro». Solo quando Paul capisce cosa significa vivere della propria acqua, solo quando capisce l’importanza di risparmiarla fino a riciclare la sua stessa orina, è diventato davvero Muad’dib, il Messia dei Fremen, perché egli stesso è un Fremen. Si tratta di un momento culminante in cui Paul capisce il mistero ultimo della vita, che deriva proprio dall’acqua, fonte della vita stessa.Nel creare il popolo Fremen, Herbert si è basato sullo studio delle popolazioni dei deserti. Egli stesso rivela di aver letto «più di 200 libri, articoli, rapporti e saggi scientifici sull’ecosistema delle regioni desertiche, sulle comunità che
Lo sguardo di Paul Atreides (Alec Newman) in "Children of Dune".
Lo sguardo di Paul Atreides (Alec Newman) in "Children of Dune".
le abitano, sugli adattamenti degli animali e degli uomini a deserti di ogni tipo». Uno dei popoli più tipicamente ancorati al deserto è ancor oggi quello Tuareg, popolo nomade e molto antico presente nel più grande deserto del nostro pianeta, il Sahara (la cui estensione sfiora gli otto milioni, enorme se si pensa che il secondo deserto più ampio è quello Libico-Nubiano di circa 1.800.000). Tuareg è un termine spregiativo dato loro dagli Arabi, e significa “abbandonati da Dio”; essi in realtà chiamano loro stessi Imohag, ossia “uomini liberi”: in inglese, free men, ossia Fremen. Come i loro emuli fantascientifici, i Tuareg non hanno una sede fissa ma sono essenzialmente nomadi; la loro società è matrilineare: riflettendo sull’importanza che tra i Fremen godono le Reverende Madri Bene Gesserit, che sono idealmente a capo dell’intera società Fremen, si può notare come questo particolare sia condiviso da entrambe le civiltà. L’idea delle tute distillanti probabilmente deriva dallo studio di Herbert  delle tagelmust, gli abiti tipici usati dai Tuareg nel deserto. Essi coprono interamente il corpo, la testa e il viso ad eccezione degli occhi e del naso con vari strati di veli, generalmente di colore blu, da cui deriva il loro soprannome di “uomini blu”. Come per le tute distillanti, anche se in misura ovviamente minore, le tagelmust permettono ai Tuareg di risparmiare l’umidità del proprio corpo. Un detto tuareg afferma: «Dio ha creato i paesi ricchi di acqua perché gli uomini ci vivano, i deserti perché vi trovino la propria anima»; non è molto dissimile dal detto di Muad’dib ripreso dai Fremen: «Dio creò Arrakis per temprare il fedele».